domenica 25 dicembre 2011

Lombardo e la decenza

Cos’è la decenza? Il criterio è purtroppo astratto, mutevole, ondivago. È sicuramente indecente presentarsi nudi in una spiaggia per famiglie, ma è altrettanto indecente presentarsi vestiti in una spiaggia per nudisti. Come si vede, la decenza sfugge a criteri precisi. Diciamo che non è misurabile. Ma in questi tempi di professori, di tabelle statistiche, di ragionieri al potere, bisogna trovare parametri precisi per misurare tutto. Perfino la decenza.

Partiamo allora dalla frase del governatore Raffaele Lombardo: “Francamente credo che la mia indennità sia appena decente per l’attività che svolgo come presidente della Regione”. Appena decente, significa che uno stipendio netto di 16.656 euro netti al mese è praticamente risicato per chi amministra una regione di circa 5 milioni di abitanti, con quasi ventimila impiegati e con risultati di efficienza sotto gli occhi di tutti.

C’è poco da ironizzare. Qui bisogna capire come e perché l’indennità del governatore Lombardo sia “appena decente”. E per farlo è necessario studiare, leggere, mettere insieme cifre e numeri. Basta prendere l’ultimo rapporto del Sole 24 ore sulla qualità della vita in Italia. Scopriamo così che nella classifica generale la posizione delle nove province siciliane è “appena decente”. Su 107 province, Caltanissetta è penultima, Enna si colloca al posto 99, Agrigento al 101, Palermo al 102, Trapani al 103. Va un po’ meglio a Ragusa e Messina, rispettivamente all’ottantasettesimo e all’ottantanovesimo posto. Siamo gli ultimi della lista. Siamo appena decenti, appunto.

Se andiamo a vedere la classifica del tenore di vita, anche qui la decenza è appena sfiorata. Prendiamo il valore di ricchezza prodotta per ciascun abitante. Se a Milano (prima in classifica) il Pil di ciascun abitante è valutato in oltre 36mila euro, ad Agrigento (posizione 102) il Pil si dimezza scendendo a 15.549 euro per abitante. Insomma, ogni agrigentino produce una ricchezza annua meno decente dello stipendio mensile del governatore. Le cose vanno leggermente meglio a Catania, provincia di residenza di Raffaele Lombardo, dove la ricchezza procapite è di 16.861 euro, forse proprio grazie allo stipendio del governatore e alla sua ultima dichiarazione dei redditi che denunciava 249 mila euro. È verosimile che l’indennità del presidente della Regione apporti benefici all’intera provincia di Catania, facendole risalire alcune posizioni nella classifica e collocandola al posto 93. Un valore aggiunto, dunque.

Chi più guadagna più spende. Nella classifica dei consumi per famiglia, la Sicilia continua ad essere appena decente. Se ad Aosta una famiglia spende 1.532 euro per auto, elettrodomestici, computer e mobili, in Sicilia le famiglie spendono cifre appena decenti: ad Enna 647 euro, ad Agrigento 648, a Caltanissetta 680, a Trapani 731, a Ragusa 740, a Catania 743, a Messina 744, a Siracusa 763, a Palermo 772. Anche qui, consumi risicatissimi che collocano la Sicilia sempre in coda alla hit parade.

Non parliamo poi dei pensionati. Se l’assegno mensile a Milano si aggira sui mille euro, ad Agrigento (in terzultima posizione) non arriva nemmeno a 490 euro. Forse è merito dei vitalizi dei deputati regionali e di qualche mega pensione dei funzionari regionali a riposo se Palermo sale fino all’88esima posizione con una media di 560 euro a testa e Catania scala la 78esima casella con pensioni medie da 610 euro. Pensioni appena decenti, è evidente. Pensioni che non aiutano a tirare a campare. Anzi, non bastano nemmeno per campare.

Come vedete queste classifiche sono scoraggianti per la Sicilia. Ma pensate un po’ cosa succederebbe togliendo i 16.656 euro mensili dello stipendio del governatore. La Sicilia rischierebbe di finire fuori graduatoria, bollata col marchio di non classificata. Redditi procapite, consumi, pensioni crollerebbero di colpo. Lo stipendio del presidente della Regione, ma anche quelli degli assessori, dei deputati dell’Ars e dei superburocrati regionali tengono alto l’onore della Sicilia. Ecco perché devono guadagnare di più degli altri siciliani: stipendi “appena decenti” per non sfigurare nel resto d’Italia a causa di tutti quei siciliani che hanno stipendi (quando li hanno) al di sotto della soglia della decenza.
fonte:LIVEsicilia

mercoledì 21 dicembre 2011

Un riscontro all’intervista “shock “ del prof. Massimo Costa

Corsi e ricorsi, vanità di una moda che va e che torna, assistiamo speranzosi all’ultima intervista del prof. Massimo Costa, sul futuro autonomo/indipendentista della Sicilia. Volutamente abbiamo usato il termine autonomo/indipendentista, perché anch’esso è una moda del nostro tempo : Sciocchi e ignoranti da una parte, furbi dall’altra, ciascuno nel loro ruolo, seppure differente, che inneggiano ad una Sicilia autonomistica e/o indipendente, senza rendersi conto che i due termini restano in antitesi fra di loro, con differente significato, ai quali non fa difetto l’estrema stranezza storica di eventi relativamente recenti, in virtù dei quali, al mancato raggiungimento dell’Indipendenza, seppure cercata col sacrificio e col sangue di un pugno di eletti indipendentisti, ha fatto seguito quel fumo inebriante dell’autonomia, quel contentino necessario per calmare le acque tempestose di una Sicilia quasi interamente separatista, alla quale viene concesso quel sonnifero letale che va sotto il nome di Autonomia, sterile mostriciattolo di politici senza onore, nei loro congiungimenti carnali con una baldracca, i cui figli cercano invano la loro infamante paternità. E’ l’Italia dalla pezza tricolore che ha generato quei figli rappresentati dalle varie regioni, figli di molti padri, figli di Cica come li chiamava Anacreonte già 2500 anni. E’ l’Italia dell’Unità, di quel re macellaio figlio di un macellaio, di quel Re ladro perciò soprannominato galantuomo; è l’Italia del saccheggio del Regno delle due Sicilie, è l’Italia dei Massoni, dei ladrocini, degli stupri, delle uccisioni, dei saccheggi, delle stragi perpetrate nelle terre di quel Sud florido e operoso; è l’Italia che comincia a scontare il giudizio della Religiosità Immanente della Storia, legge implacabile di giustizia che s’incarica di vendicare i torti, le menzogne, gli abomini, le sozzure tutte che, pinocchietti storici, votati ad un volgare lecchinaggio gratificante, descrivono ancora come eventi fulgidi e solari; e’ l’Italia del glorioso Garibaldi, il massone che reclutava e vendeva, lurido negriero opportunista, poveri schiavi nel Centro-Sud Americano, uno pseudo condottiero mezzo nano di appena un metro e sessanta, lentigginoso e pieno di acciacchi, sicuro precursore dei pedofili moderni, con quella bambina e moglie di quel ciabattino cornuto, cui il cielo concesse superba vendetta, se al glorioso eroe dei due mondi gli assegnò quell’altra moglie con la pancia già piena, estremo scorno di un latin lover divenuto un kèratàs, come direbbero i Greci. Anche oggi, al pari di sessantasei anni fa, tornerebbe di moda la negletta autonomia dell’Isola, se soltanto ci fossero nuovi morti e nuove uccisioni sulle piazze dell’Isola intera reclamanti la separazione o, mi si perdoni il termine, l’indipendenza da uno stato oppressivo, il millenario nemico della terra di Trinacria. E’ l’Italia dei nuovi Verre che spogliano la nostra Terra, di quella Patria del diritto che condannò quel tiranno sotto la sapiente regia del ballerino Cicerone, consentendo comunque al ladrone di soggiornare nel lusso della luminosa Marsiglia, fra prelibato caviale e profumato vino falerno. E’ l’Italia di sempre che ripercorre, con collaudata regia, lo sfruttamento della Sicilia, che rapina le sue risorse, che affama la sua gente e la immiserisce, che distrugge la gioventù dell’Isola, che profana il suo territorio con le sue torri di morte, là a Milazzo, a Priolo, che generosa elargisce a Gela fumi e primati di nascite deformi, dimenticando il suo mare, i commerci negletti, i suoi monumenti , le sue pianure incolte e abbandonate. E’ l’Italia benedetta dal Benedetto di turno, che elargisce celesti benedizioni ed eloquenti saluti coll’indice e il mignolo aperti, rinnovato saluto di appartenenza alla casta dei luminosi illuminati; è l’Italia del satanico euro, la moneta affamatrice dei popoli, della privata Banca Centrale Europea alla quale quella larva di Stato va a mendicare quella carta-straccia colorata che non sa stampare da sé, pagandole persino il colossale interesse che amici di merenda gaudenti spartiscono, nel lauto convivio di perversi abbuffini succhiasangue e la complicità lautamente retribuita degli italianissimi Padri della Patria, sotto la sapiente regia dei loro luminosi condottieri, alcuni rimbambiti, comunque esiziali, che proclamano apertamente l’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale, per distruggere l’identità delle Nazioni d’Europa e della nostra splendida Terra di Trinacria : “ La Sicilia è stanca della sua tristezza, della bestemmia che ode in mille lingue, dei fumi e dei vapori che appestano i suoi fondi, con scorie fetenti per i residenti, e la preziosa nafta mondata arricchisce soltanto le nordiche contrade “.Noi siamo, egregio prof. Costa, i figli di una madre violentata che,” miserrima, gode senza senno, da quando le tolsero il suo regno e i viceré le diedero da allora, cani muniti di catene che leccano i calzari del padrone e melensi abbaiano alla luna, bugiardi apostoli del sogno di un’Italia benefica e feconda “. Noi, egregio prof. Costa, non siamo Italiani, non lo siamo mai stati, semmai sudditi di una Nazione illegittimamente occupata da un nemico infame per 150 lunghissimi anni, alla ricerca del nostro orgoglio, della nostra etnia genuina, verso il nostro vero autentico traguardo : Noi siamo i discendenti dei Popoli del Mare del 1200 a.C., noi siamo i Sàkalas e proveniamo dal Sud del nostro sud e dall’Oriente; là dovrà indirizzarsi il nostro domani, la nostra speranza di popolo fecondo e laborioso, il nostro sviluppo, il nostro scambio socio-economico-culturale, lontano da questa Europa alla quale abbiamo insegnato i principi dell’essere e del divenire, la bandiera sotto la quale, con falsità e ingiustizia infinita, hanno costruito il loro mostro, il loro Occidente nauseabondo ormai morente, fatto di un miscuglio di razze che mai diverranno popoli civili : E’ la loro Europa, è la loro Terra fatta di sopraffazione e di fame, di miseria per i popoli che la compongono, è la testimonianza del nostro più grande errore commesso nel tempo passato, dimenticando altri Popoli, altre Genti, nel Sud del nostro Sud, che avrebbero meglio, e in modo fecondo, recepito la nostra insuperata e insuperabile civiltà, sviluppando con noi il cammino verso un mondo di giustizia sociale, di equità, di pace e di concordia dei popoli. Con i suoi fecondi insegnamenti, che lo videro grande fra i grandi del Sud, il compianto prof. Zitara ci esternò il suo profondo convincimento sulle sorti della Sicilia e sul suo futuro, che sarà ancora di lacrime e di sangue : “ La Sicilia “ ci disse, “ non sarà mai indipendente se vi affannerete a servirvi di metodi democratici “ , quei metodi che sono al servizio degli affamatori della gente, che servono agli oppressori per calmare le giuste rivendicazioni degli oppressi. E allora, ci chiediamo, Le chiediamo prof. Costa, ci serviremo forse di metodi rivoluzionari per portare la Sicilia alla sua irrinunciabile indipendenza ? Sì, metodi rivoluzionari, ma senza spargimento di sangue, rivoluzionari nell’animo e nel cuore, nel dissacrare falsi valori, nel dire ladro a chi ruba, nel dare dell’ascaro ad ogni partito che abbia dimenticato la sua appartenenza all’Isola nostra, ad ogni politico che trae linfa, sostegno e suffragio dalla nostra Terra, svendendo la propria identità ai nuovi Cesari, sulla pelle dei poveri, dei miseri, degli onesti, dei cosiddetti cittadini di un tempo remoto. Sul principio eterno dell’Autodeterminazione dei Popoli, potremo costruire l’indipendenza e il futuro glorioso e fecondo della nostra Terra, allontanando i politici e ogni colorazione partitica, allontanando coloro, tutti, nessuno escluso, che recitano ancora il ruolo di servi in livrea, che parlano di ponti e di colorate sozzure che rivelano soltanto le loro zozzerie. La forza della Sicilia, la certezza della sua Indipendenza irrinunciabile dovrà cercarsi fra la gente che lavora o che soffre in questa realtà isolana, fra sconfitte e timide affermazioni, fino a quando troveremo l’orgoglio di ritrovare la dignità di Popolo e Nazione, sotto la bandiera che fu di Antonio Canepa, seppure con i loro metodi democratici : L’invito alla lotta è rivolto a tutti coloro che hanno a cuore la rinascita della Sicilia, a tutti coloro che vogliono lasciare un retaggio di operosità e di benessere per i propri figli e i propri nipoti, una nuova realtà nella quale credere perché più giusta, più umana, più civile, più laboriosa. Le chiediamo, egregio prof. Massimo Costa, se non vorrà essere Lei colui che saprà recitare il ruolo di antesignano di questa nuova lotta, portabandiera di una realtà politico-economico-sociale nella quale trovi cittadinanza la nazionalizzazione delle banche, trasformate tutte in istituti di interesse nazionale, con l’utile d’esercizio destinato a beni di investimento pubblico. Ed ancora, dei prestiti concessi alle aziende operose per sviluppare le proprie libere iniziative volte alla produzione di beni e servizi accessibili a tutte le classi sociali, dove al cento di finanziamento prestato faccia riscontro il rimborso del 95% della somma prestata; della moneta emessa da organi statali siciliani, con la pronta convertibilità in metallo prezioso, al fine di svincolarlo da ogni sorta di nefasta speculazione operata sulla pelle dei poveri e dei cittadini onesti; della eliminazione della borsa valori; della statalizzazione della Banca di Controllo Siciliana, delle retribuzioni pubbliche limitate alla soglia di una generosa e giusta retribuzione di un pubblico funzionario statale, con il divieto, per ciascun cittadino della nuova Repubblica Siciliana, di poter disimpegnare per più di dieci anni un ruolo pubblico, recidendo in tal modo ogni sorta di cordone ombelicale coi poteri cosiddetti forti, mafiosi e malavitosi. In tali enunciati abbiamo ritenuto di semplificare una serie di convincimenti sui quali potrà recitare, se vorrà, con il nostro incondizionato sostegno, il ruolo che appartenne a coloro che ancora, i Siciliani autentici, ricordano con rispetto e orgoglio, per non smarrire gli insegnamenti sui quali costruire, noi o i nostri figli, il futuro della nostra Terra. Siciliani, amici e simpatizzanti dell’EVIS, nonché di qualsiasi altro Movimento che vorrà condividere il nostro pensiero, sapranno apprezzare il suo impegno politico se riterrà di sventolare quella stessa bandiera che illuminò gli altissimi ideali di Antonio Canepa e dei martiri di ogni tempo : Dalla nostra parte la certezza che altri 2500 anni di lotte, sul sangue dei nostri padri trasmesso ai nostri figli, se necessari, non potranno cancellare la certezza della conquista della nostra Indipendenza, della nostra identità di Popolo e Nazione Indipendente. AN TU DO , perciò, continuerà ad essere l’inno del nostro sacro peana, volto al raggiungimento di questo nostro obiettivo ineludibile. Viva l’EVIS, viva Canepa, viva la Sicilia Una, Libera, Grande, Indipendente.

