giovedì 1 settembre 2011

Delocalizzazioni!

Nella mia più che decennale ed inutile carriera di docente, rigorosamente NON di ruolo ed aggrappato a sporadici incarichi per poche ore settimanali nella scuola pubblica … ed a tanta “palestra” nelle magnifiche scuole paritarie siciliane, mi è capitato di insegnare anche geografia economica. Anzi, la prima volta fu in occasione degli esami di stato del 2000. Avevo insegnato scienze per tutto l’anno (e per tre ore settimanali!) all’Archimede di Modica e, non trovandosi docenti disponibili, il provveditorato mi nominò commissario esterno alla Ragioneria di Comiso, in virtù di una fantomatica affinità tra classi di insegnamento diverse. A scritti già iniziati …! Mi procurai il libro di testo, … provai ad imparare quattro cose … e feci il commissario! Un figurone! Tutto sommato, comunque, la materia mi piacque e capitò di insegnarla ancora … nella “palestra”! Scoprii così il concetto di delocalizzazione, fino ad allora a me quasi ignoto. Una sorta di strategia industriale in virtù della quale un’azienda abbatteva i costi ed aumentava i profitti allocando altrove parte, o gran parte, delle proprie attività, in aree periferiche all’interno del perimetro nazionale, o direttamente all’estero. Tra le prime motivazioni, vi era sempre la saturazione, l’ingorgo delle vie di comunicazione e di trasporto. Poi, venivano addotti i minori costi della manodopera e le agevolazioni fiscali. Scoprii, successivamente, che l’Italia aveva concluso vantaggiosi accordi commerciali con l’amico Ben Alì, basati sull’acquisto, da parte della Tunisia, di obsoleti prodotti dell’industria del nord, vecchie macchine da scrivere e robaccia simile, in cambio dell’acquisto, da parte dell’Italia, di primizie ed altri prodotti dell’industria essenzialmente agricola. Come dire, da un lato le industrie del nord smaltivano un po’ di “immondizia”, facendosela anche ben pagare, dall’altro si importavano prodotti a basso costo. Un doppio vantaggio, quindi, … per aziende e consumatori del nord, ovviamente! Gli unici a rimetterci, perché qualcuno deve pur rimetterci, … gli stupidi terroni, sempre buoni da sfruttare: nulla avevano da guadagnare dalla vendita dell’”immondizia” e, semmai, restavano ad ammirare, basiti, i loro tipici prodotti invenduti per la concorrenza d’importazione! Scoprii, poi, che in Italia era stata stabilità una fiscalità di vantaggio in favore di quelle aziende, del nord, che avessero investito e si fossero delocalizzate al Sud. Non per sempre, ci mancherebbe, dopo un tot di anni, usufruito dei vantaggi, potevano anche smantellare baracche e burattini! Fiscalità di vantaggio che, ovviamente, non valeva per le debolucce aziende del Sud, … loro stavano già lì! Cosicché, se da un lato queste ultime non godevano di alcun vantaggio, dall’altro si vedevano sopraffatte dalle ben più robuste, ricche ed “avvantaggiate” colleghe del nord che “calavano” al Sud! Scoprii ancora che, sempre per accordi con l’amico Ben Alì, anche le aziende siciliane furono invogliate a seguire i tempi, … a delocalizzarsi anche loro, … verso la Tunisia! Con l’unico particolare che, per loro, delocalizzarsi significava molto semplicemente trasferirsi altrove e smantellare le attività in Sicilia. Con l’ennesima beffa per il già debole e provato tessuto produttivo siciliano! Ora, vorrei chiedere agli inebetiti siciliani ed a me stesso, che inebetito siciliano sono, … “pensiamo di svegliarci … o di farcela delocalizzare altrove!? fonte : Arturo Frasca - Sikeloi

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