Cos’è la decenza? Il criterio è purtroppo astratto, mutevole, ondivago. È sicuramente indecente presentarsi nudi in una spiaggia per famiglie, ma è altrettanto indecente presentarsi vestiti in una spiaggia per nudisti. Come si vede, la decenza sfugge a criteri precisi. Diciamo che non è misurabile. Ma in questi tempi di professori, di tabelle statistiche, di ragionieri al potere, bisogna trovare parametri precisi per misurare tutto. Perfino la decenza.
Partiamo allora dalla frase del governatore Raffaele Lombardo: “Francamente credo che la mia indennità sia appena decente per l’attività che svolgo come presidente della Regione”. Appena decente, significa che uno stipendio netto di 16.656 euro netti al mese è praticamente risicato per chi amministra una regione di circa 5 milioni di abitanti, con quasi ventimila impiegati e con risultati di efficienza sotto gli occhi di tutti.
C’è poco da ironizzare. Qui bisogna capire come e perché l’indennità del governatore Lombardo sia “appena decente”. E per farlo è necessario studiare, leggere, mettere insieme cifre e numeri. Basta prendere l’ultimo rapporto del Sole 24 ore sulla qualità della vita in Italia. Scopriamo così che nella classifica generale la posizione delle nove province siciliane è “appena decente”. Su 107 province, Caltanissetta è penultima, Enna si colloca al posto 99, Agrigento al 101, Palermo al 102, Trapani al 103. Va un po’ meglio a Ragusa e Messina, rispettivamente all’ottantasettesimo e all’ottantanovesimo posto. Siamo gli ultimi della lista. Siamo appena decenti, appunto.
Se andiamo a vedere la classifica del tenore di vita, anche qui la decenza è appena sfiorata. Prendiamo il valore di ricchezza prodotta per ciascun abitante. Se a Milano (prima in classifica) il Pil di ciascun abitante è valutato in oltre 36mila euro, ad Agrigento (posizione 102) il Pil si dimezza scendendo a 15.549 euro per abitante. Insomma, ogni agrigentino produce una ricchezza annua meno decente dello stipendio mensile del governatore. Le cose vanno leggermente meglio a Catania, provincia di residenza di Raffaele Lombardo, dove la ricchezza procapite è di 16.861 euro, forse proprio grazie allo stipendio del governatore e alla sua ultima dichiarazione dei redditi che denunciava 249 mila euro. È verosimile che l’indennità del presidente della Regione apporti benefici all’intera provincia di Catania, facendole risalire alcune posizioni nella classifica e collocandola al posto 93. Un valore aggiunto, dunque.
Chi più guadagna più spende. Nella classifica dei consumi per famiglia, la Sicilia continua ad essere appena decente. Se ad Aosta una famiglia spende 1.532 euro per auto, elettrodomestici, computer e mobili, in Sicilia le famiglie spendono cifre appena decenti: ad Enna 647 euro, ad Agrigento 648, a Caltanissetta 680, a Trapani 731, a Ragusa 740, a Catania 743, a Messina 744, a Siracusa 763, a Palermo 772. Anche qui, consumi risicatissimi che collocano la Sicilia sempre in coda alla hit parade.
Non parliamo poi dei pensionati. Se l’assegno mensile a Milano si aggira sui mille euro, ad Agrigento (in terzultima posizione) non arriva nemmeno a 490 euro. Forse è merito dei vitalizi dei deputati regionali e di qualche mega pensione dei funzionari regionali a riposo se Palermo sale fino all’88esima posizione con una media di 560 euro a testa e Catania scala la 78esima casella con pensioni medie da 610 euro. Pensioni appena decenti, è evidente. Pensioni che non aiutano a tirare a campare. Anzi, non bastano nemmeno per campare.
Come vedete queste classifiche sono scoraggianti per la Sicilia. Ma pensate un po’ cosa succederebbe togliendo i 16.656 euro mensili dello stipendio del governatore. La Sicilia rischierebbe di finire fuori graduatoria, bollata col marchio di non classificata. Redditi procapite, consumi, pensioni crollerebbero di colpo. Lo stipendio del presidente della Regione, ma anche quelli degli assessori, dei deputati dell’Ars e dei superburocrati regionali tengono alto l’onore della Sicilia. Ecco perché devono guadagnare di più degli altri siciliani: stipendi “appena decenti” per non sfigurare nel resto d’Italia a causa di tutti quei siciliani che hanno stipendi (quando li hanno) al di sotto della soglia della decenza.
fonte:LIVEsicilia
domenica 25 dicembre 2011
mercoledì 21 dicembre 2011
Un riscontro all’intervista “shock “ del prof. Massimo Costa
Corsi e ricorsi, vanità di una moda che va e che torna, assistiamo speranzosi all’ultima intervista del prof. Massimo Costa, sul futuro autonomo/indipendentista della Sicilia. Volutamente abbiamo usato il termine autonomo/indipendentista, perché anch’esso è una moda del nostro tempo : Sciocchi e ignoranti da una parte, furbi dall’altra, ciascuno nel loro ruolo, seppure differente, che inneggiano ad una Sicilia autonomistica e/o indipendente, senza rendersi conto che i due termini restano in antitesi fra di loro, con differente significato, ai quali non fa difetto l’estrema stranezza storica di eventi relativamente recenti, in virtù dei quali, al mancato raggiungimento dell’Indipendenza, seppure cercata col sacrificio e col sangue di un pugno di eletti indipendentisti, ha fatto seguito quel fumo inebriante dell’autonomia, quel contentino necessario per calmare le acque tempestose di una Sicilia quasi interamente separatista, alla quale viene concesso quel sonnifero letale che va sotto il nome di Autonomia, sterile mostriciattolo di politici senza onore, nei loro congiungimenti carnali con una baldracca, i cui figli cercano invano la loro infamante paternità. E’ l’Italia dalla pezza tricolore che ha generato quei figli rappresentati dalle varie regioni, figli di molti padri, figli di Cica come li chiamava Anacreonte già 2500 anni. E’ l’Italia dell’Unità, di quel re macellaio figlio di un macellaio, di quel Re ladro perciò soprannominato galantuomo; è l’Italia del saccheggio del Regno delle due Sicilie, è l’Italia dei Massoni, dei ladrocini, degli stupri, delle uccisioni, dei saccheggi, delle stragi perpetrate nelle terre di quel Sud florido e operoso; è l’Italia che comincia a scontare il giudizio della Religiosità Immanente della Storia, legge implacabile di giustizia che s’incarica di vendicare i torti, le menzogne, gli abomini, le sozzure tutte che, pinocchietti storici, votati ad un volgare lecchinaggio gratificante, descrivono ancora come eventi fulgidi e solari; e’ l’Italia del glorioso Garibaldi, il massone che reclutava e vendeva, lurido negriero opportunista, poveri schiavi nel Centro-Sud Americano, uno pseudo condottiero mezzo nano di appena un metro e sessanta, lentigginoso e pieno di acciacchi, sicuro precursore dei pedofili moderni, con quella bambina e moglie di quel ciabattino cornuto, cui il cielo concesse superba vendetta, se al glorioso eroe dei due mondi gli assegnò quell’altra moglie con la pancia già piena, estremo scorno di un latin lover divenuto un kèratàs, come direbbero i Greci. Anche oggi, al pari di sessantasei anni fa, tornerebbe di moda la negletta autonomia dell’Isola, se soltanto ci fossero nuovi morti e nuove uccisioni sulle piazze dell’Isola intera reclamanti la separazione o, mi si perdoni il termine, l’indipendenza da uno stato oppressivo, il millenario nemico della terra di Trinacria. E’ l’Italia dei nuovi Verre che spogliano la nostra Terra, di quella Patria del diritto che condannò quel tiranno sotto la sapiente regia del ballerino Cicerone, consentendo comunque al ladrone di soggiornare nel lusso della luminosa Marsiglia, fra prelibato caviale e profumato vino falerno. E’ l’Italia di sempre che ripercorre, con collaudata regia, lo sfruttamento della Sicilia, che rapina le sue risorse, che affama la sua gente e la immiserisce, che distrugge la gioventù dell’Isola, che profana il suo territorio con le sue torri di morte, là a Milazzo, a Priolo, che generosa elargisce a Gela fumi e primati di nascite deformi, dimenticando il suo mare, i commerci negletti, i suoi monumenti , le sue pianure incolte e abbandonate. E’ l’Italia benedetta dal Benedetto di turno, che elargisce celesti benedizioni ed eloquenti saluti coll’indice e il mignolo aperti, rinnovato saluto di appartenenza alla casta dei luminosi illuminati; è l’Italia del satanico euro, la moneta affamatrice dei popoli, della privata Banca Centrale Europea alla quale quella larva di Stato va a mendicare quella carta-straccia colorata che non sa stampare da sé, pagandole persino il colossale interesse che amici di merenda gaudenti spartiscono, nel lauto convivio di perversi abbuffini succhiasangue e la complicità lautamente retribuita degli italianissimi Padri della Patria, sotto la sapiente regia dei loro luminosi condottieri, alcuni rimbambiti, comunque esiziali, che proclamano apertamente l’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale, per distruggere