Neva Allegra - Segretaria Nazionale dell' EVIS

Lucio Paladino - Vice segretario Nazionale dell' EVIS

Pietro Di Caro - Segretario Nazionale Giovanile dell' EVIS

martedì 20 dicembre 2011

Via la sola Sicilia dall’Unione Europea - Intervista schock di Massimo Costa

19 dicembre 2011 - Come hanno fatto le Faer Oer e altre regioni a statuto speciale, anche la Sicilia potrebbe stare meglio dicendo addio all’Europa. Come? Lo spiega a BlogSicilia, Massimo Costa, docente di Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Palermo.

Professor Costa, cos’è questa nuova idea che ci propone? Non le sembra questa volta di esagerare con il suo autonomismo?
So che con questa uscita mi farò molte, moltissime antipatie, nemici e perdita di stima da parte di colleghi e amici e forse anche editori i quali, credo, sinora mi hanno onorato del loro rispetto. So che non sarò capito soprattutto oltre lo Stretto. Ma giunge anche un momento in cui uno studioso ha il dovere di dire a chi studioso non è come crede che stiano realmente le cose e quale sia la strada per uscirne.
La mia idea è che non ha senso parlare di sopravvivenza economica (e quindi anche sociale, culturale, demografica, etc.) della Sicilia ovvero di “applicazione dello Statuto” dentro questa Europa. In questa Europa sottolineo, dentro “questa” Europa, e non quella che poteva avere in mente Altiero Spinelli o quella che ci hanno raccontato da ragazzi, non è possibile alcuna autonomia regionale per la semplice ragione che non è possibile neanche alcuna autonomia statale, né alcuna democrazia. Il recente accordo sullo spossessamento delle potestà fiscali e la loro messa sotto tutela delle istituzioni centrali europee (e quindi, in buona sostanza, della BCE, e quindi ancora, in ultima sostanza, delle spudorate oligarchie finanziarie che abbiamo ancora il coraggio di chiamare “i mercati”) fa pendant con i due recenti colpi di stato in Grecia e in Italia con i quali una casta inetta di politici ha venduto il Paese, il “nostro” Paese, in cambio del mantenimento di alcuni privilegi e di alcune rendite di posizione.
Ebbene in questo quadro io faccio una semplice catena di deduzioni logiche che mi porta a dire che l’unica soluzione per la sopravvivenza della Sicilia è soltanto la fuoriuscita unilaterale dall’Unione Europea, magari dopo un plebiscito e magari dopo un negoziato, ma che sia molto rapido e gestito con mano ferma e senza titubanze.
Da dove nasce questa catena di deduzioni che dice Lei?
Non è pensabile che la Sicilia sopravviva senza che detenga una qualche forma reale di autogoverno, poiché essa è un sistema economico equivalente a quello di una qualunque media nazione europea. L’unico possibile autogoverno che non metta in discussione l’unità politica dell’Italia, e quindi l’unico praticabile senza spargimento di sangue, è l’attuazione integrale e immediata dello Statuto del 1946. Ma lo Statuto del 1946, dopo il Trattato di Lisbona, e ancor piú dopo il recente accordo fiscale, non potrebbe che sopravvivere a brandelli, con l’aggravante che le poche decisioni in cui gli stati continuano a partecipare, sarebbero prese dall’Italia al posto nostro. In una parola l’Europa oggi equivale all’azzeramento della nostra Autonomia e allora bisogna scegliere: o schiavi in Europa o liberi in Sicilia e fuori dall’Europa. Io consiglio vivamente la seconda opzione. Poi…
Ma, sa, a sentirla, con tutte le titubanze che ci sono sullo Statuto, potrebbe venire anche di gettare la spugna. Dicono che i Siciliani non sappiano autogovernarsi, che vogliono privilegi oggi insostenibili, che comunque il dispositivo di questo Statuto sia vecchio. Insomma, saremmo uno scandalo al sole e lei difende l’idea dell’Autonomia sino al punto da volerla difenderla a prezzo di un incredibile isolamento?
Ancora con questi luoghi comuni? Ma per favore! I Siciliani che non sanno autogovernarsi sono quelli che hanno affidato per mezzo secolo ai partiti italiani la loro regione pseudo-autonoma. Mi trovi una regione autonoma in Europa, anzi nel mondo, che possa funzionare con gli stessi partiti che stanno al centro. È quello il controsenso. Poi, è vero, talvolta la lettera dello Statuto è “vecchiotta”, ma lo spirito, in ogni sua parte, è chiarissimo ed attuale. Si tratta di adattare agli istituti attuali un rapporto radicalmente confederale senza fare marcia indietro su alcun punto di quell’impianto originale, che mantiene tutta la propria validità. Ancora, non voglio proprio sentire parlare di privilegi: con lo Statuto che l’Italia non ci ha fatto mai applicare, non chiediamo piú niente a nessuno, tranne la perequazione infrastrutturale. O anche questa è un privilegio? Ci si deve decidere: o siamo italiani, e allora avere pari infrastrutture è un nostro preciso diritto, o non lo siamo, e allora non solo di autonomia, ma di indipendenza a questo punto si deve parlare. Quanto all’isolamento è solo una leggenda metropolitana. Piú autonomi si è, piú ci interfacciamo direttamente con il mondo esterno, meno sequestrati dal mondo siamo.
Ma come funzionerebbe nel concreto quel che propone?
Semplice, usciamo dall’Unione e da tutti i suoi obblighi, mantenendo a termine la legislazione per evitare il caos. Niente piú direttive e regolamenti che si applicano automaticamente, niente piú criteri di convergenza e patti di stabilità, niente piú corridoi europei o obblighi di fusione del nostro mercato nel grande mercato continentale che ci vede per forza soccombenti: forse al limite si potrebbe pensare anche ad una revoca dell’unione doganale e la creazione di una zona franca di libero scambio al centro del Mediterraneo. In realtà, se c’è buona volontà dalle altre parti, penserei ad un accordo simile a quello della Norvegia, non a caso anch’essa produttrice di petrolio, cioè dentro lo Spazio Economico Europeo e Schengen, ma fuori da tutto il resto, Eurozona inclusa ovviamente. Anche se su questo punto il discorso è un po’ complesso.
Ma è tecnicamente possibile? Facciamo parte dell’Italia.
E sulle materie che spettano all’Italia, dalla grande politica estera alle guerre, non metteremmo naso. Anche se lo Statuto – va ricordato – persino su queste materie ci concede un diritto di proposta. Quindi, tutt’al piú diciamo la nostra, ma lasciamo fare al Paese di cui facciamo parte. Se l’Italia su queste materie, o su quelle comunque statali, come i codici civile, procedurali e penale, vuole delegare in tutto o in parte le proprie funzioni all’Europa, su quelle, solo su quelle, seguiremo l’Europa anche noi, ma perché in essa vedremmo l’equivalente dello Stato italiano. Su tutte le altre materie no, decisamente no! Sulle competenze siciliane l’Italia non può, non avrebbe mai potuto, delegare materie che non erano di sua competenza alle istituzioni europee. Sulle materie a noi riservate dall’Autonomia del 1946, decidiamo noi e basta!
E cosí non moriremmo di fame?
Solo se avessimo un’economia da esportazione di prodotti finiti siciliani in Europa. Oggi abbiamo soltanto un’economia di rapina. Le nostre risorse, in buona sostanza, sono degli altri, che le comprano a quattro soldi. Domani dovrebbero pagarle. Non possono fare a meno delle nostre risorse energetiche né della nostra posizione geografica. E anche a beni culturali e ambientali, se li sfruttiamo bene, siamo messi proprio bene. Siamo in una posizione di forza e di monopolio, ma dobbiamo essere al di fuori del raggio d’azione della Commissione, della BCE e di altri strozzini di professione.
Insomma propone le stesse cose della Lega?
Ma io dico per davvero, non per acchiappare voti. Del resto per la cosiddetta “Padania” va detto che non è cosí facilmente separabile dall’Europa. Si tratta di due cose completamente diverse. E, con l’occasione, mi lasci dire una cosa. Tutto questo va fatto per salvare la democrazia e la libertà, anche quella di mercato, quella vera intendo. Quello che mi preoccupa nella deriva di questi mesi è che gli unici avversari dell’anarco-liberismo usurocrate imperante, travestito da liberalismo, non siano veri liberali e democratici, ma, di volta in volta, comunisti ortodossi, nazifascisti, nostalgici dell’antico regime, fanatici religiosi, e altri poco credibili nemici della modernità. E invece siamo noi gente comune che ci dobbiamo ribellare, non solo in Sicilia, e pur sempre nel nome di quei valori che sono scritti nella Costituzione repubblicana, vero monumento di civiltà giuridica che stiamo archiviando un po’ troppo in fretta.
Chi ci guadagna in sostanza da questa proposta in Sicilia?
In una battuta? Tutti quelli che oggi protestano piú fortemente, ma anche i tanti infelici che non hanno piú nemmeno la forza di protestare. Gli studenti che assaltano le banche sappiano che, con una nostra banca pubblica e regionale, la moneta emessa sarà sociale e gli istituti di credito con sede in Sicilia saranno assoggettati ad un nuovo regime etico, piú vicino all’uomo e lontano dalla speculazione globale. I produttori e i coltivatori oggi affamati dal brokeraggio globale sappiano che i loro prodotti arriveranno nei supermercati siciliani e saranno competitivi sul mercato esterno. Insomma, coltivare i campi o fare impresa, diventerà finalmente conveniente. Gli autotrasportatori pagherebbero finalmente meno il carburante, ma cosí anche tutti noi. Con la defiscalizzazione che ci potremo permettere attireremo investimenti e occupazione. Gli imprenditori pagheranno meno tasse, gli studenti e i giovani troveranno lavoro in Sicilia, i pensionati e i lavoratori dipendenti avranno una busta paga piú pesante. Insomma ci guadagneremmo tutti, tranne gli speculatori esterni e qualche potere forte nazionale.
Ma non è una proposta un po’ “separatista”? Non potrebbe proporre, come fanno in tanti oggi, più semplicemente l’uscita dell’Italia intera dall’Eurozona o addirittura dall’Unione Europea?
In tanti? Veramente mi sembra che, a parte alcune voci eccentriche, l’attuale governo, direttamente nominato dall’Europa, cioè dai soliti “mercati”, abbia al più qualche fronda ma pochi veri dissensi. Veda, l’Italia non è solo “troppo grande per fallire”, è anche “troppo grande per uscire” dall’Europa. La sua uscita sarebbe un cataclisma al quale né l’Europa, né l’Euro sopravviverebbero, e con queste, con ogni probabilità nemmeno il mondo occidentale come lo abbiamo conosciuto sinora. Per la Sicilia, invece, è molto diverso: si tratta di una regione transfrontaliera e insulare, una marca di confine che può e deve ritagliarsi condizioni particolari se è nel proprio interesse, senza che questo traumatizzi l’economia mondiale. Diversamente, se siamo cosí importanti e centrali, allora facciamola valere questa centralità una volta per tutte nei tavoli che contano, anziché essere dileggiati e umiliati un giorno sì e l’altro pure.
Potrebbe comunque restare un po’ odioso agli altri italiani il fatto che i Siciliani tentino una via di fuga da soli…
Non credo le cose stiano così. Se la Sicilia esce dall’Unione Europea va incontro ad un vero e proprio boom economico che presto dovremmo decidere addirittura di raffreddare. Questo contagerebbe immediatamente il vicino Sud Italia, con la definitiva sconfitta della sempiterna Questione Meridionale. Per l’Italia tutta sarebbero maggiori redditi tributari, sia per quei pochi che dalla Sicilia prendono la via del Continente, sia per quelli prodotti nel Sud, senza parlare della vicinanza di un nuovo mercato in espansione. Una vera frustata di salute all’economia del Paese. Tutto ciò le sembra poco? Certo, se la sudditanza semicoloniale del Sud, o il dualismo strutturale dell’Italia, devono essere assunti come dogmi, allora il tutto può sembrare eversivo. Ma di eversivo oggi vedo la continua discriminazione dei Siciliani che, da 150 anni, sono cittadini di serie C, persino dietro quelli di serie B del Centro-Sud.
In ogni caso non resta improponibile che una semplice Regione possa uscire dall’Unione?
Guardi che non saremmo la prima. Già la Danimarca, che conta due regioni a statuto speciale, lí si chiamano “Contee”, le ha viste uscire entrambe, una dopo l’altra, dall’Unione. La Groenlandia, che è rimasta “PTOM”, cioè appartenente ai “paesi e territori d’oltremare”, associati all’Europa con un regime di scambi “post-coloniale”, o forse dovrebbe dirsi “neocoloniale”, piú o meno come le ex-colonie europee, oggi chiamate ACP (paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico). Ma anche le Faer Oer, che sono uscite del tutto e senza tanti complimenti. Ci sono le Isole del Canale e l’Isola di Man, formalmente piccole corone in unione personale con il Regno Unito, di fatto sue piccole regioni a statuto speciale, che nell’Europa non sono mai entrate, come Gibilterra, del resto. E si potrebbe continuare: ci sono le regioni “ultraperiferiche”, che stanno dentro ma solo a metà, come le Canarie ad esempio, che sono fuori dalla linea doganale europea; poi ci sono eccezioni fiscali di ogni sorta, per regioni insulari come la Corsica, o di montagna come il Galles, o transfrontaliere o artiche. A quanto pare l’unica regione derelitta per cui non è possibile alcuna deroga in modo assoluto sembra essere proprio la Sicilia.
Vuole dire che in questa Europa la legge “non è uguale per tutti”?
Certo che no. Quando, tempo addietro, la Sicilia tentò di usare l’autonomia fiscale scritta nel suo Statuto, che è legge costituzionale, il Commissario Mario Monti bloccò ogni iniziativa in tal senso, bollandola come “aiuto di stato”. Ora che simili potestà sono accordate a regioni come la Navarra o la Catalogna o la Scozia, ovviamente non parla nessuno. Tutti i cittadini europei saranno eguali davanti alla legge, ma di certo i Siciliani lo sono meno degli altri.
E con la moneta come la mettiamo?
Beh, tanto per cominciare la Sicilia potrebbe accontentarsi di emettere una moneta complementare regionale, che però abbia valore legale all’interno del suo territorio, in doppia circolazione con l’euro. Questa moneta, emessa da una Banca Centrale Regionale in totali mani pubbliche, ed emessa totalmente a beneficio del Governo siciliano, emanciperebbe da sola la Sicilia dallo strozzinaggio europeo. Per liberarci del tutto dell’Euro, invece, o del “pizzo” del Dollaro per gli scambi internazionali, i tempi non mi sembrano maturi. La Sicilia oggi è ancora debole, e forse deve accettare i compromessi di una sovranità limitata. Nondimeno l’Italia ha il dovere restituire alla Sicilia le riserve auree confiscate al Banco di Sicilia nel 1926 e da quelle si deve ripartire per costituire delle riserve auree e valutarie autonome, con le quali cominciare a giocare la nostra piccola partita, di stato regionale autonomo, peraltro come già previsto dallo Statuto del 1946, che voleva proprio che la Sicilia gestisse in autonomia le proprie riserve.
Ma cosí perdiamo i fondi FAS e in genere tutte le misure strutturali dell’Europa.
Che in tanti anni hanno creato solo assistenzialismo e mai vere infrastrutture allo sviluppo. Del resto l’intermediazione italiana su questi fondi si è rivelata cosí pesante da renderli del tutto vani. Credo però che sarà interesse dell’Europa, almeno in parte, negoziare con noi alcuni aiuti di carattere infrastrutturale sotto forma di cooperazione allo sviluppo, esattamente come si fa con i paesi decolonizzati. Con la differenza che ancora noi ci dobbiamo decolonizzare. È del tutto inutile fingere di essere in Assia, quando siamo praticamente nel Maghreb; rischiamo di restare sospesi con il peggio di entrambe le condizioni: quella di essere e quella di non essere in Europa.
Insomma una Sicilia italiana ma non piú europea. Pensa che i Siciliani sarebbero d’accordo?
Italiana, nel senso di regione veramente autonoma, e non solo sulla carta o per i privilegi dei deputati dell’ARS, sì. E non piú europea, proprio così, almeno nel senso della sudditanza all’Unione. Vorrà dire che come gli inglesi diremo che “Il Continente è isolato”. Ma, quanto al consenso dei siciliani, se ci facciamo un giro per i mercati o i bar a chiedere che cosa ne pensano dell’Euro, e dell’attuale governo, credo che questa uscita sarebbe acclamata a furor di popolo. Poi, ad ogni modo, ho detto che ci vuole un referendum, anzi un plebiscito. Chi ha paura di ricorrere al voto popolare per sapere cosa pensano i siciliani?
Quindi via dall’Europa, senza rimpianti?
Senza neanche pensarci due volte, questa Europa per noi è come appartenere ad un club che ci impone un tenore di vita insostenibile. Si ricordi che un anno di accise petrolifere date alla Sicilia azzera il debito della Regione e due anche quello degli enti locali e andiamo in tripla A, davanti agli USA.
E delle bandiere europee che sventolano dappertutto che ne facciamo?
Non me lo faccia dire esplicitamente, credo di rischiare qualche reato.
E il Presidente della Repubblica? E quello del Consiglio? Ci rimarrebbero male.
Se ne faranno una ragione. Ricordi il Presidente che ad accoglierlo in Sicilia ci sono state solo bandiere siciliane e che ancora non ha risposto ad un pubblico appello di cittadini che gli chiedevano com’era andata a finire con l’applicazione dello Statuto.
Un’ultima osservazione. E se per colpa nostra l’Italia andasse in default e con essa cadesse l’Europa intera?
Ma che dice? Che l’Europa sta in piedi per miracolo e che se togliamo la pietruzza della Sicilia da sotto crolla tutto? Suvvia. Non ci sopravvalutiamo. Comunque, se cosí fosse, vorrebbe dire che stanno vivendo alle nostre spalle. Ci faremo una ragione anche di questo evento. Il sole l’indomani sorgerà, e forse sarà ancora piú radioso, rispetto a questo euroincubo.
fonte.BlogSicilia

