“Più studio la strage di Portella della Ginestra, più ne ravviso i caratteri comuni con tutte le altre stragi politiche che si sono avute nella storia d’Italia durante la guerra fredda. E a buona ragione questa strage è stata definita madre di tutte le stragi. Perchè ha un archetipo interno, un timbro, una sua diabolica struttura che si riscontra poi in tante altre stragi analoghe. Quando si spara sul mucchio e su un simbolo, si solleva il terrore, si spinge la gente o a ribellarsi in modo inconsulto, o a starsene rintanata in casa, in attesa di tempi migliori.
Purtroppo, però, occorre dire, non sempre quanto accadde quel giorno è assunto come l’inizio della nostra storia repubblicana, abituati come siamo stati a vivere di miti e di pagine gloriose. Nel caso di Portella non è così. Fu quello l’inizio della sconfitta e della complicità dello Stato che continua a durare con il suo costante e tetro ignoramento dei morti, dei feriti di allora e dei familiari delle vittime. Ancora a oggi senza giustizia e senza riconoscimento alcuno.
Come disse Girolamo Li Causi nella seduta della Costituente del 2 maggio 1947 l’idea di prendere d’assalto una folla inerme di donne, bambini e lavoratori in festa, è parte di un preciso piano strategico: provocare le masse dei lavoratori, aizzare alla guerra civile, instaurare un regime dittatoriale per bloccare la democrazia. Quella allora nascente, con i padri costituenti ancora intenti a darci quella Carta costituzionale che oggi alcuni vorrebbero stravolgere, in nome di una falsa modernità politica, di un malinteso adeguamento alla realtà di oggi.
I criminali avevano previsto giusto perché furono soprattutto i lavoratori inermi, le donne, i bambini e i ragazzi a pagarne il conto. Il numero più alto di vittime si ebbe tra coloro che si erano collocati più vicini al podio, verso il quale vi era stata una vera e propria convergenza di tiro. Lo si desumeva dall’altissimo numero di morti e feriti che caddero attorno a quel punto. Lo stesso Giuliano, che molti documenti ci dànno a contatto con l’eversione nera monarchico-fascista di Roma, pochi minuti prima dell’attacco, era stato visto guardare ripetutamente, col binocolo, in quella direzione. Voleva rendersi conto dell’arrivo degli oratori ufficiali.
Qualcuno aveva messo nella sua testa che quella mattina si sarebbe messa in atto l’esecuzione capitale dei dirigenti comunisti e socialisti. Era con lui Salvatore Ferreri, alias Fra’ Diavolo, della squadra dei Vendicatori di Tommaso David, capo dei servizi segreti della Rsi."
Dal blog del professore Giuseppe Casarrubea
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