l’identità delle Nazioni d’Europa e della nostra splendida Terra di Trinacria : “ La Sicilia è stanca della sua tristezza, della bestemmia che ode in mille lingue, dei fumi e dei vapori che appestano i suoi fondi, con scorie fetenti per i residenti, e la preziosa nafta mondata arricchisce soltanto le nordiche contrade “.Noi siamo, egregio prof. Costa, i figli di una madre violentata che,” miserrima, gode senza senno, da quando le tolsero il suo regno e i viceré le diedero da allora, cani muniti di catene che leccano i calzari del padrone e melensi abbaiano alla luna, bugiardi apostoli del sogno di un’Italia benefica e feconda “. Noi, egregio prof. Costa, non siamo Italiani, non lo siamo mai stati, semmai sudditi di una Nazione illegittimamente occupata da un nemico infame per 150 lunghissimi anni, alla ricerca del nostro orgoglio, della nostra etnia genuina, verso il nostro vero autentico traguardo : Noi siamo i discendenti dei Popoli del Mare del 1200 a.C., noi siamo i Sàkalas e proveniamo dal Sud del nostro sud e dall’Oriente; là dovrà indirizzarsi il nostro domani, la nostra speranza di popolo fecondo e laborioso, il nostro sviluppo, il nostro scambio socio-economico-culturale, lontano da questa Europa alla quale abbiamo insegnato i principi dell’essere e del divenire, la bandiera sotto la quale, con falsità e ingiustizia infinita, hanno costruito il loro mostro, il loro Occidente nauseabondo ormai morente, fatto di un miscuglio di razze che mai diverranno popoli civili : E’ la loro Europa, è la loro Terra fatta di sopraffazione e di fame, di miseria per i popoli che la compongono, è la testimonianza del nostro più grande errore commesso nel tempo passato, dimenticando altri Popoli, altre Genti, nel Sud del nostro Sud, che avrebbero meglio, e in modo fecondo, recepito la nostra insuperata e insuperabile civiltà, sviluppando con noi il cammino verso un mondo di giustizia sociale, di equità, di pace e di concordia dei popoli. Con i suoi fecondi insegnamenti, che lo videro grande fra i grandi del Sud, il compianto prof. Zitara ci esternò il suo profondo convincimento sulle sorti della Sicilia e sul suo futuro, che sarà ancora di lacrime e di sangue : “ La Sicilia “ ci disse, “ non sarà mai indipendente se vi affannerete a servirvi di metodi democratici “ , quei metodi che sono al servizio degli affamatori della gente, che servono agli oppressori per calmare le giuste rivendicazioni degli oppressi. E allora, ci chiediamo, Le chiediamo prof. Costa, ci serviremo forse di metodi rivoluzionari per portare la Sicilia alla sua irrinunciabile indipendenza ? Sì, metodi rivoluzionari, ma senza spargimento di sangue, rivoluzionari nell’animo e nel cuore, nel dissacrare falsi valori, nel dire ladro a chi ruba, nel dare dell’ascaro ad ogni partito che abbia dimenticato la sua appartenenza all’Isola nostra, ad ogni politico che trae linfa, sostegno e suffragio dalla nostra Terra, svendendo la propria identità ai nuovi Cesari, sulla pelle dei poveri, dei miseri, degli onesti, dei cosiddetti cittadini di un tempo remoto. Sul principio eterno dell’Autodeterminazione dei Popoli, potremo costruire l’indipendenza e il futuro glorioso e fecondo della nostra Terra, allontanando i politici e ogni colorazione partitica, allontanando coloro, tutti, nessuno escluso, che recitano ancora il ruolo di servi in livrea, che parlano di ponti e di colorate sozzure che rivelano soltanto le loro zozzerie. La forza della Sicilia, la certezza della sua Indipendenza irrinunciabile dovrà cercarsi fra la gente che lavora o che soffre in questa realtà isolana, fra sconfitte e timide affermazioni, fino a quando troveremo l’orgoglio di ritrovare la dignità di Popolo e Nazione, sotto la bandiera che fu di Antonio Canepa, seppure con i loro metodi democratici : L’invito alla lotta è rivolto a tutti coloro che hanno a cuore la rinascita della Sicilia, a tutti coloro che vogliono lasciare un retaggio di operosità e di benessere per i propri figli e i propri nipoti, una nuova realtà nella quale credere perché più giusta, più umana, più civile, più laboriosa. Le chiediamo, egregio prof. Massimo Costa, se non vorrà essere Lei colui che saprà recitare il ruolo di antesignano di questa nuova lotta, portabandiera di una realtà politico-economico-sociale nella quale trovi cittadinanza la nazionalizzazione delle banche, trasformate tutte in istituti di interesse nazionale, con l’utile d’esercizio destinato a beni di investimento pubblico. Ed ancora, dei prestiti concessi alle aziende operose per sviluppare le proprie libere iniziative volte alla produzione di beni e servizi accessibili a tutte le classi sociali, dove al cento di finanziamento prestato faccia riscontro il rimborso del 95% della somma prestata; della moneta emessa da organi statali siciliani, con la pronta convertibilità in metallo prezioso, al fine di svincolarlo da ogni sorta di nefasta speculazione operata sulla pelle dei poveri e dei cittadini onesti; della eliminazione della borsa valori; della statalizzazione della Banca di Controllo Siciliana, delle retribuzioni pubbliche limitate alla soglia di una generosa e giusta retribuzione di un pubblico funzionario statale, con il divieto, per ciascun cittadino della nuova Repubblica Siciliana, di poter disimpegnare per più di dieci anni un ruolo pubblico, recidendo in tal modo ogni sorta di cordone ombelicale coi poteri cosiddetti forti, mafiosi e malavitosi. In tali enunciati abbiamo ritenuto di semplificare una serie di convincimenti sui quali potrà recitare, se vorrà, con il nostro incondizionato sostegno, il ruolo che appartenne a coloro che ancora, i Siciliani autentici, ricordano con rispetto e orgoglio, per non smarrire gli insegnamenti sui quali costruire, noi o i nostri figli, il futuro della nostra Terra. Siciliani, amici e simpatizzanti dell’EVIS, nonché di qualsiasi altro Movimento che vorrà condividere il nostro pensiero, sapranno apprezzare il suo impegno politico se riterrà di sventolare quella stessa bandiera che illuminò gli altissimi ideali di Antonio Canepa e dei martiri di ogni tempo : Dalla nostra parte la certezza che altri 2500 anni di lotte, sul sangue dei nostri padri trasmesso ai nostri figli, se necessari, non potranno cancellare la certezza della conquista della nostra Indipendenza, della nostra identità di Popolo e Nazione Indipendente. AN TU DO , perciò, continuerà ad essere l’inno del nostro sacro peana, volto al raggiungimento di questo nostro obiettivo ineludibile. Viva l’EVIS, viva Canepa, viva la Sicilia Una, Libera, Grande, Indipendente.
Neva Allegra - Segretaria Nazionale dell' EVIS
Lucio Paladino - Vice segretario Nazionale dell' EVIS
Pietro Di Caro - Segretario Nazionale Giovanile dell' EVIS
Neva Allegra - Segretaria Nazionale dell' EVIS
Lucio Paladino - Vice segretario Nazionale dell' EVIS
Pietro Di Caro - Segretario Nazionale Giovanile dell' EVIS
martedì 20 dicembre 2011
Via la sola Sicilia dall’Unione Europea - Intervista schock di Massimo Costa
19 dicembre 2011 - Come hanno fatto le Faer Oer e altre regioni a statuto speciale, anche la Sicilia potrebbe stare meglio dicendo addio all’Europa. Come? Lo spiega a BlogSicilia, Massimo Costa, docente di Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Palermo.
Professor Costa, cos’è questa nuova idea che ci propone? Non le sembra questa volta di esagerare con il suo autonomismo?
So che con questa uscita mi farò molte, moltissime antipatie, nemici e perdita di stima da parte di colleghi e amici e forse anche editori i quali, credo, sinora mi hanno onorato del loro rispetto. So che non sarò capito soprattutto oltre lo Stretto. Ma giunge anche un momento in cui uno studioso ha il dovere di dire a chi studioso non è come crede che stiano realmente le cose e quale sia la strada per uscirne.
La mia idea è che non ha senso parlare di sopravvivenza economica (e quindi anche sociale, culturale, demografica, etc.) della Sicilia ovvero di “applicazione dello Statuto” dentro questa Europa. In questa Europa sottolineo, dentro “questa” Europa, e non quella che poteva avere in mente Altiero Spinelli o quella che ci hanno raccontato da ragazzi, non è possibile alcuna autonomia regionale per la semplice ragione che non è possibile neanche alcuna autonomia statale, né alcuna democrazia. Il recente accordo sullo spossessamento delle potestà fiscali e la loro messa sotto tutela delle istituzioni centrali europee (e quindi, in buona sostanza, della BCE, e quindi ancora, in ultima sostanza, delle spudorate oligarchie finanziarie che abbiamo ancora il coraggio di chiamare “i mercati”) fa pendant con i due recenti colpi di stato in Grecia e in Italia con i quali una casta inetta di politici ha venduto il Paese, il “nostro” Paese, in cambio del mantenimento di alcuni privilegi e di alcune rendite di posizione.