sabato 10 dicembre 2011

Ma non vi ribolle il sangue ?

Noi siamo il malaffare e la mafia per definizione.

Almeno finché faremo parte di questa "benedetta" Italia.

Le nostre ragioni saranno sistematicamente ignorate. Siamo un limone da spremere e basta. E hanno sufficienti giornali e TV, anche in Sicilia, per convincere persino noi stessi di essere i responsabili di tutto, anzi gli unici responsabili.

La legge che attribuisce alla Sicilia le entrate da accise petrolifere, sarà sicuramente sconfitta al Parlamento mentre il declassamento dell'Assemblea sarà approvato senza colpo ferire e senza neanche dirci grazie.

L'unica soluzione sarebbe l'ultimatum.

La Sicilia chieda all'Italia di fare da sola, di applicare integralmente lo Statuto, rinunciando a tutte le pelose perequazioni che non perequano mai un bel niente. Rinunciamo pure al fondo di solidarietà nazionale.

Si tenga l'Italia la sola difesa, la rappresentanza estera e il debito pubblico, per le quali cose doniamo loro il 10 % delle entrate sulle accise. Per il resto ci facciamo carico di tutto, ma disponiamo di tutti i tributi come uno stato europeo sovrano.

Aderiamo all'euro con una nostra banca centrale. Emettiamo una moneta regionale complementare parallela all'euro per i soli scambi interni e con questa azzeriamo l'indebitamento.

Limitiamo la competenza legislativa esclusiva dello stato ai trattati internazionali ed ai quattro codici, aboliamo la competenza concorrente: su tutte le altre materie le leggi dello Stato semplicemente "non" abbiano applicazione in Sicilia.

Ci facciamo la nostra polizia e la nostra guardia di finanza.

Sottoponiamo tutti gli enti pubblici risedenti in Sicilia e tutti gli enti locali alla sola legislazione ed al solo controllo della Regione.

Trasferiamo tutta l'amministrazione statale alla Regione, compresa l'agenzia delle entrate, gli interni e gli uffici periferici del Tesoro. Rinunciamo alla presenza del Presidente della Regione nel Governo e mandiamo una rappresentanza permanente a Roma a rappresentare gli interessi della Regione.

Chiediamo a Bruxelles l'aggiunta di un protocollo ai Trattati per rispettare lo Statuto speciale della Sicilia in omaggio all'art.174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione che autorizza norme particolari per le regioni insulari e transfrontaliere.

Nominiamo da soli un'intera Alta Corte per la Regione Siciliana, lasciando alla Corte Costituzionale la competenza soltanto sulle poche materie riservate alla legislazione statale. Conflitti di competenza non potrebbero essercene più, visto che quasi tutto sarebbe di nostra competenza, e comunque si potrebbe costituire un "giurì" misto tra le due corti per eventuali casi dubbi, o, al limite, un arbitrato internazionale.

Rilanciamo con una nuova versione dell'Autonomia, questa volta apertamente confederale. E minacciamo l'Italia che, se non la accetterà, saremo noi ad andarcene, ma non per "separatismo", sebbene per legittima difesa, in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli.

Non dimentichiamo che gli atti che hanno segnato l'annessione dello Stato di Sicilia all'Italia sono manifestamente nulli e che la "sanatoria" data dallo Statuto del 1946 è stata comunque ampiamente disattesa dallo Stato italiano.

Ma per far questo ci vorrebbero un Governo, una maggioranza parlamentare, e soprattutto un Popolo sveglio, in piedi, in fiamme... Ci vorrebbe qualcuno che spiegasse ai Siciliani che se non faremo così per noi sarà una lenta asfissia, come dimostrato da tutte le proiezioni economiche sui prossimi decenni.

Altrimenti rassegniamoci al razzismo, al dileggio, alla sottomissione, all'umiliazione continua.

Ma non vi ribolle il sangue? Ma siete davvero così complessati da non reagire, sorelle e fratelli siciliani?

Massimo Costa

martedì 6 dicembre 2011

Addio ai treni notturni tra Nord e Sud cancellato anche il "Treno del sole"

Per decenni i loro nomi evocativi sono stati un simbolo dell'Italia unita e dell'emigrazione: Treno del sole, Trinacria, Treno dell'Etna. Un simbolo che adesso finirà nei ricordi: dal prossimo 12 dicembre chi dalla Sicilia vorrà raggiungere Milano, Torino e Venezia non potrà più farlo in treno. Con il nuovo orario invernale, Trenitalia ha deciso di cancellare gli ultimi tre collegamenti diretti che erano rimasti con le città del Nord. Fermata obbligata diventerà Roma.

Nel 2005 erano 56 i treni circolanti da Nord a Sud e viceversa. Oggi sono 26, e da lunedì prossimo saranno dieci. I sindacati Fit Cisl e Filt Cgil denunciano i numeri che illustrano il disimpegno del gruppo Ferrovie dello Stato dalla Sicilia. "È il colpo di grazia - denuncia Franco Spanò, segretario generale della Filt Cgil - Viene negato ai siciliani il diritto alla mobilità e alla continuità territoriale". Oltre ai disagi per i passeggeri, secondo i calcoli della Fit Cisl, spariranno oltre 150 posti di lavoro tra macchinisti, capi treno, operatori della manutenzione e personale dell'indotto ferroviario.

Attualmente sono 26 i treni che uniscono le città siciliane al resto d'Italia, dal 12 dicembre diventeranno cinque da Palermo e cinque da Siracusa, tutti con destinazione Roma. Verranno cancellati del tutto il Palermo/Siracusa-Torino (Treno del sole), il Palermo/Siracusa-Milano (Trinacria) e il Palermo/Siracusa-Venezia (Freccia della Laguna). Soppresso anche l'Agrigento-Roma e viceversa.

Se gli abitanti della città dei Templi vorranno raggiungere la capitale dovranno optare per il pullman.

Chi, invece, sceglierà di viaggiare in treno verso una città più a nord di Roma, sarà costretto a scendere comunque nella capitale e cambiare convoglio. "Attualmente il costo medio per andare da Palermo a Milano con un treno notte è di cento euro - afferma Spanò - Da dicembre non si sa". Trenitalia, che fornisce i servizi su commissione del ministero delle Infrastrutture, garantirà integrazioni tariffarie sui collegamenti da Roma in su per chi proviene dalla Sicilia. "Ma in questo momento è una promessa del tutto astratta - spiega Spanò - Non sappiamo se sarà mantenuta, quanto durerà e come si eserciterà. Abbiamo chiesto più volte un confronto, ma non abbiamo avuto notizie".

