mercoledì 21 settembre 2011

La rivolta a Lampedusa

Ieri pomeriggio alcuni immigrati hanno appiccato un incendio all’interno del Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Lampedusa. Le fiamme si sono propagate rapidamente in uno degli edifici della struttura e, approfittando del caos dato dall’emergenza, circa 800 persone sono fuggite dal Centro cercando riparo nelle altre zone dell’isola. Circa la metà degli immigrati fuggiti sono stati ritrovati dalle forze dell’ordine già nel tardo pomeriggio di ieri, gli altri nella serata. Nel frattempo, il fumo nero e denso dell’incendio ha invaso buona parte dell’isola, rendendo necessaria anche la temporanea chiusura dell’aeroporto.

Decine di extracomunitari ospitati nel CIE chiedevano da giorni di essere trasferiti sulla terraferma, lamentando le difficili condizioni all’interno del centro di accoglienza. Alcuni hanno infine deciso di agire dando fuoco alla struttura, che ha riportato danni molto gravi e che secondo il sindaco di Lampedusa, Bernardino de Rubeis, lo hanno reso del tutto inutilizzabile.

Nel CIE erano principalmente raccolti cittadini tunisini, circa 1.200, fuggiti nelle ultime settimane via mare dal paese. In attesa di trovare una nuova sistemazione, le persone che si trovavano dentro al Centro sono state radunate in un campetto sportivo e sono tenute sotto sorveglianza dalle forze dell’ordine. Si contano una decina di feriti non gravi e diversi intossicati. Un centinaio di immigrati sono stati trasferiti nella serata di ieri con un volo militare.

Venerdì scorso, de Rubeis aveva spiegato di aver ricevuto una telefona dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che lo aveva rassicurato sull’imminente trasferimento di mille tunisini. Il piano prevedeva di trasferirli negli altri centri sparsi sul territorio italiano riducendo la pressione sul CIE dell’isola. A distanza di quattro giorni dall’annuncio nulla era però cambiato ed è iniziata la rivolta.

L’inviato Felice Cavallaro del Corriere della Sera ha intervistato l’assessore alla Sanità di Lampedusa e medico responsabile del poliambulatorio Pietro Bartolo:


Ho soccorso gli intossicati, compreso un immigrato paraplegico al quale avevo fatto avere una sedia a rotelle sperando che lo portassero in un altro centro italiano. Invece li fanno restare qui anche due mesi e con tutta la buona volontà delle forze di polizia il Centro diventa una bomba a orologeria, stanchi ed esauriti come sono questi disperati. Che cosa si aspetta? Qui prima o poi ci scappa il morto.

Da giorni numerose associazioni come Save the Children segnalavano i rischi legati alla crescente tensione nel CIE, che avrebbe potuto portare ad atti violenti. Un episodio simile era avvenuto già nel 2009 mettendo a rischio i migranti nel Centro e gli operatori che danno loro assistenza.
fonte: il POST

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