L’ira funesta degli dei caduti frigge nelle parole e nei lineamenti alterati che commentano l’exploit di Leoluca Orlando. “La smetta di fare il gradasso”, schiuma Angelino Alfano. Raffaele Lombardo non le manda a dire: “Io l’ho giudicato, per le sue affermazioni, uno sciacallo, e quello che dice è vomitevole”. Indovinello: a chi si riferisce? Ferrandelli copia il rivale col ciuffo trionfante, tacciandolo di broglio etico. L’argomentazione: “Orlando ha preso i voti dagli uomini dell’ex sindaco Diego Cammarata. E’ evidente guardando la somma dei voti per lui e quelli del suo schieramento”. Ora, prima che nozione politica, la faccenda è squisitamente aritmetica. Per battere la coalizione avversaria è necessario convincere alcune migliaia di elettori, affinché si spostino da lì e vengano qui. L’offerta in chiave elettorale viene calibrata per avere ragione nei contenuti e nei risultati. Dov’è lo scandalo?
Il nervosismo diffuso, al cospetto di un evento straordinario, è il presagio di uno scricchiolio, di un tonfo, di una catastrofe. Troppe certezze sono state dissipate dall’Orlando gioioso che, con un’operazione strategicamente impeccabile, ha sminuzzato gli ostacoli sul suo cammino. Si è sgretolata la speranza di una destra che riteneva di avere trovato la faccia pulita e vittoriosa, l’effigie del condottiero capace di cancellare gli orrori di Diego Cammarata. E dispiace che su Massimo Costa, acclamato come il salvatore della patria, si abbattano frizzi e lazzi, nel minuto dello sciacallo. Il candidato di Pdl, Udc e Grande Sud ha commesso sbagli gravi, soprattutto nella comunicazione e nella gestione del suo passaggio da una sponda all’altra. Ma a perdere è soprattutto un’idea di città di centrodestra, a prescindere dalla distanza, pur significativa, tra il consenso delle liste e l’appeal dell’ex presidente del Coni. La disfatta nasce dai riti al tramonto, dalle celebrazioni di un linguaggio berlusconiano che Palermo ha rifiutato in blocco perché ci ha visto il maquillage di una nuova impostura. Se Massimo Costa si fosse limitato a essere quello che in fondo è, un ragazzo semplice, oggi il succo dell’amarezza sarebbe meno aspro.
C’è poi da raccontare l’ennesimo scivolone di Raffaele Lombardo che puntava su due cavalli, da cavaliere provetto. Il destriero di facciata, Alessandro Aricò, e il purosangue nell’ombra, Fabrizio Ferrandelli. Crediamo senz’altro alla buonafede del candidato del Pd, vincitore delle primarie, che ha più volte ricordato di non essere assimilabile al governatore. Eppure un’affermazione numericamente significativa di Ferrandelli sarebbe stata sottilmente spacciata da Antonello Cracolici e Giuseppe Lumia – dioscuri dell’ala filogovernativa del Pd – come la conferma della saldezza del potere ormai agonizzante che regge i destini di Palazzo d’Orleans, specialmente in chiave futuribile, con le votazioni alle porte. A proposito, le prossime consultazioni per lo scettro regionale appaiono già un rebus inestricabile alla luce del responso delle urne. Cosa resta dei partiti, antichi padroni?
Altre due illusioni sono state bruciate nel calderone dello sprint dell’ex sindaco della Primavera. Si è sfilacciata in fumo la candidatura di genere, basata sulla contrapposizione tra giovani e vecchi. Palermo ha preferito premiare al primo turno la figura di un uomo noto, perfino nei suoi difetti, scelto per una virtù vera o presunta che lo ha premiato: l’affidabilità. L’esperienza volpona di Leoluca ha sopraffatto l’ardore di Fabrizio e Massimo. Il linguaggio del rinnovamento reclamizzato è stato ritenuto addirittura più vecchio del fascino dell’esperto nocchiero. Si è infine incenerito il demone della protesta senza raziocinio. Leoluca Orlando sarà buono o cattivo – dipende dallo sguardo – ma è indiscutibilmente un politico di razza. E ha disintegrato l’antipolitica, l’ultimo mito a sfarinarsi, nell’indimenticabile caduta degli dei della notte di Palermo.
fonte : LIVEsicilia
Nessun commento:
Posta un commento