Resta incerto anche il futuro dei vagoni letto sui treni notte per Roma, visto che ad oggi è impossibile prenotare un posto per il 12 dicembre. Secondo i dati della Fit Cisl in quattro anni, dal 2006 al 2010, a causa dei tagli operati da Rfi e Trenitalia, il numero di passeggeri trasportati tra le due sponde dello stretto si è ridotto di un milione e duecentomila unità. Sulle decisioni di Trenitalia ha influito il pesante taglio sul trasferimento di risorse da parte del precedente governo, che ha spinto i dirigenti dell'azienda pubblica a tagliare le linee economicamente svantaggiose. "Un servizio obsoleto che aveva senso vent'anni fa" spiegano dall'ufficio stampa di Trenitalia, secondo cui, con l'eccezione dell'alta stagione, i treni notte vengono scelti da poche decine di persone.

Soltanto nel triennio 2008-2010 c'è stato un calo del 25 per cento di passeggeri. "Che il numero dei passeggeri sui treni notte dalla Sicilia fosse basso è una falsità - spiega il segretario Filt Cgil Spanò - Anzi, da un anno e mezzo Trenitalia porta avanti una politica di disincentivazione, ostacolando le prenotazioni e preferendo far viaggiare i vagoni vuoti per poi usare questo argomento a sostegno delle sue irresponsabili scelte". Il segretario della Cisl Sicilia, Maurizio Bernava, invita a "una forte reazione" i politici siciliani, il mondo sociale e lancia la proposta di una grande manifestazione a Roma per metà dicembre.
fonte: la Repubblica

venerdì 2 dicembre 2011

I fratelli, come i figli, sono “pezze e’ core”.

Esami comprati all’università di Palermo, scatta l’inchiesta. Nel registro degli indagati ci sono 30 persone. Le tariffe per la promozione – secondo l’accusa – erano varie: tremila euro per un esame di Economia, mille per uno di Scienze Politiche, mentre a Ingegneria – come scrivono “Repubblica”, a firma di Salvo Palazzolo, “La Stampa”, e il “Giornale di Sicilia”, a firma di Riccardo Arena – agli studenti sarebbe stato permesso pagare anche a rate. L’inchiesta è partita da un’impiegata della segreteria di Economia in grado di accedere ai sistemi informatici di varie università e quindi caricare gli esami “superati” dagli studenti. La donna è già stata licenziata a seguito di un’indagine interna voluta dal rettore Roberto Lagalla nel settembre scorso.

Nell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Amelia Luise e Sergio Demontis molti ex-studenti, incastrati da elementi che proverebbero l’avvenuto pagamento, sono accusati di concorso in falso e corruzione. E tra gli ex-studenti indagati spunta anche Alessandro Alfano, fratello di Angelino, con l’accusa di frode informatica.

Ciò che lascia stupefatti è però il resto, non tanto gli imbrogli al computer dell’impiegato infedele (o meno), ma la carriera di Alessandro Alfano, parallela ai suoi studi universitari.
Nel 2006, mentre frequentava l’università, e preparava gli esami, dedicandosi presumibilmente con determinazione alle materie, non semplici, della Facoltà di economia, partecipando alle lezioni e preparando le prove e le verifiche per conseguire il titolo di studio, Alessandro Alfano ha potuto svolgere un’attività professionale assai impegnativa, avendo ottenuto la nomina di segretario generale dell’Unioncamere Sicilia. Grazie alla professionalità conseguita in parallelo agli studi universitari, a 34 anni, è dall’anno scorso segretario generale della Camera di Commercio di Trapani.


E’ questa la parte della storia più singolare, perché non bastano le attitudini, le buone pratiche e la volontà per accedere ad incarichi di rilievo, ci vogliono i titoli, l’esperienza e una comprovata competenza. Come ha fatto Alessandro Alfano a dimostrare tutte queste qualità all’Unioncamere, ottenendo la nomina di segretario generale?


Chiederselo è utile, senza azzardare ipotesi né sospetti. Il fatto che la carriera di Alessandro sia stata brillante non è una anomalia e non presuppone alcuna carognata, ma la presenza, pur virtuale, del grande fratello Angelino non la si può cancellare con la spugna come se fosse scritta sulla lavagna.


La sobrietà, dunque, andrebbe suggerita sempre e comunque a coloro che con tanta generosità rendono più facile la vita ai potenti ed agli amici e parenti dei potenti.
Quando l’inchiesta all’Ateneo di Palermo, aperta da una segnalazione del rettore Lagalla, si concluderà sapremo se il superamento degli esami alla facoltà di economia costava tremila euro grazie ad un semplice intervento di una impiegata nella rete informatica, oppure il risultato della partecipazione e preparazione degli studenti.
Non sapremo, però, quanto deve, Alessandro al fratello Angelino. I fratelli, come i figli, sono “pezze e’ core”.
( SiciliaInformazioni )

venerdì 25 novembre 2011

UN SMS SOLIDALE PER AIUTARE I NOSTRI FRATELLI-45590

È operativo l’Sms solidale attivato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per aiutare i comuni della provincia di Messina colpiti dall’alluvione del 22 novembre.

Si potrà donare 1 euro inviando un sms al 45590 dalle ore 19 di oggi, 25 novembre 2011, fino al prossimo 28 dicembre, oppure 2 euro chiamando lo stesso numero da rete fissa.

giovedì 24 novembre 2011

DISPOSIZIONE DEL COMUNE DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO

CHI VOLESSE DARE UN SEGNO DI SOLIDARIETA' PER LA POPOLAZIONE COLPITA DAGLI EVENTI CALAMITOSI DEL 22/11/2011, PUO' EFFETTUARE BONIFICO BANCARIO SU CONTO CORRENTE INTESTATO A:
- COMUNE DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO, CAUSALE:
-CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA' PER GLI ALLUVIONATI DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO. CODICE IBAN: IT 16 Z 01030 82071 000001 328303.
Dispiace far notare, che al tutt' oggi nessuna sottoscrizione è stata aperta a livello nazionale.
Avviene una calamità al nord, e viene definita " disastro naturale "; se avviene in Sicilia o al Sud...la colpa è degli abitanti ! E quindi, nessuna solidarietà per loro !!!

41 anni di tradimenti e di bugie.

Abbiamo ascoltato le loro parole e visto le loro facce. Gli operai dell’ultimo turno, ripresi da telecamere delle tv hanno raccontato la fine di un’epoca meglio di tante analisi e saggi. Inseguiti dai giornalisti, restii e insofferenti, pareva che si vergognassero di quel che stava accadendo, come se si sentissero in colpa. Non c’entrano niente con questa storia, la stanno subendo di brutto e non possono farci proprio niente.

Il fatto è che non sanno con chi prendersela. La Fiat di Marchionne sta a quella di Agnelli, come Amintore Fanfani a Mario Monti. Due mondi, due culture, due economie abissalmente diverse. La Fiat aveva testa e cuore a Torino, oggi ha la testa negli States.

Quarantuno anni fa, quando fu inaugurato lo stabilimento a Termini Imerese, il Mezzogiorno viveva la luna di miele dell’intervento straordinario. Soldi, pacche sulle spalle, taglio di nastri. Pareva tutto rose e fiori.

Le partecipazioni statali facevano il bello e il cattivo tempo, con i gran commis dello Stato che a Milano e Roma tracciavano la road map degli “aiuti” e degli “aiutini”, secondo i bisogni dei partiti e dei loro capicorrente. Ai boss meridionali toccavano le briciole, apprezzate e sollecitati, perché era già tanto, meglio di niente.





L’Avvocato e la Fiat riuscirono a farsi largo nella “selva” degli incentivi, assieme alla chimica di Rovelli, i Clark Gable dell’industria italiana, approdato in Sardegna. La Sicilia centromeridionale era stata concessa all’Eni di Enrico Mattei e, per la parte orientale, ai privati lombardi. Incentivi a go gò. Coste, boschi, colline devastati. In compenso c’erano le tute blu a passeggio di sera nelle strade del centro a Gela, Priolo, Milazzo. Facce compiaciute: finalmente uno stipendio ed un futuro,

Il salto di qualità avvenne a Termini. La petrolchimica era industria di base, la Fiat significò l’industria manifatturiera, fu come essere promossi sul campo. Agli occhi del mondo, però, perché non stavano così le cose: dalle parti di Gela, e non solo, i salesiani, tanto per fare un esempio, senza fare rumore, formavano fior fiore di tecnici specializzati che da lì a poco avrebbero invaso il mondo con la Saipem, la Snam, l’Agip petroli e l’Agip Mineraria. Gente dura, abituata a sopportare disagi, disposta a lavorare anche in cima di un vulcano, ancora oggi in ogni angolo del pianeta.

Quegli uomini che a testa bassa e con la morte nel cuore a Termini affrontavano l’ultimo turno di lavoro si sono sentiti “umiliati” perché gli è toccato subire una malandrinata del destino. Sconfitti, nonostante abbiano “vinto”. Contro i pregiudizi e la diffidenza.

La Fiat di Marchionne non ha niente a che vedere con la Fiat dell’Avvocato, ma c’è qualcosa che è rimasta la stessa: oggi, come allora sta dietro agli incentivi. Una volta a tirare fuori i soldi era lo Stato e la Regione siciliana, oggi a pagare gli operai polacchi, che s’accontentano di poco. O quelli americani, costretti a ricominciare da capo per evitare di restare senza lavoro. E tutti a incensare polacchi ed americani, quasi che accettare il peggio per evitare il nulla sia una specie di miracolo di san Gennaro.

Quando fu deciso di mandare in pensione il Ministero per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno, dissero che l’Italia era stata dissanguata dai meridionali. Un mare di quattrini regalati a fannulloni e capoccia della politica. La tirarono fuori al Nord questa storia, i leghisti ante-litteram, che da san Donato Milanese o dai salotti buoni dell’industria da un decennio facevano il bello e il cattivo tempo, in piena sintonia con i leader dei partiti romani.

Raccontarono che il Sud aveva fatto il suo danno tutto da solo. E che i soldi erano finiti nelle tasche di infingardi, mafiosi e ladri di passo. Loro se ne sarebbero stati a guardare. Poi si scoprì, con le inchieste giudiziarie, che le grandi holding del nord avevano messo tenda un poco ovunque nel Mezzogiorno e s’erano spartiti la torta, senza guardare per il sottile, tutt’altro.

Il Ministero per gli Interventi straordinari, spremuto come un limone, arrivato il tempo delle vacche magre, fu buttato via perché non serviva più ai padroni del vapore. Le partecipazioni statali, con alcune eccezioni importanti, furono smantellate, dopo essere state al servizio dei partiti e delle lobby industriali che dominavano il Paese.

Ora scoprono che la Finmeccanica, sopravvissuta con l’Eni, ha patteggiato con leader di partito commesse e nomine. Come fosse una novità.

Termini Imerese è nata per volontà di un capitano d’industria bene ammanicato che fiutò l’affare. La Fiat non ha mai dato un futuro alla sua fabbrica siciliana, l’ha tenuta sempre “di rimessa” ed ha bussato a quattrini a lungo. Gli operai siciliani sono diventati bravi quanto i torinesi, perché non hanno niente di meno e da qualche tempo, hanno cominciato ad amare la “loro” fabbrica.

Sono stati traditi sin dal primo giorno. Non solo da Marchionne, che si sente estraneo, sbagliando, ai “favori” ricevuti dallo Stato. La fabbrica è rimasta lontana dai mercati, dai luoghi delle decisioni, dal “triangolo” industriale. Un’oasi nel deserto. Come Gela, Milazzo, Priolo. Il mea culpa lo devono recitare in tanti. Ma non gli operai di Termini. Loro no.

Ora bisogna mettersi tutto dietro le spalle e voltare pagina. Non c’è alternativa.


fonte: SiciliaInformazioni.com

martedì 22 novembre 2011

Assolto Bruno Bellomonte. Smontato il teorema !

Dopo ore di camera di consiglio la Corte d'Assise di Roma ha assolto Bruno Bellomonte e altri due imputati dalle accuse di terrorismo. Smontato un teorema accusatorio inconsistente e tutto politico. Applicato comunque nei confronti di 3 imputati condannati...