Ebbene in questo quadro io faccio una semplice catena di deduzioni logiche che mi porta a dire che l’unica soluzione per la sopravvivenza della Sicilia è soltanto la fuoriuscita unilaterale dall’Unione Europea, magari dopo un plebiscito e magari dopo un negoziato, ma che sia molto rapido e gestito con mano ferma e senza titubanze.
Da dove nasce questa catena di deduzioni che dice Lei?
Non è pensabile che la Sicilia sopravviva senza che detenga una qualche forma reale di autogoverno, poiché essa è un sistema economico equivalente a quello di una qualunque media nazione europea. L’unico possibile autogoverno che non metta in discussione l’unità politica dell’Italia, e quindi l’unico praticabile senza spargimento di sangue, è l’attuazione integrale e immediata dello Statuto del 1946. Ma lo Statuto del 1946, dopo il Trattato di Lisbona, e ancor piú dopo il recente accordo fiscale, non potrebbe che sopravvivere a brandelli, con l’aggravante che le poche decisioni in cui gli stati continuano a partecipare, sarebbero prese dall’Italia al posto nostro. In una parola l’Europa oggi equivale all’azzeramento della nostra Autonomia e allora bisogna scegliere: o schiavi in Europa o liberi in Sicilia e fuori dall’Europa. Io consiglio vivamente la seconda opzione. Poi…
Ma, sa, a sentirla, con tutte le titubanze che ci sono sullo Statuto, potrebbe venire anche di gettare la spugna. Dicono che i Siciliani non sappiano autogovernarsi, che vogliono privilegi oggi insostenibili, che comunque il dispositivo di questo Statuto sia vecchio. Insomma, saremmo uno scandalo al sole e lei difende l’idea dell’Autonomia sino al punto da volerla difenderla a prezzo di un incredibile isolamento?
Ancora con questi luoghi comuni? Ma per favore! I Siciliani che non sanno autogovernarsi sono quelli che hanno affidato per mezzo secolo ai partiti italiani la loro regione pseudo-autonoma. Mi trovi una regione autonoma in Europa, anzi nel mondo, che possa funzionare con gli stessi partiti che stanno al centro. È quello il controsenso. Poi, è vero, talvolta la lettera dello Statuto è “vecchiotta”, ma lo spirito, in ogni sua parte, è chiarissimo ed attuale. Si tratta di adattare agli istituti attuali un rapporto radicalmente confederale senza fare marcia indietro su alcun punto di quell’impianto originale, che mantiene tutta la propria validità. Ancora, non voglio proprio sentire parlare di privilegi: con lo Statuto che l’Italia non ci ha fatto mai applicare, non chiediamo piú niente a nessuno, tranne la perequazione infrastrutturale. O anche questa è un privilegio? Ci si deve decidere: o siamo italiani, e allora avere pari infrastrutture è un nostro preciso diritto, o non lo siamo, e allora non solo di autonomia, ma di indipendenza a questo punto si deve parlare. Quanto all’isolamento è solo una leggenda metropolitana. Piú autonomi si è, piú ci interfacciamo direttamente con il mondo esterno, meno sequestrati dal mondo siamo.
Ma come funzionerebbe nel concreto quel che propone?
Semplice, usciamo dall’Unione e da tutti i suoi obblighi, mantenendo a termine la legislazione per evitare il caos. Niente piú direttive e regolamenti che si applicano automaticamente, niente piú criteri di convergenza e patti di stabilità, niente piú corridoi europei o obblighi di fusione del nostro mercato nel grande mercato continentale che ci vede per forza soccombenti: forse al limite si potrebbe pensare anche ad una revoca dell’unione doganale e la creazione di una zona franca di libero scambio al centro del Mediterraneo. In realtà, se c’è buona volontà dalle altre parti, penserei ad un accordo simile a quello della Norvegia, non a caso anch’essa produttrice di petrolio, cioè dentro lo Spazio Economico Europeo e Schengen, ma fuori da tutto il resto, Eurozona inclusa ovviamente. Anche se su questo punto il discorso è un po’ complesso.
Ma è tecnicamente possibile? Facciamo parte dell’Italia.
E sulle materie che spettano all’Italia, dalla grande politica estera alle guerre, non metteremmo naso. Anche se lo Statuto – va ricordato – persino su queste materie ci concede un diritto di proposta. Quindi, tutt’al piú diciamo la nostra, ma lasciamo fare al Paese di cui facciamo parte. Se l’Italia su queste materie, o su quelle comunque statali, come i codici civile, procedurali e penale, vuole delegare in tutto o in parte le proprie funzioni all’Europa, su quelle, solo su quelle, seguiremo l’Europa anche noi, ma perché in essa vedremmo l’equivalente dello Stato italiano. Su tutte le altre materie no, decisamente no! Sulle competenze siciliane l’Italia non può, non avrebbe mai potuto, delegare materie che non erano di sua competenza alle istituzioni europee. Sulle materie a noi riservate dall’Autonomia del 1946, decidiamo noi e basta!
E cosí non moriremmo di fame?
Solo se avessimo un’economia da esportazione di prodotti finiti siciliani in Europa. Oggi abbiamo soltanto un’economia di rapina. Le nostre risorse, in buona sostanza, sono degli altri, che le comprano a quattro soldi. Domani dovrebbero pagarle. Non possono fare a meno delle nostre risorse energetiche né della nostra posizione geografica. E anche a beni culturali e ambientali, se li sfruttiamo bene, siamo messi proprio bene. Siamo in una posizione di forza e di monopolio, ma dobbiamo essere al di fuori del raggio d’azione della Commissione, della BCE e di altri strozzini di professione.
Insomma propone le stesse cose della Lega?
Ma io dico per davvero, non per acchiappare voti. Del resto per la cosiddetta “Padania” va detto che non è cosí facilmente separabile dall’Europa. Si tratta di due cose completamente diverse. E, con l’occasione, mi lasci dire una cosa. Tutto questo va fatto per salvare la democrazia e la libertà, anche quella di mercato, quella vera intendo. Quello che mi preoccupa nella deriva di questi mesi è che gli unici avversari dell’anarco-liberismo usurocrate imperante, travestito da liberalismo, non siano veri liberali e democratici, ma, di volta in volta, comunisti ortodossi, nazifascisti, nostalgici dell’antico regime, fanatici religiosi, e altri poco credibili nemici della modernità. E invece siamo noi gente comune che ci dobbiamo ribellare, non solo in Sicilia, e pur sempre nel nome di quei valori che sono scritti nella Costituzione repubblicana, vero monumento di civiltà giuridica che stiamo archiviando un po’ troppo in fretta.
Chi ci guadagna in sostanza da questa proposta in Sicilia?
In una battuta? Tutti quelli che oggi protestano piú fortemente, ma anche i tanti infelici che non hanno piú nemmeno la forza di protestare. Gli studenti che assaltano le banche sappiano che, con una nostra banca pubblica e regionale, la moneta emessa sarà sociale e gli istituti di credito con sede in Sicilia saranno assoggettati ad un nuovo regime etico, piú vicino all’uomo e lontano dalla speculazione globale. I produttori e i coltivatori oggi affamati dal brokeraggio globale sappiano che i loro prodotti arriveranno nei supermercati siciliani e saranno competitivi sul mercato esterno. Insomma, coltivare i campi o fare impresa, diventerà finalmente conveniente. Gli autotrasportatori pagherebbero finalmente meno il carburante, ma cosí anche tutti noi. Con la defiscalizzazione che ci potremo permettere attireremo investimenti e occupazione. Gli imprenditori pagheranno meno tasse, gli studenti e i giovani troveranno lavoro in Sicilia, i pensionati e i lavoratori dipendenti avranno una busta paga piú pesante. Insomma ci guadagneremmo tutti, tranne gli speculatori esterni e qualche potere forte nazionale.
Ma non è una proposta un po’ “separatista”? Non potrebbe proporre, come fanno in tanti oggi, più semplicemente l’uscita dell’Italia intera dall’Eurozona o addirittura dall’Unione Europea?
In tanti? Veramente mi sembra che, a parte alcune voci eccentriche, l’attuale governo, direttamente nominato dall’Europa, cioè dai soliti “mercati”, abbia al più qualche fronda ma pochi veri dissensi. Veda, l’Italia non è solo “troppo grande per fallire”, è anche “troppo grande per uscire” dall’Europa. La sua uscita sarebbe un cataclisma al quale né l’Europa, né l’Euro sopravviverebbero, e con queste, con ogni probabilità nemmeno il mondo occidentale come lo abbiamo conosciuto sinora. Per la Sicilia, invece, è molto diverso: si tratta di una regione transfrontaliera e insulare, una marca di confine che può e deve ritagliarsi condizioni particolari se è nel proprio interesse, senza che questo traumatizzi l’economia mondiale. Diversamente, se siamo cosí importanti e centrali, allora facciamola valere questa centralità una volta per tutte nei tavoli che contano, anziché essere dileggiati e umiliati un giorno sì e l’altro pure.