Commozione ed entusiasmo tra i compagni e gli amici di Bruno Bellomonte.
Dopo alcune ore di Camera di Consiglio i giudici della Corte d’Assise del Tribunale di Roma hanno finalmente assolto il ferroviere arrestato 29 mesi fa e accusato di banda armata a fini terroristici. Cessa quindi lo sciopero della fame di solidarietà di Nicola Giua, portavoce dei Cobas della Sardegna, che lo aveva intrapreso sei giorni fa, al quale si era poi aggiunto il giorno successivo Antonello Tiddia, RSU della Carbosulcis e animatore insieme ad altri esponenti del sindacalismo di classe di un comitato di solidarietà che sabato scorso aveva realizzato un presidio sotto al Palazzo di Giustizia di Cagliari per denunciare la vera e propria persecuzione giudiziaria ai danni del dirigente dell’organizzazione politica sarda ‘A Manca pro s’Indipendentzia’ (A Sinistra per l’Indipendenza).
Chi conosceva Bellomonte aveva fin da subito scommesso sulla sua innocenza denunciando il carattere inconsistente e fantasioso delle accuse nei suoi confronti. «Bruno è stato arrestato 29 mesi fa con l'accusa di preparare qualcosa di grosso per il G8 di La Maddalena - ha spiegato Giua - l'accusa si è basata su una indecifrabile intercettazione fatta in un ristorante romano da cui si è desunta l'intenzione di attaccare il G8 con aeromodelli». Il rappresentante dei Cobas ha ricordato, inoltre, che Bellomonte «è stato licenziato da Trenitalia oltre un anno fa per assenza dal posto di lavoro». “Smontato finalmente un teorema accusatorio inconsistente e tutto politico teso a criminalizzare l’indipendentismo sardo di sinistra in un momento in cui nell’isola si moltiplicano le lotte” commenta al telefono Cristiano Sabino, dirigente di A Manca. "Voglio ringraziare tutti coloro che in questi anni si sono spesi per diffondere la verità su questa vicenda dando voce a Bruno" ha aggiunto.
Il clima in cui i giudici di Roma sono stati chiamati a decidere non era certo dei migliori. Proprio alcuni giorni fa alcuni media sardi e 'Il Fatto Quotidiano' avevano riportato con grande evidenza e, come al solito in maniera acritica, la notizia che la Direzione Distrettuale Antiterrorismo di Cagliari aveva riaperto le indagini sulla cosiddetto 'operazione Arcadia'. Secondo la Direzione cagliaritana i militanti di A Manca si sarebbero responsabili, nella prima metà degli anni 2000, non solo di una generica «propaganda sovversiva», fatta di volantini e proclami, ma «atti di terrorismo - li chiama la magistratura - compiuti da una banda armata organizzata per sovvertire l'ordine costituito». Accuse pesantissime che l'organizzazione politica rigetta in toto rivendicando, come del resto ha sempre fatto anche Bellomonte, la propria militanza politica e sociale comunista e indipendentista svolta alla luce del sole.
Quell'inchiesta, coordinata dal Pm Paolo de Angelis, condusse l'11 luglio del 2006 all'arresto di dieci tra attivisti e attiviste e dirigenti di A Manca. Tra questi c'era anche Bruno Bellomonte, poi scarcerato prima di essere arrestato di nuovo in conseguenza della nuova inchiesta sul 'tentativo di attaccare il G8 della Maddalena attraverso l'uso di un aeroplano telecomandato' (!) in 'combutta con alcuni complici' sparsi in varie città italiane (!!). Tra questi il 59enne romano Luigi Fallico, morto a causa di un infarto all'interno della sua cella nel carcere di Mammagialla, a Viterbo. Una morte che, alla luce dell'assoluzione di oggi di Bellomonte, genera ancora più rabbia e sconcerto.
Così come qualche dubbio, per lo meno, genera la condanna a 7 anni e 6 mesi di Massimo Riccardo Porcile (per lui il Pm aveva sollecitato la condanna a 15 anni), a 8 anni e 6 mesi Gianfranco Zoja (15 anni) e Bernardino Vincenzi a 4 anni e 6 mesi (il Pm aveva chiesto 12 anni e 8 mesi). Tutti - giudicati dalla sentenza responsabili del fallito attentato del 26 settembre 2006 alla caserma Vannucci di Livorno, rivendicato da «Per il comunismo Brigate Rosse» - erano stati arrestati il 10 giugno del 2009. Assolti invece, insieme a Bellomonte, anche Costantino Virgilio e Manolo Pietro Morlacchi (scrittore, figlio di "Pierino" e Heidi Ruth Peusch, una vita tra carcere e conflitto sociale), nei confronti dei quali la corte ha deciso l'immediata scarcerazione. Per Manolo, da subito indicato come assolutamente innocente da tutti, unidici mesi di detenzione solo per il cognome che porta.
fonte: Contropiano.org

giovedì 17 novembre 2011

AIUTIAMO NOEMI

Cinzia Cusumano inizia la sua battaglia molto tempo fa. A soli 27 anni, suo marito muore per colpa della leucemia. Dodici anni fa, moriva anche suo padre a causa di un tumore. Per la stessa patologia si ammala anche sua mamma. Poi, a maggio del 2009 Noemi, è colpita improvvisamente dalla sclerosi multipla.
In quelle zone, racconta la signora Cusmano, molte persone muoiono a causa di tumori e tanti bambini nascono con malfunzioni. Rovistando tra le agenzie stampa, si apprende che il 17 settembre del 2009 circa 50mila tonnellate di rifiuti di ogni genere, sono stati scoperti, in un terreno agricolo privato, nella periferia est di Ramacca, paese a pochi chilometri da Scordia. Gli scavi, effettuati con delle pale meccaniche, hanno consentito di portare alla luce sostanze inquinanti che molto probabilmente hanno causato gravi danni alle coltivazioni, e di conseguenza ai cittadini del luogo. Semplice coincidenza con le tante morti di tumore in quelle zone?
Senza lavoro, senza futuro
Cinzia, per stare vicino a sua figlia, non riesce più a lavorare. Prima del licenziamento, prestava servizio in un magazzino di arance. “Quattordici ore al giorno. A volte lavoravo anche la domenica. Poi all’improvviso Noemi si è sentita male ed è stata ricoverata in ospedale. Sono stata vicino a lei, sono mancata troppi giorni dal lavoro e alla fine mi hanno licenziata. Sono disoccupata dal gennaio del 2009”. All’inizio, riesce a vivere con i risparmi, poi finiscono e si ritrova a campare di stenti. Ora,“sono 2 anni che cerco lavoro come una matta”.
Si sforza di trovare una spiegazione sul perché riceve continui rifiuti da parte dei datori di lavoro. “La verità – dice sconsolata la mamma di Noemi – è che ho una figlia malata e non mi vogliono. Hanno paura che io mi possa assentare dal lavoro”. Ora, inizia il vero freddo e Noemi “ non può riscaldarsi”, deve andare a scuola e non può comprarsi i libri. “Siamo alla fame e alla disperazione. Il frigo è sempre vuoto. Come faccio ad andare avanti? Mi sento inutile e impotente”. Farmaci a pagamento e biglietti dell’aereo per andare a Milano ogni 3 mesi per le varie visite sono costi enormi. Sulle spalle di Cinzia c’è anche la casa e le bollette da pagare, “devo dire pero che il presidente Lombardo ci ha aiutati… fin quando ha potuto”.
La Cura
Noemi ha iniziato la cura di interferone, un farmaco che abbassa notevolmente le difese immunitarie. Ciò comporta delle reazioni indesiderate. La bambina dopo tante ricadute ha dovuto cambiare farmaco “questo è molto più pesante, l’interferone non fa più effetto su di lei”. Tutti i farmaci per Noemi sono a pagamento “Ho fatto domanda al comune di Scordia per avere un’ assistenza economica di urgenza. Loro, dicono che il comune non ha soldi e non mi possono aiutare”.
Ma Noemi non ha una pensione? “ Percepisce un’indennità di frequenza una volta all’anno. Quando la bambina ha fatto la visita per la pensione è stata vista da una psicologa”. Da lei è stata respinta la domanda per la 104 e l’accompagnamento. “Dove devo sbattere la testa? Cosa devo fare per aiutare la mia Noemi? Perché devo sempre lottare per avere dei diritti che Noemi dovrebbe avere?”. Noemi ha bisogno di visite frequenti, di farmaci e di una stabilità. “Io e mia figlia ci sentiamo sole e abbandonate da tutti”.
Noemi Cusmano ,ha bisogno del nostro aiuto
Noemi Cusmano, è stata abbandonata dalle Istituzioni
Noemi Cusmano ha il diritto di essere aiutata
Ha partecipato a trasmissioni televisive,mai nessuna risposta dalle istituzioni
Solo in Italia succedono queste cose,nel resto d'Europa le istituzioni non avrebbero abbandonato Egiziana Cusmano,questa mamma coraggio!
E allora tocca a noi ,invece di buttare 2€ per votare i nostri "coglioni" preferiti del Grande Fratello,diamo una mano a Noemi ,che è sola, abbandonata dallo stato
La mamma di nNoemi scrive:
- IO HO LOTTATO MOLTO PER AVERE UNA CASA CALDA E ASCUTTA. HO FATTO LO SCIOPERO DELLA FAME DA VANTI AL PRESIDENTE LOMBARDO DELLA SICILIA. E PER UN BREVE PERIODO MIA AIUTATA..NON POSSO AVERE CONTI IN BANCA PERCHE' A CAUSA DELLA MALATTIA DELLA MIA NOEMI MI HANNO PROTESTATA E SONO IN ROVINA TOTALE. L 'UNICA COSA CHE HO E LA MIA POSTAPAY, CHE E QUESTA: CUSMANO EGIZIANA 4023600559090115 IL MIO CODICE FISCALE E: CSMZN74C351R

Un pò di necessaria chiarezza sulla storia della moneta

La moneta è stata da sempre denominata, con un termine eccellente, l'intermediaria degli scambi. Ma cos'è effettivamente la moneta e qual'è la sua storia autentica e genuina, distorta poi da sciacalli e imbroglioni, politici e banchieri, ladri e furfanti che, perennemente, popolano le contrade di questo mondo?
Partiamo dall'anno mille circa, soltanto per semplicità di narrazione, seppure si dovrebbe partire dalla monetazione delle Polis, delle città della Magna Grecia e, meglio ancora, dall'Impero Romano.
Alla fine del primo millennio, l'Italia vide il fiorire delle Repubbliche Marinare di Pisa, Amalfi, Venezia e Genova. Partiamo da quest'ultima città, seppure la narrazione degli eventi riguarda anche le altre che ricalcarono l'attività gestita nel periodo ellenico, con i cosiddetti " trapezita " che, nella lingua greca significa ancora oggi Banca.
La Repubblica di Genova commerciava con l'Oriente ed esportava in quelle contrade tantissimi prodotti che produceva, ad esempio cavalli e armi in acciaio.
Quando la nave genovese arrivava nel porto di una città dell'Oriente, scaricava le merci, cavalli ed armi appunto, e ripartiva imbarcando altri merci, ad esempio seta, che barattava con le armi o i cavalli. Ma se non aveva bisogno di seta, e non c'era altra merce richiesta dal mercato ligure, italiano o europeo, la nave ripartiva con un cofanetto di monete d'oro o d'argento ricevuto per i cavalli e le armi vendute. E l'oro, assieme all'argento, sono stati sempre metalli ritenuti preziosi, accettati da tutti gli Stati, in tutte le epoche, per le caratteristiche proprie che non hanno altri metalli, nè altre merci, come ad esempio la rarità, l'incorruttibilità del materiale se viene messo in acqua, la sua non corrosione all'aria, la sua bellezza, la malleabilità, la sua inscindibilità anche se sottoposta all'azione di potenti acidi, eccezione fatta per l'acido cianidrico, un composto di acido solforico e acido nitrico in determinate percentuali di composizione.
Ebbene, per come si è detto, la nave , nel viaggio di ritorno, poteva portare un cofanetto d'oro che era, tuttavia, preda ambita di feroci predoni e corsari che infestavano i mari e aspettavano il passaggio della nave per assalirla e impadronirsi dell'oro.
Per evitare di essere depredati e assaliti, i mercanti genovesi si facevano rilasciare una semplice ricevuta da una banca dell'oriente, che aveva la corrispondente banca a Genova, o in Italia, o in Europa. Quella ricevuta, presentata alla banca in quella città italiana, diventava moneta aurea, che veniva pagata immediatamente dalla Banca.
Quindi, il bene prezioso è l'oro che veniva pagato a presentazione delle ricevuta, e non certo la ricevuta, che rimaneva pur sempre carta straccia.
Da tale traguardo, il salto alla coniazione ed emissione della moneta è brevissimo : Ad un grammo d'oro presente in una moneta, corrispondeva una moneta cartacea emessa dallo Stato che garantiva la pronta convertibilità di quella banconota nella quantità di oro prestabilita. Le Banche, quindi, erano Enti che provvedevano a cambiare la carta moneta nelle corrispondenti quantità di oro, a semplice richiesta dei portatori di quel biglietto.
Quindi possiamo affermare che tutti i biglietti di carta moneta che circolavano in quello stato avevano la pronta convertibilità in oro, senza che una banca potesse rifiutare di cambiare una banconota nella corrispondente quantità di oro. Ma siccome la minchioneria della gente è senza limite, ogni detentore di una pur singola banconota convertibile, ritenne che non valeva la pena recarsi in banca per cambiare carta con oro, o almeno, non c'era necessità alcuna di mettere in pratica tale operazione di cambio ad ogni momento, perchè ci si sarebbe potuto andare magari fra alcuni giorni, oppure, non avendone bisogno, si poteva lasciare l'oro in banca che era comunque custodito nella cassaforte blindata, oppure era poco pratico portare nelle tasche l'oro ricevuto dalla banca perchè pesava un poco, oppure perchè riposto dentro, a casa, poteva essere rubato dai ladri, etc. La gente detentrice di carta moneta, quindi, non si recava in banca o, almeno, tutta la cartamoneta non veniva presentata per essere convertita in oro. Si comprese, allora, che con una minore quantità di oro, si poteva far fronte ad una maggiore quantità di carta moneta perchè non tutti i possessori di carta moneta richiedevano la pronta convertibilità in oro : Tale meccanismo fu l'origine dei tantissimi imbrogli che i banchieri e gli speculatori, d'accordo con i politici, cominciarono a fare sulla pelle dei poveri cittadini, perchè alla quantità di monete di carta circolante non corrispondeva più quella quantità di oro che la carta moneta rappresentava. Tutto ciò significa, in termini semplicissimi, inflazione, cioè perdita del potere d'acquisto della moneta, aumento dei prezzi di tutte le merci, maggiore moneta cartacea per acquistare lo stesso bene.
Fino a quando ci furono comunque dei politici degni di questo nome, fu stabilito che lo Stato avesse potuto emettere carta moneta in una quantità contenuta entro un determinato rapporto con l'oro giacente nelle banche o nella banca d'italia o d'emissione, lasciando comunque valida la possibilità di conversione della carta moneta con l'oro in giacenza. Ma poi, nel novecento, arrivarono gli affamatori del popolo, e con una legge fatta da quattro ladroni, si stabilì la non convertibilità della carta moneta con l'oro, operazione che sta alla base di tutti gli imbrogli finanziari. Dalla riserva frazionata ( rapporto oro/emissione carta moneta ) si passò a nuovi e fasulli parametri di emissione di carta moneta, come prodotto interno lordo ( totale dei BENI E DEI SERVIzi PRODOTTI IN UNA NAZIONE, IN UN TEMPO STABILITO ) ed altre sozzure simili. La carta moneta è e resta null'altro che carta straccia, origine di tutti i mali e di tutte le speculazioni dei nostri tempi.
Al di là delle storielle inventate sull'aggressione della Francia e compagni alla Libia, non c'è stata la menzogna spudorata di portare la democrazia in quella terra, quanto la rapina perpetrata da Francia e compagni, per il petrolio, anzi c'è qualcosa di più diabolico, come il fatto di impedire a quella nazione africana l'emissione del dinaro d'oro nell'economia del mondo; ciò avrebbe comportato la distruzione di tantissime nazioni europee, Usa compresi, che hanno speculato sulla fame dei popoli del mondo: Il dinaro d'oro in circolazione avrebbe comportato l'inutilità dell'euro e del dollaro che sarebbero stati considerati per l'effettivo valore che hanno: null'altro che carta straccia, per pulire le scarpe dalla polvere o per recarsi nel water. E il dinaro d'oro, giusto o sbagliato che fosse per i popoli di questa miserabile europa e degli Usa, avrebbe consentito un'economia sana per tutte le nazioni del mondo, distruggendo un'economia virtuale che sta a fondamento della fame del pianeta e della speculazione mondiale che attanaglia i poveri del mondo, a beneficio di un'accozzaglia di ladroni.
di: Lucio Paladino

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lunedì 14 novembre 2011

"Niente certezze sul futuro di Termini"

PALERMO - Stop alla produzione delle auto a Termini Imerese con un mese di anticipo. La decisione della Fiat comunicata oggi ai sindacati gela i rappresentanti dei lavoratori che della vertenza Termini hanno fatto un simbolo. "Non fa tanto scalpore la data ufficializzata dalla Fiat per la fine della produzione, quanto il fatto che c'è ancora incertezza sulle soluzioni per lo stabilimento e i lavoratori - dice Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, a Palermo per una manifestazione su lavoro e giovani. "Non c'è dubbio - aggiunge - che la chiusura della Fiat è una di quelle scelte che hanno ripercussioni sull'economia della Sicilia, il territorio di Termini Imerese subirà certamente dei danni". "Questa decisione è un segnale inquietante - dice Giovanna Marano, segretario regionale della Fiom - soprattutto in un momento in cui le trattative sono ancora aperta e non ci sono certezze su quello che sarà il futuro dello stabilimento e dell'intero comprensorio comprensorio". Duro il commento di Roberto Mastrosimone, segretario provinciale della Fiom che accusa il Lingotto di non preoccuparsi del destino delle tute blu siciliane: "Ancora una volta Fiat ha dimostrato di infischiarsene dei 2200 lavoratori e che andrà via a prescindere da quello che saranno gli esiti delle trattative per il passaggio di consegne". Da Mastrosimone anche un attacco alla politica, colpevole a suo dire di essere stata troppo morbida nei confronti del colosso automobilistico torinese:

"La responsabilità dei Governi nei confronti degli operai dello stabilimento è notevole: non è possibile permettere ad un'azienda che ha ricevuto così tanto di mettere in atto certi comportamenti senza preoccuparsi delle conseguenze".

Non si stupisce invece Vincenzo Comella, segretario provinciale della Uilm: "La comunicazione di cessazione attività non mi sorprende - spiega - Adesso Fiat faccia la sua parte per poter continuare e definire la trattativa con la Dr motors e il Ministero. Mi aspetto risvolti importanti già nel vertice di mercoledì prossimo ma tutto dipenderà dalla posizione che intendono assumere i dirigenti del Lingotto". Sulla stesso piano anche Giovanni Scavuzzo della Fiom: "Era solo una questione di tempo - dice - ma prima o poi avrebbero dato l'annuncio ufficiale". Intanto per i lavoratori si prospetta un'ulteriore aumento delle ore di cassa integrazione: "Nell'ultimo anno abbiamo lavorato pochissimo e un altro mese di cig, soprattutto a dicembre sarà un vero e proprio salasso per gli operai e le loro famiglie. Non ci resta che sperare che il vertice di mercoledì dia una svolta decisiva al futuro della vicenda". Preoccupazioni giungono anche dalla politica. "Seppur annunciata da tempo è certo una notizia drammatica, tanto più perché arriva quando ancora non è stata chiusa la trattativa avviata con Dr Motors per il subentro nello stabilimento siciliano - commenta il sindaco di Termini Imerese Salvatore Burrafato - Di fatto questo annuncio conferma, accrescendo il rammarico, che lo stabilimento di Termini Imerese è l'unico a chiudere in Europa. Resta grande amarezza perché, forse, si poteva fare di più per scongiurare la cessazione dell'attività. Adesso le nostre speranze sono riposte nel progetto Dr Motors. Un progetto ambizioso che comunque non è in grado di garantire il reimpiego dei 2.200 addetti di Fiat e indotto".
(14 novembre 2011)
fonte:la Repubblica

sabato 5 novembre 2011

Catania, per le elezioni del 2005 Scapagnini condannato a 30 mesi

CATANIA - La Corte d'appello di Catania ha confermato la condanna a due anni e sei mesi di reclusione dell'ex sindaco e attuale deputato nazionale del Pdl Umberto Scapagnini per abuso d'ufficio e violazione della legge elettorale, nel processo sui rimborsi Inpdap ai dipendenti del Comune per i fenomeni eruttivi e sismici dell'Etna del 2001 e 2002 prima delle consultazioni amministrative. I giudici hanno confermato Scapagnini a risarcire con 50 mila euro il senatore del Pd e allora candidato a sindaco (non eletto), Enzo Bianco, che si era costituito parte civile.
Tre giorni prima delle elezioni per il nuovo sindaco, la giunta Scapagnini deliberò di destinare dei fondi a 5000 dipendenti comunali che avevano dovuto affrontare i disagi causati dalla cenere lavica. Secondo i giudici, con questa decisione il sindaco e la sua giunta abusarono del loro potere e violarono le regole della campagna elettorale per influenzare il voto dei dipendenti.
Insieme a Scapagnini sono stati condannati (sempre a due anni e sei mesi) anche gli assessori di allora, tra i quali il neo senatore di Fli Nino Strano, subentrato al dimissionario Raffaele Stancanelli. Gli altri ex assessori sono Filippo Grasso, Antonino Nicotra, Ignazio De Mauro, Orazio D'Antoni e Fabio Fatuzzo.
"La sentenza d'appello ha detto chiaramente come le elezioni del 2005 siano state viziate" commenta Enzo Bianco. "Adesso tutti abbiamo piena cognizione dei comportamenti che la magistratura ha ritenuto illeciti e che hanno pesantemente influito sul voto".


(04 novembre 2011)
fonte: la Repubblica

martedì 1 novembre 2011

Lucio Paladino - La Buffonata Del Debito Pubblico : Perchè non va pagato !

Quando gli Stati hanno necessità di moneta, le menti perverse dei nostri politici, la richiedono alla Banca Centrale o di emissione.
La Banca stampa le banconote o concede credito virtuale, facendosi consegnare dallo Stato la garanzia reale in titoli di credito , ( B.O.T., C.C.T., etc ). La garanzia è pari al valore nominale del debito concesso, più l' interesse ( peraltro stabilito dale stesse Banche, senza alcuna contrattazione di sorta).
Lo Stato, ricevute le banconote o il credito, le mette in circolazione, distribuendolo al popolo o a una parte di esso, per vattività varie, servizi resi, compresi i pagamenti mensili ai nostri cari politici e parlamentari, per il loro fecondo lavoro.
Al termine di queste operazioni, abbiamo un popolo, sempre lui, che dispone della moneta, la Banca di emissione che detiene i titoli di credito dello Stato, e l'eterno minchione che è lo Stato, il quale ha sottoscritto il debito: Lo Stato Ha Quindi Un Debito!
Se la Banca Centrale vende i titoli che detiene in garanzia al popolo, succede che la Banca Centrale medesima ha la disponibilità della moneta, ma questa volta si tratta di una moneta reale perchè garantita da quell'eterno coglione che è lo Stato.
RICAPITOLANDO : Il Popolo ha il credito e lo Stato continua ad avere il debito. Ma lo Stato ed il Popolo sono le due tasche di uno stesso pantalone, per cui lo Stato, per pagare alla scadenza i titoli del Debito Pubblico, deve tassare i cittadini stessi.
Succede, allora, che quanto incassato dalla Banca Centrale resta nella totale disponibilità della Banca stessa e delle Organizzazioni che essa rappresenta e che ci gozzovigliano a merenda, essendo la Banca Centrale una Società di diritto privato, che nulla ha a che vedere con forme statutarie e con Enti Pubblici. Naturalmente, ai cittadini, ultimi coglioni della catena, è rimasto il debito attraverso lo Stato.
Va da sè che ogni Governo passa, ma resta sempre quel coglione che si chiama POPOLO.
E' insomma il gioco delle tre carte riveduto e corretto, dove una carta su tre vince, le altre due perdono, ma chi punta sulla carta che ritiene vincente, non vince mai, perchè vince sempre il banco o il compare di chi tiene il banco. Un gioco molto bello, se si ha la possibilità di vederlo praticamente nella fiera del lunedì a Catania, fatto da gente di mano assai svelta che reputo autentici artisti.
E per non avere allora il debito pubblico ? : Semplicissimo ! Sarebbe sufficiente per lo Stato, anzichè stampare ed emettere titoli di debito a favore delle Banche, si stampasse da sè le monete occorrenti, comunque entro limiti di moderata oculatezza per non svalutare la propria moneta in circolazione.
Niente finanziamenti dalla Banca Centrale, niente Debito Pubblico, con il potere-dovere dello Stato di rivendicare la sovranità nazionale e popolare sulla moneta.
E dinanzi a tanto schifo possiamo però consolarci perchè abbiamo un ministro come Tremonti, un vero genio nell'Economia, oltre all' altro genio come Ciampi : E non ci basta ? Che ingrati che siamo noi Italiani !
Lucio Paladino, Vice Segretario Nazionale Dell' EVIS

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domenica 30 ottobre 2011

Piero Grasso: “Le candidature politiche servono per ottenere l’immunità”

”Oggi la candidatura politica serve da copertura per avere l’immunità parlamentare: è un processo che si è capovolto”. Il procuratore capo della Direzione nazionale antimafia Piero Grasso non usa mezzi termini: “Non tocca alla magistratura fare le liste o curare operazioni di cosiddetta ‘bonifica politica’ – spiega a Palermo durante un incontro su giustizia e pentitismo – però i cittadini che votano candidati discutibili puntano a un vantaggio personale, fanno parte del meccanismo del voto di scambio”.

Grasso difende il valore dell’informazione contro la legge ‘Bavaglio‘, ma anche la necessità di salvaguardare la privacy: “Il magistrato ha un grandissimo potere, entra nelle vite degli altri, scava nella privacy: è un potere che va usato con cautela, che viene dato in funzione di una responsabilità precisa e non per arrivare a una gogna mediatica, ha detto il procuratore. “Bisogna evitare – ha aggiunto – qualsiasi bavaglio dell’informazione, ma occorrono delle regole. Non credo sia giusto né rilevante che tutti coloro che conoscono l’indagato debbano sapere anche i fatti più intimi che lo riguardano. La privacy dei cittadini va violata solo quando l’indagine dà effetti positivi per l’indagato. Il fine della giustizia è quello di fare processi e arrivare alla verità”.

Grasso interviene anche sulla recente scarcerazione di sei ergastolani accusati della strage di via D’Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta: ”Tendere all’accertamento della verità è un valore irrinunciabile, dovrebbe essere un imperativo categorico da seguire anche dopo tanti anni – ha detto il procuratore – La sospensione della carcerazione dei condannati in via definitiva segue la giurisprudenza della Cassazione che prevede non si possa fare un giudizio di revisione se prima non diventa definitivo l’accertamento dei fatti che portano alla revisione. E’ una posizione estremamente garantista che però in relazione alle cose accertate è corretta, del resto sono state scarcerate persone che hanno scontato parecchi anni di carcere e taluni di questi, pare, anche ingiustamente”.

E sulle dichiarazioni del collaboratore Stefano Lo Verso, il procuratore ha dichiarato: “I rapporti tra mafia e politica non sono mai cessati, non mi pare nulla di nuovo. Lo Verso parla di alcuni anni fa, sono solo le indagini che possono scoprire se si tratta di rapporti ‘indecenti’. Ricordo ancora i pizzini di Bernardo Provenzano, dove qualcuno gli chiedeva indicazioni di voto; purtroppo, non abbiamo potuto trovare la risposta”. ”E’ importante scoprire laverità – ha aggiunto Grasso – non solo sotto il profilo degli esecutori materiali. Da anni chiediamo a tutta la società di fare chiarezza, ‘chi sa qualcosa, parli’. Il problema è riuscire da un punto di vista giudiziario a trovare anche le prove”.