Potrebbe comunque restare un po’ odioso agli altri italiani il fatto che i Siciliani tentino una via di fuga da soli…
Non credo le cose stiano così. Se la Sicilia esce dall’Unione Europea va incontro ad un vero e proprio boom economico che presto dovremmo decidere addirittura di raffreddare. Questo contagerebbe immediatamente il vicino Sud Italia, con la definitiva sconfitta della sempiterna Questione Meridionale. Per l’Italia tutta sarebbero maggiori redditi tributari, sia per quei pochi che dalla Sicilia prendono la via del Continente, sia per quelli prodotti nel Sud, senza parlare della vicinanza di un nuovo mercato in espansione. Una vera frustata di salute all’economia del Paese. Tutto ciò le sembra poco? Certo, se la sudditanza semicoloniale del Sud, o il dualismo strutturale dell’Italia, devono essere assunti come dogmi, allora il tutto può sembrare eversivo. Ma di eversivo oggi vedo la continua discriminazione dei Siciliani che, da 150 anni, sono cittadini di serie C, persino dietro quelli di serie B del Centro-Sud.
In ogni caso non resta improponibile che una semplice Regione possa uscire dall’Unione?
Guardi che non saremmo la prima. Già la Danimarca, che conta due regioni a statuto speciale, lí si chiamano “Contee”, le ha viste uscire entrambe, una dopo l’altra, dall’Unione. La Groenlandia, che è rimasta “PTOM”, cioè appartenente ai “paesi e territori d’oltremare”, associati all’Europa con un regime di scambi “post-coloniale”, o forse dovrebbe dirsi “neocoloniale”, piú o meno come le ex-colonie europee, oggi chiamate ACP (paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico). Ma anche le Faer Oer, che sono uscite del tutto e senza tanti complimenti. Ci sono le Isole del Canale e l’Isola di Man, formalmente piccole corone in unione personale con il Regno Unito, di fatto sue piccole regioni a statuto speciale, che nell’Europa non sono mai entrate, come Gibilterra, del resto. E si potrebbe continuare: ci sono le regioni “ultraperiferiche”, che stanno dentro ma solo a metà, come le Canarie ad esempio, che sono fuori dalla linea doganale europea; poi ci sono eccezioni fiscali di ogni sorta, per regioni insulari come la Corsica, o di montagna come il Galles, o transfrontaliere o artiche. A quanto pare l’unica regione derelitta per cui non è possibile alcuna deroga in modo assoluto sembra essere proprio la Sicilia.
Vuole dire che in questa Europa la legge “non è uguale per tutti”?
Certo che no. Quando, tempo addietro, la Sicilia tentò di usare l’autonomia fiscale scritta nel suo Statuto, che è legge costituzionale, il Commissario Mario Monti bloccò ogni iniziativa in tal senso, bollandola come “aiuto di stato”. Ora che simili potestà sono accordate a regioni come la Navarra o la Catalogna o la Scozia, ovviamente non parla nessuno. Tutti i cittadini europei saranno eguali davanti alla legge, ma di certo i Siciliani lo sono meno degli altri.
E con la moneta come la mettiamo?
Beh, tanto per cominciare la Sicilia potrebbe accontentarsi di emettere una moneta complementare regionale, che però abbia valore legale all’interno del suo territorio, in doppia circolazione con l’euro. Questa moneta, emessa da una Banca Centrale Regionale in totali mani pubbliche, ed emessa totalmente a beneficio del Governo siciliano, emanciperebbe da sola la Sicilia dallo strozzinaggio europeo. Per liberarci del tutto dell’Euro, invece, o del “pizzo” del Dollaro per gli scambi internazionali, i tempi non mi sembrano maturi. La Sicilia oggi è ancora debole, e forse deve accettare i compromessi di una sovranità limitata. Nondimeno l’Italia ha il dovere restituire alla Sicilia le riserve auree confiscate al Banco di Sicilia nel 1926 e da quelle si deve ripartire per costituire delle riserve auree e valutarie autonome, con le quali cominciare a giocare la nostra piccola partita, di stato regionale autonomo, peraltro come già previsto dallo Statuto del 1946, che voleva proprio che la Sicilia gestisse in autonomia le proprie riserve.
Ma cosí perdiamo i fondi FAS e in genere tutte le misure strutturali dell’Europa.
Che in tanti anni hanno creato solo assistenzialismo e mai vere infrastrutture allo sviluppo. Del resto l’intermediazione italiana su questi fondi si è rivelata cosí pesante da renderli del tutto vani. Credo però che sarà interesse dell’Europa, almeno in parte, negoziare con noi alcuni aiuti di carattere infrastrutturale sotto forma di cooperazione allo sviluppo, esattamente come si fa con i paesi decolonizzati. Con la differenza che ancora noi ci dobbiamo decolonizzare. È del tutto inutile fingere di essere in Assia, quando siamo praticamente nel Maghreb; rischiamo di restare sospesi con il peggio di entrambe le condizioni: quella di essere e quella di non essere in Europa.
Insomma una Sicilia italiana ma non piú europea. Pensa che i Siciliani sarebbero d’accordo?
Italiana, nel senso di regione veramente autonoma, e non solo sulla carta o per i privilegi dei deputati dell’ARS, sì. E non piú europea, proprio così, almeno nel senso della sudditanza all’Unione. Vorrà dire che come gli inglesi diremo che “Il Continente è isolato”. Ma, quanto al consenso dei siciliani, se ci facciamo un giro per i mercati o i bar a chiedere che cosa ne pensano dell’Euro, e dell’attuale governo, credo che questa uscita sarebbe acclamata a furor di popolo. Poi, ad ogni modo, ho detto che ci vuole un referendum, anzi un plebiscito. Chi ha paura di ricorrere al voto popolare per sapere cosa pensano i siciliani?
Quindi via dall’Europa, senza rimpianti?
Senza neanche pensarci due volte, questa Europa per noi è come appartenere ad un club che ci impone un tenore di vita insostenibile. Si ricordi che un anno di accise petrolifere date alla Sicilia azzera il debito della Regione e due anche quello degli enti locali e andiamo in tripla A, davanti agli USA.
E delle bandiere europee che sventolano dappertutto che ne facciamo?
Non me lo faccia dire esplicitamente, credo di rischiare qualche reato.
E il Presidente della Repubblica? E quello del Consiglio? Ci rimarrebbero male.
Se ne faranno una ragione. Ricordi il Presidente che ad accoglierlo in Sicilia ci sono state solo bandiere siciliane e che ancora non ha risposto ad un pubblico appello di cittadini che gli chiedevano com’era andata a finire con l’applicazione dello Statuto.
Un’ultima osservazione. E se per colpa nostra l’Italia andasse in default e con essa cadesse l’Europa intera?
Ma che dice? Che l’Europa sta in piedi per miracolo e che se togliamo la pietruzza della Sicilia da sotto crolla tutto? Suvvia. Non ci sopravvalutiamo. Comunque, se cosí fosse, vorrebbe dire che stanno vivendo alle nostre spalle. Ci faremo una ragione anche di questo evento. Il sole l’indomani sorgerà, e forse sarà ancora piú radioso, rispetto a questo euroincubo.
fonte.BlogSicilia
Professor Costa, cos’è questa nuova idea che ci propone? Non le sembra questa volta di esagerare con il suo autonomismo?
So che con questa uscita mi farò molte, moltissime antipatie, nemici e perdita di stima da parte di colleghi e amici e forse anche editori i quali, credo, sinora mi hanno onorato del loro rispetto. So che non sarò capito soprattutto oltre lo Stretto. Ma giunge anche un momento in cui uno studioso ha il dovere di dire a chi studioso non è come crede che stiano realmente le cose e quale sia la strada per uscirne.
La mia idea è che non ha senso parlare di sopravvivenza economica (e quindi anche sociale, culturale, demografica, etc.) della Sicilia ovvero di “applicazione dello Statuto” dentro questa Europa. In questa Europa sottolineo, dentro “questa” Europa, e non quella che poteva avere in mente Altiero Spinelli o quella che ci hanno raccontato da ragazzi, non è possibile alcuna autonomia regionale per la semplice ragione che non è possibile neanche alcuna autonomia statale, né alcuna democrazia. Il recente accordo sullo spossessamento delle potestà fiscali e la loro messa sotto tutela delle istituzioni centrali europee (e quindi, in buona sostanza, della BCE, e quindi ancora, in ultima sostanza, delle spudorate oligarchie finanziarie che abbiamo ancora il coraggio di chiamare “i mercati”) fa pendant con i due recenti colpi di stato in Grecia e in Italia con i quali una casta inetta di politici ha venduto il Paese, il “nostro” Paese, in cambio del mantenimento di alcuni privilegi e di alcune rendite di posizione.
Ebbene in questo quadro io faccio una semplice catena di deduzioni logiche che mi porta a dire che l’unica soluzione per la sopravvivenza della Sicilia è soltanto la fuoriuscita unilaterale dall’Unione Europea, magari dopo un plebiscito e magari dopo un negoziato, ma che sia molto rapido e gestito con mano ferma e senza titubanze.
Da dove nasce questa catena di deduzioni che dice Lei?