“Speriamo – ha aggiunto – che qualcuno abbia una resipiscenza per fornire qualche ricordo. Ho avuto il privilegio di sentire per primo Gaspare Spatuzza in questa sua manifestazione di resipiscenza. Anche lui ci ha messo tanti anni. Se l’avesse fatto subito dopo la cattura, come aveva intenzione di fare in un primo momento, forse sarebbe cambiata tutta la storia del processo e della mafia. Purtroppo ci sono tempi che non dipendono dalla magistratura, ma dalla possibilità di accertare queste realtà, partendo da alcuni elementi, seppure indiziari”.

“Se qualche mafioso si scrollasse di dosso questa regola dell’omertà – ha concluso Grasso – forse potremmo ricominciare tante indagini. Parecchi omicidi eccellenti sono rimasti coperti dal mistero: penso agli omicidi La Torre, Mattarella, Dalla Chiesa. Il monito ‘chi sa parli’, che ripetiamo da anni, è rivolto a tutta la società”.

fonte: la Repubblica

sabato 29 ottobre 2011

Nell'inferno del carcere di Pianosa

Dal 18 luglio 1994 e fino a quarantotto ore fa è stato uno degli ergastolani accusati della strage di via d'Amelio. Ha attraversato l'inferno di Pianosa, che lui chiama la discoteca perché "si ballava dalla mattina alla sera per le sevizie", è rimasto in isolamento al 41 bis, ha perso il suo lavoro al Comune come spazzino, portando addosso il marchio di essere uno dei mafiosi che ha preparato l'attentato al giudice Borsellino. Gaetano Murana, scarcerato con altri cinque, compie 54 anni il 4 novembre: il suo primo compleanno da uomo libero dopo 18 anni in cella. Si racconta nella sua prima intervista. Ha il viso scavato, adesso porta gli occhiali e ha le mani gonfie e rosse di chi ha maneggiato tanti detersivi per tirare a lucido le troppe celle in cui ha vissuto. Al polso l'unico "souvenir" che gli ricorda gli anni trascorsi in galera: un orologio Swatch di plastica, l'unico ammesso.
Da dove cominciamo signor Murana, dall'inizio o dalla fine?
"La conclusione dei miei giorni in carcere è assolutamente la parte più bella. A Voghera ho lasciato l'infinita tristezza per una falsa verità che non mi apparteneva e una pentola con il sugo di carne fatto con le mie mani, che, senza offesa, è uno dei migliori che si siano mai assaggiati nelle celle italiane. E io di carceri ne ho girate ben 8 in diciotto anni. È andata così: stavo arriminannu il sugo per non farlo appigghiare quando un agente è entrato nella mia cella di Voghera. Mi ha portato

in infermeria dal capoposto che mi ha chiesto quale fosse la mia residenza. Lì ho capito e mentre già piangevo è stato il capoposto a dirmi: "Lei è liberante". A quel punto i miei compagni mi hanno aiutato a fare le valigie. Anche loro piangevano. I vestiti, le scarpe, le tute da lavoro li ho donati ai più bisognosi. Quando la porta carraia si è chiusa alle mie spalle ho cominciato a tremare. Mi sono guardato attorno, ero confuso. Mi sono seduto su un gradino e ho cominciato a piangere tutte le mie lacrime".
Andiamo indietro di 18 anni, al giorno dell'arresto. Come andò?
"Ancora ci penso e in certi momenti sorrido amaramente. Bisogna partire dal giorno prima per capire. Era il 17 luglio. Stavo guardando la finale Italia-Brasile del campionato mondiale di calcio Usa 94, abbracciato a mia moglie. Eravamo sposini. Mio figlio, Giuseppe, era nato un anno e un mese prima. Nell'intervallo tra il primo e il secondo tempo l'annuncio che ha cambiato la mia vita. Il giornalista del tg diceva che un nuovo collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino, stava raccontando fatti e misfatti sulla strage di via d'Amelio. Non dimenticherò mai la sua foto in televisione. È rimasta impressa nella mia memoria per tutti questi anni maledetti. Conosco Scarantino, abitava a 50 metri da casa mia. La mattina seguente sono stato arrestato mentre andavo al lavoro. Con la mia auto avevo fatto un'infrazione. Un'auto civetta mi ha subito bloccato. Credevo di ricevere una multa. I poliziotti mi dissero che avrei perso tre minuti. Ebbene, questi tre minuti sono durati 206 interminabili mesi e una manciata di ore. Quando alla squadra mobile mi hanno consegnato l'ordine di cattura per strage, ero stupefatto. Ho chiesto perché. I poliziotti mi hanno risposto: "Questo è un regalo che ci ha fatto Scarantino"".
Lei è stato accusato di avere "bonificato e sorvegliato" il luogo dell'attentato a Borsellino. Ed è finito al 41 bis, il carcere duro. Come ha resistito?
"Pianosa è quello che ha lasciato nella mia anima le ferite più profonde. Dopo l'arresto mi hanno portato nella sezione Agrippa, quella riaperta proprio per il 41 bis. Botte e sevizie, come hanno denunciato alcuni detenuti, erano all'ordine del giorno. Sono stato costretto a fare flessioni nudo per 3 anni, a subire violenza con l'uso del metal detector sui genitali. Ma non dimenticherò nemmeno i profilattici dentro alle minestre, il peperoncino nelle bevande, le sbarre battute a tutte le ore per tenerci svegli. Il 17 luglio del 1997 sono stato l'ultimo a lasciare Pianosa. Ma anche Caltanissetta è stato un altro posto da dimenticare. Mi rendo conto, adesso, che negli anni a tutte quelle botte mi ero quasi abituato".
Nel "Borsellino I" lei è stato assolto, e dal 2002 al 2005 è tornato in libertà. In appello poi è stato condannato all'ergastolo, pena confermata in Cassazione. Libertà a parte, cos'altro ha perduto in questi anni?
"La crescita di mio figlio: l'ho rivisto e l'ho potuto toccare dopo i primi 5 anni di carcere. È stato un supplizio. Poi ho perso i migliori anni di matrimonio. Ero un ragazzo, adesso mi sento stanco e vecchio. Ho perso una sorella, morta di tumore e che non ho potuto salutare. E ho perso il lavoro. Adesso pretendo di nuovo il mio impiego al Comune. Credo mi spetti, no?".
C'è stato qualcosa di buono, nonostante tutto, nella sua lunga carcerazione?
"Nel 2009, finalmente, dopo una lunga battaglia con l'avvocato Rosalba Di Gregorio, ho ottenuto la revoca del carcere duro. Ho potuto riprendere gli studi. Mi sono iscritto a ragioneria: andrò al terzo anno. Poi ho approfondito la mia fede. Ho letto e riletto i libri su San Francesco. Sono diventato anche un uomo più riflessivo e vorrei dedicarmi al volontariato".
Qual è il primo desiderio esaudito da uomo libero?
"Mi sono fatto preparare un piatto di pasta con le sarde, la mia preferita".
Se avesse Scarantino davanti cosa gli direbbe?
"Nulla, lo saluterei. È una vittima come me. Credo che le sue false dichiarazioni sono il frutto dei terribili anni a Pianosa. Vorrei solo chiedergli una cosa: "Chi ti ha detto di fare il mio nome?"
fonte: la Repubblica

venerdì 28 ottobre 2011

"Quell'autobomba rubata a spinta" il racconto del pentito Spatuzza

"Io so di via D'Amelio perché l'auto imbottita di tritolo l'ho rubata io". Comincia così la narrazione con cui Gaspare Spatuzza riscrive la strage di Borsellino e della sua scorta e scagiona otto palermitani condannati all'ergastolo per quel reato. Una testimonianza ricca di dettagli, compresa la descrizione di un misterioso cinquantenne, "non di Cosa Nostra", che aspettava la Fiat 126 nel garage dove fu trasformata in autobomba: un uomo che potrebbe essere il collegamento con i servizi deviati.
Tutto cominciò con una soffiata. Ancora oggi non si sa esattamente da dove è venuta. Forse dal Sisde, il servizio segreto civile che l’ha trasmessa alla polizia di Palermo. O forse dalla polizia di Palermo, che l’ha trasmessa al Sisde. Era una soffiata fasulla. Sull’auto che aveva fatto saltare in aria Paolo Borsellino e sui mafiosi che l’avevano rubata. Dopo quasi vent’anni, è arrivato però Gaspare Spatuzza che ha riscritto la storia delle stragi siciliane. Lo racconta lui come hanno ammazzato, il 19 luglio del 1992, l’erede di Falcone. Cancellando con le sue confessioni indagini pilotate e processi passati al vaglio della Cassazione, indicando depistaggi e piste ingannevoli. Un romanzo nero riscontrato punto dopo punto negli ultimi due anni.
In una drammatica narrazione Gaspare Spatuzza rivela come i boss – e probabilmente qualcun altro – prepararono ed eseguirono il massacro.

"Io so di via D’Amelio perché l’auto imbottita di tritolo l’ho rubata io…". Comincia così il primo interrogatorio – il 26 giugno del 2008 – dell’uomo d’onore di Brancaccio con il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari. Repubblica è venuta in possesso delle 1138 pagine della richiesta di revisione con la quale la magistratura di Caltanissetta ha chiesto la "sospensione della pena" per otto imputati ingiustamente condannati all’ergastolo, otto palermitani trascinati nel gorgo delle investigazioni da falsi collaboratori di giustizia e da un’inchiesta poliziesca che oggi è sotto accusa. Se quasi vent’anni fa, poliziotti e pubblici ministeri si erano fidati (dopo quella soffiata "inquietante", come la definiscono i procuratori siciliani) del picciotto di borgata Vincenzo Scarantino che li ha portati verso il nulla, adesso Gaspare Spatuzza spiega come andarono veramente le cose. E parla soprattutto di sé. Di quando lui – e non Scarantino, il bugiardo - rubò quella Fiat 126 che poi servì per l’attentato. Di come la portò in giro per Palermo. Fra garage e magazzini, dalla foce del fiume Oreto fin sotto la casa della madre del magistrato.

Tutte le falsità del pentito Scarantino si erano concentrate proprio sul furto di quella 126. Ecco la nuova versione di Gaspare Spatuzza. Con un disegno di suo pugno del luogo dove rubò l’auto. Con tutte le foto del percorso dell’utilitaria attraverso Palermo: dal box dove fu custodita al box dove fu imbottita di esplosivo.
Parla Gaspare Spatuzza: "Io fui incaricato di un furto di una Fiat 126 da Fifetto Cannella, per ordine del boss Giuseppe Graviano. In quel momento ho pensato subito al giudice Rocco Chinnici, anche lui saltò su una 126... ma non sapevo ancora a cosa mi stavo prestando... L’ho rubata io insieme a Vittorio Tutino, nella notte fra l’8 e il 9 luglio, dieci giorni prima della strage. Poi, l’ho tenuta in diversi magazzini".

Il pentito racconta come preparano la strage, giorno dopo giorno: "Cannella, mi disse che avrei dovuto rubare proprio una 126. Era prima di mezzanotte. L’abbiamo trovata in una stradina che collega via Oreto Nuova con via Fichi d’India… io rimango in macchina… vedendo che lui, il Tutino, aveva perso del tempo… cerco di andare a vedere cosa stava combinando… quindi scendo dalla macchina e gli dico: ‘Ma che fai?’… e lui mi dice: ‘Mi viene difficile a rompere il blocca sterzo’… rimango lì con lui che poi è riuscito a romperlo ma non ce la facciamo a metterla in moto perché aveva rotto tutti i fili, quindi decidiamo di portarla via a spinta".

L’auto che ucciderà il procuratore Borsellino, dieci notti prima era una carcassa che neanche partiva.
Ricorda ancora Spatuzza: "La macchina era sul rossiccio e tra l’amaranto e il sangue di bue… comunque era di un colore rosso spento… quindi attraversiamo verso Brancaccio e la portiamo in un magazzino di Fondo Schifano. Percorriamo via Fichi d’India, San Ciro, via San Gaetano fino al capannone dove io avevo già iniziato la ‘macinatura’ dell’esplosivo che era nascosto in alcuni fusti di metallo". Poi Spatuzza e Tutino avvertono Fifetto Cannella e Giuseppe Graviano: "Abbiamo la macchina". Poi ancora Spatuzza incontra da solo il suo boss,Giuseppe Graviano, quello che lui chiama "Madre Natura". Dice: "Mi fa un sacco di domande: mi chiede di questa 126… dove l’avevo rubata, se era intestata a persone di nostra conoscenza e gli ho detto di no, se qualcuno l’aveva già cercata e gli ho detto ancora di no. Gli ho spiegato che c’era la frizione bruciata, e per bruciare la frizione in quel genere… sicuramente la macchina era di una donna perché le donne portano i tacchi… quindi hanno il problema di staccare la frizione. E poi gli ho anche detto che ci ha… il problema della frenatura… che freni non ce ne ha… lui mi dice: ‘Puliscila tutta e di levare tutti i santini e anche l’immagine di Santa Rosalia’. Io quindi la pulisco tutta… levo tutti i segnali di riferimento che si poteva e ho bruciato i documenti, fogli, tutto quello che esisteva l’ho bruciato… anche un ombrello".