Non è pensabile che la Sicilia sopravviva senza che detenga una qualche forma reale di autogoverno, poiché essa è un sistema economico equivalente a quello di una qualunque media nazione europea. L’unico possibile autogoverno che non metta in discussione l’unità politica dell’Italia, e quindi l’unico praticabile senza spargimento di sangue, è l’attuazione integrale e immediata dello Statuto del 1946. Ma lo Statuto del 1946, dopo il Trattato di Lisbona, e ancor piú dopo il recente accordo fiscale, non potrebbe che sopravvivere a brandelli, con l’aggravante che le poche decisioni in cui gli stati continuano a partecipare, sarebbero prese dall’Italia al posto nostro. In una parola l’Europa oggi equivale all’azzeramento della nostra Autonomia e allora bisogna scegliere: o schiavi in Europa o liberi in Sicilia e fuori dall’Europa. Io consiglio vivamente la seconda opzione. Poi…
Ma, sa, a sentirla, con tutte le titubanze che ci sono sullo Statuto, potrebbe venire anche di gettare la spugna. Dicono che i Siciliani non sappiano autogovernarsi, che vogliono privilegi oggi insostenibili, che comunque il dispositivo di questo Statuto sia vecchio. Insomma, saremmo uno scandalo al sole e lei difende l’idea dell’Autonomia sino al punto da volerla difenderla a prezzo di un incredibile isolamento?
Ancora con questi luoghi comuni? Ma per favore! I Siciliani che non sanno autogovernarsi sono quelli che hanno affidato per mezzo secolo ai partiti italiani la loro regione pseudo-autonoma. Mi trovi una regione autonoma in Europa, anzi nel mondo, che possa funzionare con gli stessi partiti che stanno al centro. È quello il controsenso. Poi, è vero, talvolta la lettera dello Statuto è “vecchiotta”, ma lo spirito, in ogni sua parte, è chiarissimo ed attuale. Si tratta di adattare agli istituti attuali un rapporto radicalmente confederale senza fare marcia indietro su alcun punto di quell’impianto originale, che mantiene tutta la propria validità. Ancora, non voglio proprio sentire parlare di privilegi: con lo Statuto che l’Italia non ci ha fatto mai applicare, non chiediamo piú niente a nessuno, tranne la perequazione infrastrutturale. O anche questa è un privilegio? Ci si deve decidere: o siamo italiani, e allora avere pari infrastrutture è un nostro preciso diritto, o non lo siamo, e allora non solo di autonomia, ma di indipendenza a questo punto si deve parlare. Quanto all’isolamento è solo una leggenda metropolitana. Piú autonomi si è, piú ci interfacciamo direttamente con il mondo esterno, meno sequestrati dal mondo siamo.
Ma come funzionerebbe nel concreto quel che propone?
Semplice, usciamo dall’Unione e da tutti i suoi obblighi, mantenendo a termine la legislazione per evitare il caos. Niente piú direttive e regolamenti che si applicano automaticamente, niente piú criteri di convergenza e patti di stabilità, niente piú corridoi europei o obblighi di fusione del nostro mercato nel grande mercato continentale che ci vede per forza soccombenti: forse al limite si potrebbe pensare anche ad una revoca dell’unione doganale e la creazione di una zona franca di libero scambio al centro del Mediterraneo. In realtà, se c’è buona volontà dalle altre parti, penserei ad un accordo simile a quello della Norvegia, non a caso anch’essa produttrice di petrolio, cioè dentro lo Spazio Economico Europeo e Schengen, ma fuori da tutto il resto, Eurozona inclusa ovviamente. Anche se su questo punto il discorso è un po’ complesso.
Ma è tecnicamente possibile? Facciamo parte dell’Italia.
E sulle materie che spettano all’Italia, dalla grande politica estera alle guerre, non metteremmo naso. Anche se lo Statuto – va ricordato – persino su queste materie ci concede un diritto di proposta. Quindi, tutt’al piú diciamo la nostra, ma lasciamo fare al Paese di cui facciamo parte. Se l’Italia su queste materie, o su quelle comunque statali, come i codici civile, procedurali e penale, vuole delegare in tutto o in parte le proprie funzioni all’Europa, su quelle, solo su quelle, seguiremo l’Europa anche noi, ma perché in essa vedremmo l’equivalente dello Stato italiano. Su tutte le altre materie no, decisamente no! Sulle competenze siciliane l’Italia non può, non avrebbe mai potuto, delegare materie che non erano di sua competenza alle istituzioni europee. Sulle materie a noi riservate dall’Autonomia del 1946, decidiamo noi e basta!
E cosí non moriremmo di fame?
Solo se avessimo un’economia da esportazione di prodotti finiti siciliani in Europa. Oggi abbiamo soltanto un’economia di rapina. Le nostre risorse, in buona sostanza, sono degli altri, che le comprano a quattro soldi. Domani dovrebbero pagarle. Non possono fare a meno delle nostre risorse energetiche né della nostra posizione geografica. E anche a beni culturali e ambientali, se li sfruttiamo bene, siamo messi proprio bene. Siamo in una posizione di forza e di monopolio, ma dobbiamo essere al di fuori del raggio d’azione della Commissione, della BCE e di altri strozzini di professione.
Insomma propone le stesse cose della Lega?
Ma io dico per davvero, non per acchiappare voti. Del resto per la cosiddetta “Padania” va detto che non è cosí facilmente separabile dall’Europa. Si tratta di due cose completamente diverse. E, con l’occasione, mi lasci dire una cosa. Tutto questo va fatto per salvare la democrazia e la libertà, anche quella di mercato, quella vera intendo. Quello che mi preoccupa nella deriva di questi mesi è che gli unici avversari dell’anarco-liberismo usurocrate imperante, travestito da liberalismo, non siano veri liberali e democratici, ma, di volta in volta, comunisti ortodossi, nazifascisti, nostalgici dell’antico regime, fanatici religiosi, e altri poco credibili nemici della modernità. E invece siamo noi gente comune che ci dobbiamo ribellare, non solo in Sicilia, e pur sempre nel nome di quei valori che sono scritti nella Costituzione repubblicana, vero monumento di civiltà giuridica che stiamo archiviando un po’ troppo in fretta.
Chi ci guadagna in sostanza da questa proposta in Sicilia?
In una battuta? Tutti quelli che oggi protestano piú fortemente, ma anche i tanti infelici che non hanno piú nemmeno la forza di protestare. Gli studenti che assaltano le banche sappiano che, con una nostra banca pubblica e regionale, la moneta emessa sarà sociale e gli istituti di credito con sede in Sicilia saranno assoggettati ad un nuovo regime etico, piú vicino all’uomo e lontano dalla speculazione globale. I produttori e i coltivatori oggi affamati dal brokeraggio globale sappiano che i loro prodotti arriveranno nei supermercati siciliani e saranno competitivi sul mercato esterno. Insomma, coltivare i campi o fare impresa, diventerà finalmente conveniente. Gli autotrasportatori pagherebbero finalmente meno il carburante, ma cosí anche tutti noi. Con la defiscalizzazione che ci potremo permettere attireremo investimenti e occupazione. Gli imprenditori pagheranno meno tasse, gli studenti e i giovani troveranno lavoro in Sicilia, i pensionati e i lavoratori dipendenti avranno una busta paga piú pesante. Insomma ci guadagneremmo tutti, tranne gli speculatori esterni e qualche potere forte nazionale.
Ma non è una proposta un po’ “separatista”? Non potrebbe proporre, come fanno in tanti oggi, più semplicemente l’uscita dell’Italia intera dall’Eurozona o addirittura dall’Unione Europea?
In tanti? Veramente mi sembra che, a parte alcune voci eccentriche, l’attuale governo, direttamente nominato dall’Europa, cioè dai soliti “mercati”, abbia al più qualche fronda ma pochi veri dissensi. Veda, l’Italia non è solo “troppo grande per fallire”, è anche “troppo grande per uscire” dall’Europa. La sua uscita sarebbe un cataclisma al quale né l’Europa, né l’Euro sopravviverebbero, e con queste, con ogni probabilità nemmeno il mondo occidentale come lo abbiamo conosciuto sinora. Per la Sicilia, invece, è molto diverso: si tratta di una regione transfrontaliera e insulare, una marca di confine che può e deve ritagliarsi condizioni particolari se è nel proprio interesse, senza che questo traumatizzi l’economia mondiale. Diversamente, se siamo cosí importanti e centrali, allora facciamola valere questa centralità una volta per tutte nei tavoli che contano, anziché essere dileggiati e umiliati un giorno sì e l’altro pure.
Potrebbe comunque restare un po’ odioso agli altri italiani il fatto che i Siciliani tentino una via di fuga da soli…
Non credo le cose stiano così. Se la Sicilia esce dall’Unione Europea va incontro ad un vero e proprio boom economico che presto dovremmo decidere addirittura di raffreddare. Questo contagerebbe immediatamente il vicino Sud Italia, con la definitiva sconfitta della sempiterna Questione Meridionale. Per l’Italia tutta sarebbero maggiori redditi tributari, sia per quei pochi che dalla Sicilia prendono la via del Continente, sia per quelli prodotti nel Sud, senza parlare della vicinanza di un nuovo mercato in espansione. Una vera frustata di salute all’economia del Paese. Tutto ciò le sembra poco? Certo, se la sudditanza semicoloniale del Sud, o il dualismo strutturale dell’Italia, devono essere assunti come dogmi, allora il tutto può sembrare eversivo. Ma di eversivo oggi vedo la continua discriminazione dei Siciliani che, da 150 anni, sono cittadini di serie C, persino dietro quelli di serie B del Centro-Sud.