Dopo due giorni Gaspare Spatuzza sposta l’auto in un altro suo magazzino di corso dei Mille, dove poi porta un meccanico. "Sono andato a cercare a questo Maurizio Costa e gli ho detto che dovevamo fare un lavoretto nella 126, gli ho spiegato che si doveva fare la frenatura ma non gli ho detto altro. Gli ho fatto capire che l’auto era di un latitante e gli ho fatto capire anche che non doveva parlare. Quindi sono andato a comprare i ganasci, olio e altri pezzi. Ho speso quasi centomila lire". Spatuzza riceve da Vittorio Tutino due batterie e un antennino da collegare a un telecomando. E anche l’ordine di rubare due targhe di altre Fiat 126 per metterle sopra all’autobomba. Il boss Graviano gli raccomanda di rubare le targhe il sabato mattina, il 18 luglio. Così il furto, probabilmente, verrà denunciato solo il lunedì successivo. Dopo la strage.

E’ a quel punto che venerdì 17 luglio, verso le tre del pomeriggio, una Fiat 126 color amaranto scivola per le vie di Palermo carica di tritolo. Alla guida c’è Gaspare Spatuzza, accanto a lui Fifetto Cannella. Appena s’infila in corso dei Mille, Spatuzza incrocia con lo sguardo Nino Mangano, il capo del mandamento di Brancaccio che gli fa da battistrada su un’altra automobile. Spatuzza è sorpreso, poi capisce che è lì un po’ per controllarlo e un po’ per proteggerlo. Corso dei Mille, via Roccella, via Ventisette Maggio, piazza dell’Ucciardone dove c’è il vecchio carcere. Proprio, in quella piazza, c’è un posto di blocco della Guardia di Finanza. La staffetta Mangano avverte Spatuzza, che svolta all’improvviso verso il Borgo Vecchio. Si ferma a un chiosco, prende tempo. Quando Nino Mangano gli dice che la strada è libera, la Fiat 126 ritorna indietro, supera l’Ucciardone e punta verso la via Don Orione. Dopo poche decine di metri l’utilitaria sparisce dentro un garage di via Villasevaglios 17.

C’è uno scivolo di cemento, c’è un cancello di ferro e poi una saracinesca. Quando sale, Gaspare Spatuzza infila il muso della Fiat 126 lì dentro, dove ci sono ad aspettarlo due uomini. Uno è Renzo Tinnirello della "famiglia" di corso dei Mille, l’altro è Ciccio Tagliavia di Brancaccio. Ma alle loro spalle, nell’ombra, c’è anche uno sconosciuto, un uomo di una cinquantina d'anni che non è un mafioso. Nel 2009 Gaspare Spatuzza aveva indicato quell’uomo, con nome e cognome, come un appartenente ai servizi segreti. Nel 2010 ha fatto marcia indietro, parlando solo "di una certa somiglianza". Spento il motore della Fiat 126, Tinnirello dice a Spatuzza di pulire lo sterzo per cancellare le sue impronte digitali. Poi Tinnirello e Tagliavia imbottiscono l’auto e preparano l’innesco. Gaspare Spatuzza torna verso la sua Brancaccio, passa dall’Ucciardone ("il posto di blocco della Finanza non c’era più") e intuisce - dalla vicinanza con la casa della madre di Paolo Borsellino - a cosa servirà quella Fiat 126.

Era dalla prima settimana di luglio che erano cominciati gli appostamenti in via Mariano D’Amelio. Il primo sopralluogo. Poi, il secondo sopralluogo "circa una settimana prima della strage". Li avevano fatti Fabio Tranchina e Giuseppe Graviano. Il boss aveva chiesto a Tranchina di procurarsi anche un appartamento lì vicino ("senza agenzie, mi raccomando...") ma poi aveva visto un giardino dietro la casa della madre del magistrato e aveva deciso di piazzarsi lì con il telecomando. Sabato 11 luglio il boss Salvatore Biondino e i due cugini Salvatore Biondo e Giovan Battista Ferrante (uno detto "il lungo" e l’altro "il corto") provano il telecomando in campagna. Lunedì 13 luglio i Ganci della Noce contattano Antonino Galliano e lo avvertono di "tenersi pronto per pedinare" Borsellino la domenica successiva. Il 16 luglio Salvatore Biondino dice a Giovanni Brusca che è "sotto lavoro" ma che non ha bisogno di aiuto per la strage. Il 17 luglio Biondino chiama Ferrante e gli ordina "di tenersi libero per domenica che c’è da fare". Sabato 18 luglio Raffaele Ganci informa Salvatore Cancemi che, il giorno dopo, Borsellino morirà.

Alle sette del mattino di domenica 19 luglio i mafiosi delle "famiglie" della Noce, di San Lorenzo e di Porta Nuova sono "in osservazione" intorno a via Mariano D’Amelio. Alle 16,58 il procuratore salta in aria con cinque agenti della sua scorta. Sono stati solo i mafiosi? Scrive il procuratore Sergio Lari nella richiesta di revisione del processo Borsellino presentata, qualche giorno fa, alla procura generale di Catania: "Dopo diciannove anni, potrebbe sembrare singolare, se non addirittura anomalo, che siano state avviate nuove indagini destinate a mettere in discussione ‘verità’ che ormai sembravano acquisite". E, riferendosi alle false piste, il procuratore scrive: "Bisogna comprendere se con i depistaggi si volevano coprire la responsabilità di ‘soggetti esterni’ a Cosa Nostra riconducibili ad apparati deviati dei servizi segreti, ovvero ad altre Istituzioni o a organizzazioni terroristico-eversive".

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/10/27/news/spatuzza_uno_spatuzza_due-23993629/?inchiesta=%2Fit%2Frepubblica%2Frep%2Dit%2F2011%2F10%2F27%2Fnews%2Fstrage_borsellino_l_ultima_verita_%2D23996011%2F

martedì 25 ottobre 2011

MUOS, a Niscemi lo SCIOPERO del MATRIMONIO

I fidanzati di Niscemi hanno deciso di non sposarsi più e di non fare figli: “Volevamo mettere su famiglia nella nostra città natale, per amore della nostra terra, ma da quando il M.U.O.S. sarà attivo (fine ottobre) però, abbiamo paura di sposarci e mettere al mondo dei bambini malati”.

Dicono così le coppie dei giovani fedeli siciliani, che hanno scritto (e sottoscritto in molti) una lettera ai vescovi di tutte le diocesi siciliane, per chiedere il loro intervento in merito alla questione matrimonio e procreazione.

L'antenna M.U.O.S. nella base statunitense “US Navy” di Niscemi si trova a circa otto chilometri dal centro abitato e il suo raggio compre una distanza di oltre 100 km (in linea d'aria), ragion per cui vengono coinvolte diverse realtà siciliane. Molti scienziati sostengono che le onde elettromagnetiche ad altissima frequenza emesse dal M.U.O.S., possano danneggiare seriamente i neonati (con leucemie, malformazioni, tumori, ecc.). Altri dicono di no.

I fidanzati siciliani, nel dubbio, preferiscono astenersi dallo sposarsi e giorno 29 ottobre, a Niscemi, scenderanno in piazza Vittorio Emanuele III, per la manifestazione spontanea NoMuos, con la loro inusuale proposta: la protesta di matrimonio. “Il matrimonio è un nostro diritto sia spirituale che civile: è questa profonda consapevolezza che ci accomuna; ci sentiamo minacciati e ricattati dal M.U.O.S.; offesi nei nostri animi di cristiani e di cittadini”, commentano le coppie siciliane.

Sono in molti nelle comunità di fedeli e fuori dalle comunità, a non voler ospitare strumenti di guerra nel proprio paese; molti quelli che non vogliono correre il rischio di mettere al mondo dei figli che potrebbero subire le conseguenze del M.U.O.S.; molti quelli che non vogliono trasferirsi, lasciando genitori, cari amici, parenti e abbandonando al proprio destino la loro amata terra.

Postergato, a data da destinarsi, il giorno delle nozze, scritta la lettera ai vescovi, in un manzoniano “questo matrimonio non s'ha da fare”, quale sarà la reazione della “Provvidenza”?
fonte:Sicilia On Line

Massimo Costa alla Gabanelli...

(Massimo Costa) Gent.ma Gabanelli,

la seguo sempre con molta attenzione e sono sicuro della sua onestà intellettuale.Per questo le scrivo la presente certo che non lascerà inascoltato quanto le segnalo Lei ha dedicato la sua ultima puntata al federalismo fiscale e, accodandosi a molti luoghi comuni, ha "sparato" sull'Autonomia Siciliana, senza forse conoscere come stanno realmente le cose. La sua trasmissione ha detto cose non vere. E questo è grave. Non è vero che la Sicilia non contribuisce alle spese dello Stato.



Se è vero che molti tributi restano in Sicilia al 100 %, è anche vero che allo Stato sono riservati (sempre al 100 %) altri tributi che complessivamente fruttano circa 13 miliardi l'anno: si tratta delle imposte di produzione, delle entrate da monopoli e di quelle da giochi e scommesse. Questo senza contare che anche il "riscosso" degli altri tributi, trattenuto integralmente in Sicilia, non è che una parte del "maturato" nella stessa Regione. In pratica le Regioni che hanno altrove la sede legale e in Sicilia solo una filiale, un ramo, etc. non versano una lira alle casse regionali. Per farle un esempio, il Banco di Sicilia versava alcune centinaia di milioni l'anno che adesso, in quanto Unicredit, sono versate a Milano. Ma quelle imposte "non sono prodotte" a Milano, bensì in Sicilia com'era sino a pochi anni fa. Tanto che, per ipotesi di scuola, se la Sicilia fosse un paese a sé, queste sarebbero tassate nuovamente in Sicilia e non nel Continente.






Quindi, l'affermazione che la Sicilia non contribuisce alle spese statali, è formalmente e sostanzialmente falsa. Poi anche il dato sui dipendenti regionali è assolutamente sballato. Per Statuto la Sicilia dovrebbe farsi carico di tutta la spesa pubblica, escluse solo le forze armate. Tale previsione si è realizzata solo in parte, non solo per la motorizzazione civile come lei dice, ma anche per i musei, le guardie forestali, etc. In pratica quelli che in gran parte d'Italia sono dipendenti statali, in Sicilia sono dipendenti regionali pagati con i soldi dei Siciliani (quel 100 % di cui si diceva prima). Saranno quindi anche fatti nostri quanti sono o no? Vero è che non tutto il personale dello Stato è stato ancora trasferito alla Regione (scuola, università, polizia, il costo di mezza sanità circa), ma se questo avvenisse, voi che fareste? Gridereste ancora di più allo scandalo perché i dipendenti della Regione sono ancor di più aumentati? Non funziona così.



La Sicilia non è una Regione, come riduttivamente pensate voi, è praticamente uno Stato, e infatti sostituisce lo Stato quasi dappertutto. Comunque, a conti fatti, tra trasferimenti al fondo sanitario (circa 2 miliardi), altri piccoli trasferimenti alla Regione e trasferimenti agli enti locali, spese dirette per quelle funzioni che lo Stato non ha ancora trasferito alla Regione, ogni anno lo stato spende in Sicilia circa 12 miliardi di euro, ben meno quindi di quelle che preleva. Io faccio il docente di Ragioneria all'Università, e le posso fornire tutti i dati che le servono, se vuole. Se ricarichiamo sulla Sicilia anche il costo di spese comuni che si svolgono fuori dall'Isola (spedizioni militari, debito pubblico, rappresentanza diplomatica), forse andiamo un po', ma solo un po', sopra quello che la Sicilia riceve. Insomma lo scandalo è inventato a tavolino, come non ha senso la "spesa standard" in una Regione che per Statuto deve vivere delle proprie risorse. Se le spende male, sono i Siciliani che pagano, non gli Italiani. E infine una considerazione elementare, che manca da tutto ciò. Se l'Italia è un paese unito, sarebbe fisiologico che lo Stato redistribuisca risorse dalle regioni a reddito più alto verso quelle a reddito più basso. Si può anche predicare una redistribuzione nulla, ma a questo punto si sta dicendo ai Siciliani e ai Sardi che è molto più conveniente per loro chiedere l'indipendenza. Se già oggi lo Stato riceve dalla Sicilia (che è mediamente più povera del resto del Paese) più di quello che dà (perché, mi creda, le cose stanno effettivamente così, nonostante la disinformazione organizzata cui, purtroppo, anche Report si è accodata), che senso ha dire che è ancora troppo e che la Sicilia deve contribuire ancora al Paese? In fondo l'Italia non ce l'ha prescritta il medico; ricordate sempre che ci avete conquistato con la forza e con la frode.



Ora avete dei doveri di solidarietà e di coesione economica nei confronti di tutto il Paese che voi, o i vostri predecessori, avete voluto costruire. Altrimenti, mi permetta, se siamo così tanto un peso morto, perché non ci abbandonate al nostro destino? Il vero fatto è che all'Italia non conviene, mentre conviene mettere le mani addosso alle nostre risorse e al nostro portafoglio, trovando sempre qualche complicità in loco. Senza però arrivare all'indipendenza, lo sa che lo Statuto integralmente applicato costringe la Sicilia a vivere delle proprie risorse al netto solo di un unico trasferimento per recuperare il gap infrastrutturale? Perché non ci fate applicare il nostro Statuto e ci lasciate in pace? In fondo non vi chiederemmo più una lira. Credo che la cruda realtà è che voi vogliate "anche" i nostri soldi per pagare i "vostri" debiti. E questo, alla lunga, non può funzionare. Mi dia la possibilità di replicare a Report, anche in pubblico contraddittorio. Le porterò fatti e numeri.



Con grande stima.

Massimo Costa - Università degli studi di Palermo