In ogni caso non resta improponibile che una semplice Regione possa uscire dall’Unione?
Guardi che non saremmo la prima. Già la Danimarca, che conta due regioni a statuto speciale, lí si chiamano “Contee”, le ha viste uscire entrambe, una dopo l’altra, dall’Unione. La Groenlandia, che è rimasta “PTOM”, cioè appartenente ai “paesi e territori d’oltremare”, associati all’Europa con un regime di scambi “post-coloniale”, o forse dovrebbe dirsi “neocoloniale”, piú o meno come le ex-colonie europee, oggi chiamate ACP (paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico). Ma anche le Faer Oer, che sono uscite del tutto e senza tanti complimenti. Ci sono le Isole del Canale e l’Isola di Man, formalmente piccole corone in unione personale con il Regno Unito, di fatto sue piccole regioni a statuto speciale, che nell’Europa non sono mai entrate, come Gibilterra, del resto. E si potrebbe continuare: ci sono le regioni “ultraperiferiche”, che stanno dentro ma solo a metà, come le Canarie ad esempio, che sono fuori dalla linea doganale europea; poi ci sono eccezioni fiscali di ogni sorta, per regioni insulari come la Corsica, o di montagna come il Galles, o transfrontaliere o artiche. A quanto pare l’unica regione derelitta per cui non è possibile alcuna deroga in modo assoluto sembra essere proprio la Sicilia.
Vuole dire che in questa Europa la legge “non è uguale per tutti”?
Certo che no. Quando, tempo addietro, la Sicilia tentò di usare l’autonomia fiscale scritta nel suo Statuto, che è legge costituzionale, il Commissario Mario Monti bloccò ogni iniziativa in tal senso, bollandola come “aiuto di stato”. Ora che simili potestà sono accordate a regioni come la Navarra o la Catalogna o la Scozia, ovviamente non parla nessuno. Tutti i cittadini europei saranno eguali davanti alla legge, ma di certo i Siciliani lo sono meno degli altri.
E con la moneta come la mettiamo?
Beh, tanto per cominciare la Sicilia potrebbe accontentarsi di emettere una moneta complementare regionale, che però abbia valore legale all’interno del suo territorio, in doppia circolazione con l’euro. Questa moneta, emessa da una Banca Centrale Regionale in totali mani pubbliche, ed emessa totalmente a beneficio del Governo siciliano, emanciperebbe da sola la Sicilia dallo strozzinaggio europeo. Per liberarci del tutto dell’Euro, invece, o del “pizzo” del Dollaro per gli scambi internazionali, i tempi non mi sembrano maturi. La Sicilia oggi è ancora debole, e forse deve accettare i compromessi di una sovranità limitata. Nondimeno l’Italia ha il dovere restituire alla Sicilia le riserve auree confiscate al Banco di Sicilia nel 1926 e da quelle si deve ripartire per costituire delle riserve auree e valutarie autonome, con le quali cominciare a giocare la nostra piccola partita, di stato regionale autonomo, peraltro come già previsto dallo Statuto del 1946, che voleva proprio che la Sicilia gestisse in autonomia le proprie riserve.
Ma cosí perdiamo i fondi FAS e in genere tutte le misure strutturali dell’Europa.
Che in tanti anni hanno creato solo assistenzialismo e mai vere infrastrutture allo sviluppo. Del resto l’intermediazione italiana su questi fondi si è rivelata cosí pesante da renderli del tutto vani. Credo però che sarà interesse dell’Europa, almeno in parte, negoziare con noi alcuni aiuti di carattere infrastrutturale sotto forma di cooperazione allo sviluppo, esattamente come si fa con i paesi decolonizzati. Con la differenza che ancora noi ci dobbiamo decolonizzare. È del tutto inutile fingere di essere in Assia, quando siamo praticamente nel Maghreb; rischiamo di restare sospesi con il peggio di entrambe le condizioni: quella di essere e quella di non essere in Europa.
Insomma una Sicilia italiana ma non piú europea. Pensa che i Siciliani sarebbero d’accordo?
Italiana, nel senso di regione veramente autonoma, e non solo sulla carta o per i privilegi dei deputati dell’ARS, sì. E non piú europea, proprio così, almeno nel senso della sudditanza all’Unione. Vorrà dire che come gli inglesi diremo che “Il Continente è isolato”. Ma, quanto al consenso dei siciliani, se ci facciamo un giro per i mercati o i bar a chiedere che cosa ne pensano dell’Euro, e dell’attuale governo, credo che questa uscita sarebbe acclamata a furor di popolo. Poi, ad ogni modo, ho detto che ci vuole un referendum, anzi un plebiscito. Chi ha paura di ricorrere al voto popolare per sapere cosa pensano i siciliani?
Quindi via dall’Europa, senza rimpianti?
Senza neanche pensarci due volte, questa Europa per noi è come appartenere ad un club che ci impone un tenore di vita insostenibile. Si ricordi che un anno di accise petrolifere date alla Sicilia azzera il debito della Regione e due anche quello degli enti locali e andiamo in tripla A, davanti agli USA.
E delle bandiere europee che sventolano dappertutto che ne facciamo?
Non me lo faccia dire esplicitamente, credo di rischiare qualche reato.
E il Presidente della Repubblica? E quello del Consiglio? Ci rimarrebbero male.
Se ne faranno una ragione. Ricordi il Presidente che ad accoglierlo in Sicilia ci sono state solo bandiere siciliane e che ancora non ha risposto ad un pubblico appello di cittadini che gli chiedevano com’era andata a finire con l’applicazione dello Statuto.
Un’ultima osservazione. E se per colpa nostra l’Italia andasse in default e con essa cadesse l’Europa intera?
Ma che dice? Che l’Europa sta in piedi per miracolo e che se togliamo la pietruzza della Sicilia da sotto crolla tutto? Suvvia. Non ci sopravvalutiamo. Comunque, se cosí fosse, vorrebbe dire che stanno vivendo alle nostre spalle. Ci faremo una ragione anche di questo evento. Il sole l’indomani sorgerà, e forse sarà ancora piú radioso, rispetto a questo euroincubo.
fonte.BlogSicilia
sabato 10 dicembre 2011
Ma non vi ribolle il sangue ?
Noi siamo il malaffare e la mafia per definizione.
Almeno finché faremo parte di questa "benedetta" Italia.
Le nostre ragioni saranno sistematicamente ignorate. Siamo un limone da spremere e basta. E hanno sufficienti giornali e TV, anche in Sicilia, per convincere persino noi stessi di essere i responsabili di tutto, anzi gli unici responsabili.
La legge che attribuisce alla Sicilia le entrate da accise petrolifere, sarà sicuramente sconfitta al Parlamento mentre il declassamento dell'Assemblea sarà approvato senza colpo ferire e senza neanche dirci grazie.
L'unica soluzione sarebbe l'ultimatum.
La Sicilia chieda all'Italia di fare da sola, di applicare integralmente lo Statuto, rinunciando a tutte le pelose perequazioni che non perequano mai un bel niente. Rinunciamo pure al fondo di solidarietà nazionale.
Si tenga l'Italia la sola difesa, la rappresentanza estera e il debito pubblico, per le quali cose doniamo loro il 10 % delle entrate sulle accise. Per il resto ci facciamo carico di tutto, ma disponiamo di tutti i tributi come uno stato europeo sovrano.
Aderiamo all'euro con una nostra banca centrale. Emettiamo una moneta regionale complementare parallela all'euro per i soli scambi interni e con questa azzeriamo l'indebitamento.
Limitiamo la competenza legislativa esclusiva dello stato ai trattati internazionali ed ai quattro codici, aboliamo la competenza concorrente: su tutte le altre materie le leggi dello Stato semplicemente "non" abbiano applicazione in Sicilia.
Ci facciamo la nostra polizia e la nostra guardia di finanza.
Sottoponiamo tutti gli enti pubblici risedenti in Sicilia e tutti gli enti locali alla sola legislazione ed al solo controllo della Regione.
Trasferiamo tutta l'amministrazione statale alla Regione, compresa l'agenzia delle entrate, gli interni e gli uffici periferici del Tesoro. Rinunciamo alla presenza del Presidente della Regione nel Governo e mandiamo una rappresentanza permanente a Roma a rappresentare gli interessi della Regione.
Chiediamo a Bruxelles l'aggiunta di un protocollo ai Trattati per rispettare lo Statuto speciale della Sicilia in omaggio all'art.174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione che autorizza norme particolari per le regioni insulari e transfrontaliere.
Nominiamo da soli un'intera Alta Corte per la Regione Siciliana, lasciando alla Corte Costituzionale la competenza soltanto sulle poche materie riservate alla legislazione statale. Conflitti di competenza non potrebbero essercene più, visto che quasi tutto sarebbe di nostra competenza, e comunque si potrebbe costituire un "giurì" misto tra le due corti per eventuali casi dubbi, o, al limite, un arbitrato internazionale.
Rilanciamo con una nuova versione dell'Autonomia, questa volta apertamente confederale. E minacciamo l'Italia che, se non la accetterà, saremo noi ad andarcene, ma non per "separatismo", sebbene per legittima difesa, in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli.
Non dimentichiamo che gli atti che hanno segnato l'annessione dello Stato di Sicilia all'Italia sono manifestamente nulli e che la "sanatoria" data dallo Statuto del 1946 è stata comunque ampiamente disattesa dallo Stato italiano.
Ma per far questo ci vorrebbero un Governo, una maggioranza parlamentare, e soprattutto un Popolo sveglio, in piedi, in fiamme... Ci vorrebbe qualcuno che spiegasse ai Siciliani che se non faremo così per noi sarà una lenta asfissia, come dimostrato da tutte le proiezioni economiche sui prossimi decenni.
Altrimenti rassegniamoci al razzismo, al dileggio, alla sottomissione, all'umiliazione continua.
Ma non vi ribolle il sangue? Ma siete davvero così complessati da non reagire, sorelle e fratelli siciliani?
Massimo Costa
Almeno finché faremo parte di questa "benedetta" Italia.
Le nostre ragioni saranno sistematicamente ignorate. Siamo un limone da spremere e basta. E hanno sufficienti giornali e TV, anche in Sicilia, per convincere persino noi stessi di essere i responsabili di tutto, anzi gli unici responsabili.
La legge che attribuisce alla Sicilia le entrate da accise petrolifere, sarà sicuramente sconfitta al Parlamento mentre il declassamento dell'Assemblea sarà approvato senza colpo ferire e senza neanche dirci grazie.
L'unica soluzione sarebbe l'ultimatum.
La Sicilia chieda all'Italia di fare da sola, di applicare integralmente lo Statuto, rinunciando a tutte le pelose perequazioni che non perequano mai un bel niente. Rinunciamo pure al fondo di solidarietà nazionale.
Si tenga l'Italia la sola difesa, la rappresentanza estera e il debito pubblico, per le quali cose doniamo loro il 10 % delle entrate sulle accise. Per il resto ci facciamo carico di tutto, ma disponiamo di tutti i tributi come uno stato europeo sovrano.
Aderiamo all'euro con una nostra banca centrale. Emettiamo una moneta regionale complementare parallela all'euro per i soli scambi interni e con questa azzeriamo l'indebitamento.
Limitiamo la competenza legislativa esclusiva dello stato ai trattati internazionali ed ai quattro codici, aboliamo la competenza concorrente: su tutte le altre materie le leggi dello Stato semplicemente "non" abbiano applicazione in Sicilia.
Ci facciamo la nostra polizia e la nostra guardia di finanza.
Sottoponiamo tutti gli enti pubblici risedenti in Sicilia e tutti gli enti locali alla sola legislazione ed al solo controllo della Regione.
Trasferiamo tutta l'amministrazione statale alla Regione, compresa l'agenzia delle entrate, gli interni e gli uffici periferici del Tesoro. Rinunciamo alla presenza del Presidente della Regione nel Governo e mandiamo una rappresentanza permanente a Roma a rappresentare gli interessi della Regione.
Chiediamo a Bruxelles l'aggiunta di un protocollo ai Trattati per rispettare lo Statuto speciale della Sicilia in omaggio all'art.174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione che autorizza norme particolari per le regioni insulari e transfrontaliere.
Nominiamo da soli un'intera Alta Corte per la Regione Siciliana, lasciando alla Corte Costituzionale la competenza soltanto sulle poche materie riservate alla legislazione statale. Conflitti di competenza non potrebbero essercene più, visto che quasi tutto sarebbe di nostra competenza, e comunque si potrebbe costituire un "giurì" misto tra le due corti per eventuali casi dubbi, o, al limite, un arbitrato internazionale.
Rilanciamo con una nuova versione dell'Autonomia, questa volta apertamente confederale. E minacciamo l'Italia che, se non la accetterà, saremo noi ad andarcene, ma non per "separatismo", sebbene per legittima difesa, in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli.
Non dimentichiamo che gli atti che hanno segnato l'annessione dello Stato di Sicilia all'Italia sono manifestamente nulli e che la "sanatoria" data dallo Statuto del 1946 è stata comunque ampiamente disattesa dallo Stato italiano.
Ma per far questo ci vorrebbero un Governo, una maggioranza parlamentare, e soprattutto un Popolo sveglio, in piedi, in fiamme... Ci vorrebbe qualcuno che spiegasse ai Siciliani che se non faremo così per noi sarà una lenta asfissia, come dimostrato da tutte le proiezioni economiche sui prossimi decenni.
Altrimenti rassegniamoci al razzismo, al dileggio, alla sottomissione, all'umiliazione continua.
Ma non vi ribolle il sangue? Ma siete davvero così complessati da non reagire, sorelle e fratelli siciliani?
Massimo Costa
martedì 6 dicembre 2011
Addio ai treni notturni tra Nord e Sud cancellato anche il "Treno del sole"
Per decenni i loro nomi evocativi sono stati un simbolo dell'Italia unita e dell'emigrazione: Treno del sole, Trinacria, Treno dell'Etna. Un simbolo che adesso finirà nei ricordi: dal prossimo 12 dicembre chi dalla Sicilia vorrà raggiungere Milano, Torino e Venezia non potrà più farlo in treno. Con il nuovo orario invernale, Trenitalia ha deciso di cancellare gli ultimi tre collegamenti diretti che erano rimasti con le città del Nord. Fermata obbligata diventerà Roma.
Nel 2005 erano 56 i treni circolanti da Nord a Sud e viceversa. Oggi sono 26, e da lunedì prossimo saranno dieci. I sindacati Fit Cisl e Filt Cgil denunciano i numeri che illustrano il disimpegno del gruppo Ferrovie dello Stato dalla Sicilia. "È il colpo di grazia - denuncia Franco Spanò, segretario generale della Filt Cgil - Viene negato ai siciliani il diritto alla mobilità e alla continuità territoriale". Oltre ai disagi per i passeggeri, secondo i calcoli della Fit Cisl, spariranno oltre 150 posti di lavoro tra macchinisti, capi treno, operatori della manutenzione e personale dell'indotto ferroviario.
Attualmente sono 26 i treni che uniscono le città siciliane al resto d'Italia, dal 12 dicembre diventeranno cinque da Palermo e cinque da Siracusa, tutti con destinazione Roma. Verranno cancellati del tutto il Palermo/Siracusa-Torino (Treno del sole), il Palermo/Siracusa-Milano (Trinacria) e il Palermo/Siracusa-Venezia (Freccia della Laguna). Soppresso anche l'Agrigento-Roma e viceversa.
Se gli abitanti della città dei Templi vorranno raggiungere la capitale dovranno optare per il pullman.
Chi, invece, sceglierà di viaggiare in treno verso una città più a nord di Roma, sarà costretto a scendere comunque nella capitale e cambiare convoglio. "Attualmente il costo medio per andare da Palermo a Milano con un treno notte è di cento euro - afferma Spanò - Da dicembre non si sa". Trenitalia, che fornisce i servizi su commissione del ministero delle Infrastrutture, garantirà integrazioni tariffarie sui collegamenti da Roma in su per chi proviene dalla Sicilia. "Ma in questo momento è una promessa del tutto astratta - spiega Spanò - Non sappiamo se sarà mantenuta, quanto durerà e come si eserciterà. Abbiamo chiesto più volte un confronto, ma non abbiamo avuto notizie".
Resta incerto anche il futuro dei vagoni letto sui treni notte per Roma, visto che ad oggi è impossibile prenotare un posto per il 12 dicembre. Secondo i dati della Fit Cisl in quattro anni, dal 2006 al 2010, a causa dei tagli operati da Rfi e Trenitalia, il numero di passeggeri trasportati tra le due sponde dello stretto si è ridotto di un milione e duecentomila unità. Sulle decisioni di Trenitalia ha influito il pesante taglio sul trasferimento di risorse da parte del precedente governo, che ha spinto i dirigenti dell'azienda pubblica a tagliare le linee economicamente svantaggiose. "Un servizio obsoleto che aveva senso vent'anni fa" spiegano dall'ufficio stampa di Trenitalia, secondo cui, con l'eccezione dell'alta stagione, i treni notte vengono scelti da poche decine di persone.
Soltanto nel triennio 2008-2010 c'è stato un calo del 25 per cento di passeggeri. "Che il numero dei passeggeri sui treni notte dalla Sicilia fosse basso è una falsità - spiega il segretario Filt Cgil Spanò - Anzi, da un anno e mezzo Trenitalia porta avanti una politica di disincentivazione, ostacolando le prenotazioni e preferendo far viaggiare i vagoni vuoti per poi usare questo argomento a sostegno delle sue irresponsabili scelte". Il segretario della Cisl Sicilia, Maurizio Bernava, invita a "una forte reazione" i politici siciliani, il mondo sociale e lancia la proposta di una grande manifestazione a Roma per metà dicembre.
fonte: la Repubblica
Nel 2005 erano 56 i treni circolanti da Nord a Sud e viceversa. Oggi sono 26, e da lunedì prossimo saranno dieci. I sindacati Fit Cisl e Filt Cgil denunciano i numeri che illustrano il disimpegno del gruppo Ferrovie dello Stato dalla Sicilia. "È il colpo di grazia - denuncia Franco Spanò, segretario generale della Filt Cgil - Viene negato ai siciliani il diritto alla mobilità e alla continuità territoriale". Oltre ai disagi per i passeggeri, secondo i calcoli della Fit Cisl, spariranno oltre 150 posti di lavoro tra macchinisti, capi treno, operatori della manutenzione e personale dell'indotto ferroviario.
Attualmente sono 26 i treni che uniscono le città siciliane al resto d'Italia, dal 12 dicembre diventeranno cinque da Palermo e cinque da Siracusa, tutti con destinazione Roma. Verranno cancellati del tutto il Palermo/Siracusa-Torino (Treno del sole), il Palermo/Siracusa-Milano (Trinacria) e il Palermo/Siracusa-Venezia (Freccia della Laguna). Soppresso anche l'Agrigento-Roma e viceversa.
Se gli abitanti della città dei Templi vorranno raggiungere la capitale dovranno optare per il pullman.
Chi, invece, sceglierà di viaggiare in treno verso una città più a nord di Roma, sarà costretto a scendere comunque nella capitale e cambiare convoglio. "Attualmente il costo medio per andare da Palermo a Milano con un treno notte è di cento euro - afferma Spanò - Da dicembre non si sa". Trenitalia, che fornisce i servizi su commissione del ministero delle Infrastrutture, garantirà integrazioni tariffarie sui collegamenti da Roma in su per chi proviene dalla Sicilia. "Ma in questo momento è una promessa del tutto astratta - spiega Spanò - Non sappiamo se sarà mantenuta, quanto durerà e come si eserciterà. Abbiamo chiesto più volte un confronto, ma non abbiamo avuto notizie".
Resta incerto anche il futuro dei vagoni letto sui treni notte per Roma, visto che ad oggi è impossibile prenotare un posto per il 12 dicembre. Secondo i dati della Fit Cisl in quattro anni, dal 2006 al 2010, a causa dei tagli operati da Rfi e Trenitalia, il numero di passeggeri trasportati tra le due sponde dello stretto si è ridotto di un milione e duecentomila unità. Sulle decisioni di Trenitalia ha influito il pesante taglio sul trasferimento di risorse da parte del precedente governo, che ha spinto i dirigenti dell'azienda pubblica a tagliare le linee economicamente svantaggiose. "Un servizio obsoleto che aveva senso vent'anni fa" spiegano dall'ufficio stampa di Trenitalia, secondo cui, con l'eccezione dell'alta stagione, i treni notte vengono scelti da poche decine di persone.
Soltanto nel triennio 2008-2010 c'è stato un calo del 25 per cento di passeggeri. "Che il numero dei passeggeri sui treni notte dalla Sicilia fosse basso è una falsità - spiega il segretario Filt Cgil Spanò - Anzi, da un anno e mezzo Trenitalia porta avanti una politica di disincentivazione, ostacolando le prenotazioni e preferendo far viaggiare i vagoni vuoti per poi usare questo argomento a sostegno delle sue irresponsabili scelte". Il segretario della Cisl Sicilia, Maurizio Bernava, invita a "una forte reazione" i politici siciliani, il mondo sociale e lancia la proposta di una grande manifestazione a Roma per metà dicembre.
fonte: la Repubblica
venerdì 2 dicembre 2011
I fratelli, come i figli, sono “pezze e’ core”.
Esami comprati all’università di Palermo, scatta l’inchiesta. Nel registro degli indagati ci sono 30 persone. Le tariffe per la promozione – secondo l’accusa – erano varie: tremila euro per un esame di Economia, mille per uno di Scienze Politiche, mentre a Ingegneria – come scrivono “Repubblica”, a firma di Salvo Palazzolo, “La Stampa”, e il “Giornale di Sicilia”, a firma di Riccardo Arena – agli studenti sarebbe stato permesso pagare anche a rate. L’inchiesta è partita da un’impiegata della segreteria di Economia in grado di accedere ai sistemi informatici di varie università e quindi caricare gli esami “superati” dagli studenti. La donna è già stata licenziata a seguito di un’indagine interna voluta dal rettore Roberto Lagalla nel settembre scorso.
Nell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Amelia Luise e Sergio Demontis molti ex-studenti, incastrati da elementi che proverebbero l’avvenuto pagamento, sono accusati di concorso in falso e corruzione. E tra gli ex-studenti indagati spunta anche Alessandro Alfano, fratello di Angelino, con l’accusa di frode informatica.
Ciò che lascia stupefatti è però il resto, non tanto gli imbrogli al computer dell’impiegato infedele (o meno), ma la carriera di Alessandro Alfano, parallela ai suoi studi universitari.
Nel 2006, mentre frequentava l’università, e preparava gli esami, dedicandosi presumibilmente con determinazione alle materie, non semplici, della Facoltà di economia, partecipando alle lezioni e preparando le prove e le verifiche per conseguire il titolo di studio, Alessandro Alfano ha potuto svolgere un’attività professionale assai impegnativa, avendo ottenuto la nomina di segretario generale dell’Unioncamere Sicilia. Grazie alla professionalità conseguita in parallelo agli studi universitari, a 34 anni, è dall’anno scorso segretario generale della Camera di Commercio di Trapani.
E’ questa la parte della storia più singolare, perché non bastano le attitudini, le buone pratiche e la volontà per accedere ad incarichi di rilievo, ci vogliono i titoli, l’esperienza e una comprovata competenza. Come ha fatto Alessandro Alfano a dimostrare tutte queste qualità all’Unioncamere, ottenendo la nomina di segretario generale?
Chiederselo è utile, senza azzardare ipotesi né sospetti. Il fatto che la carriera di Alessandro sia stata brillante non è una anomalia e non presuppone alcuna carognata, ma la presenza, pur virtuale, del grande fratello Angelino non la si può cancellare con la spugna come se fosse scritta sulla lavagna.
La sobrietà, dunque, andrebbe suggerita sempre e comunque a coloro che con tanta generosità rendono più facile la vita ai potenti ed agli amici e parenti dei potenti.
Quando l’inchiesta all’Ateneo di Palermo, aperta da una segnalazione del rettore Lagalla, si concluderà sapremo se il superamento degli esami alla facoltà di economia costava tremila euro grazie ad un semplice intervento di una impiegata nella rete informatica, oppure il risultato della partecipazione e preparazione degli studenti.
Non sapremo, però, quanto deve, Alessandro al fratello Angelino. I fratelli, come i figli, sono “pezze e’ core”.
( SiciliaInformazioni )
Nell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Amelia Luise e Sergio Demontis molti ex-studenti, incastrati da elementi che proverebbero l’avvenuto pagamento, sono accusati di concorso in falso e corruzione. E tra gli ex-studenti indagati spunta anche Alessandro Alfano, fratello di Angelino, con l’accusa di frode informatica.
Ciò che lascia stupefatti è però il resto, non tanto gli imbrogli al computer dell’impiegato infedele (o meno), ma la carriera di Alessandro Alfano, parallela ai suoi studi universitari.
Nel 2006, mentre frequentava l’università, e preparava gli esami, dedicandosi presumibilmente con determinazione alle materie, non semplici, della Facoltà di economia, partecipando alle lezioni e preparando le prove e le verifiche per conseguire il titolo di studio, Alessandro Alfano ha potuto svolgere un’attività professionale assai impegnativa, avendo ottenuto la nomina di segretario generale dell’Unioncamere Sicilia. Grazie alla professionalità conseguita in parallelo agli studi universitari, a 34 anni, è dall’anno scorso segretario generale della Camera di Commercio di Trapani.
E’ questa la parte della storia più singolare, perché non bastano le attitudini, le buone pratiche e la volontà per accedere ad incarichi di rilievo, ci vogliono i titoli, l’esperienza e una comprovata competenza. Come ha fatto Alessandro Alfano a dimostrare tutte queste qualità all’Unioncamere, ottenendo la nomina di segretario generale?
Chiederselo è utile, senza azzardare ipotesi né sospetti. Il fatto che la carriera di Alessandro sia stata brillante non è una anomalia e non presuppone alcuna carognata, ma la presenza, pur virtuale, del grande fratello Angelino non la si può cancellare con la spugna come se fosse scritta sulla lavagna.
La sobrietà, dunque, andrebbe suggerita sempre e comunque a coloro che con tanta generosità rendono più facile la vita ai potenti ed agli amici e parenti dei potenti.
Quando l’inchiesta all’Ateneo di Palermo, aperta da una segnalazione del rettore Lagalla, si concluderà sapremo se il superamento degli esami alla facoltà di economia costava tremila euro grazie ad un semplice intervento di una impiegata nella rete informatica, oppure il risultato della partecipazione e preparazione degli studenti.
Non sapremo, però, quanto deve, Alessandro al fratello Angelino. I fratelli, come i figli, sono “pezze e’ core”.
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