sabato 14 maggio 2011

PIERPAOLO PULVIRENTI

La fiaccolata muta per lo studente
morto alla Saras

Pochi di loro hanno letto sui giornali che seimila imprenditori, che rivendicano di “fare il Pil”, sabato scorso hanno tributato un applauso trionfale al manager della ThyssenKrupp condannato a sedici anni e mezzo di carcere per aver provocato con le sue brillanti mosse gestionali la morte di sette operai (Leggi l’editoriale di Michela Murgia). Questi quattrocento ragazzi di Catania, di Pil, ne fanno davvero poco: chi non è studente è disoccupato. E sarà per questo che hanno un pudore diverso. Mercoledì sera hanno voluto ricordare, a un mese dalla morte, il loro amico Pierpaolo Pulvirenti rimasto vittima di un assurdo incidente alla Saras di Sarroch, in provincia di Cagliari, la raffineria della famiglia Moratti. Una fiaccolata muta per le vie del centro di Catania, nessuno slogan, un solo striscione: “Per il nostro Pierpaolo”.

Una protesta? No. In una città dove il casco in motorino è ancora un optional e il contributo dei giovani al Pil risulta piuttosto marginale, questi ragazzi non sembrano sentirsi legittimati ad alzare la voce. In silenzio, hanno manifestato un sentimento sconosciuto ai convegni e alle assise, la volontà di far sentire alla famiglia del ragazzo l’affetto di una comunità. Un abbraccio collettivo per sentirsi meno soli di fronte a una tragedia.

Con il loro silenzio i ragazzi di Catania hanno anche manifestato che, di fronte alla morte in fabbrica del loro amico, non sono la politica né i sindacati a fornire le parole al loro dolore. Lo dimostra la scena quasi surreale avvenuta nella storica, centralissima via dei Crociferi, davanti alla sede della Camera del Lavoro che ha aspettato la fiaccolata con porte aperte, luci accese e bandiere rosse della Cgil esposte. Il corteo si è fermato e, guidati dalla voce decisa della madre di Pierpaolo, Milena Basile, tutti hanno recitato l’Ave Maria.

Sarebbe stato meglio, per questi giovani siciliani esclusi dalla produzione del Pil e da tante altre cose, se l’esempio gliel’avessero dato i seimila imprenditori delle “assise confindustriali”. Sarebbe stato un contributo alla coesione sociale di cui tanto si parla se – anziché acclamare come eroe e vittima il manager tedesco Harald Espenhahn condannato per omicidio volontario, salvo poi accorgersi con 48 ore di ritardo di aver fatto un’idiozia (quando si dice una classe dirigente lungimirante) – a Bergamo avessero ricordato con un caldo applauso, loro imprenditori che “fanno il Pil”, lo studente Pulvirenti Pierpaolo di anni 23.

É strano che di fronte alla sua storia agghiacciante la Confindustria non abbia niente da dire ai ragazzi di Catania. Pierpaolo era uno studente universitario, iscritto alla facoltà di farmacia. Suo padre, Salvatore, 56 anni, è un perito elettrotecnico e insegna (feroce ironia della sorte) in un centro di formazione professionale. Una famiglia né ricca né povera, semplicemente normale. E Pierpaolo non è un’operaio, forse bisognerebbe definirlo un’artista, un intellettuale. Nelle foto sorride sempre, in metà porta gli occhiali, in metà no. Ha frequentato l’istituto d’arte dove ha messo tecnica sul suo talento. Ha vent’anni quando lo scrittore Antonio Gargiulo gli affida le illustrazioni del suo libro di racconti erotici “Il viaggio dei Gotulani”, pubblicato dalle edizioni Seneca. “Non è stata facile la ricerca di un disegnatore ma poi Pierpaolo Pulvirenti è stata una vera rivelazione”, dice Gargiulo. E’ stata una vera rivelazione anche per Pulvirenti padre, un po’ scandalizzato da quel ragazzino di suo figlio che gli squadernava in faccia quei disegni, “donne nude, dettagliatissime”, ricorda. Pierpaolo è vulcanico, ha un sacco di amici, e anche chi non lo conosce personalmente sa chi è. “Quando entrava in aula regalava sorriso”, dice uno studente di farmacia, liberando il pensiero. Pierpaolo è anche un graffitaro, e adesso i suoi amici vanno in giro per Catania a fotografare le sue opere residue.

Che ci fa dunque Pierpaolo dentro una raffineria? E’ che il suo amico e compagno di studi Gabriele Serranò ha il padre che lavora come capo cantiere alla Star Service, un’azienda che prende appalti dalla Saras per i lavori di manutenzione. La Star Service cerca gente svelta che costi poco, perché alla Saras da un po’ di tempo sono molto tirati sul prezzo dei lavori, e se la ditta d’appalto va a prendere gli specializzati non ci sta dentro. Così Gabriele dice a Pierpaolo che c’è un’occasione segnalata dal padre: un contratto di venti giorni (sotto il mese non si pagano neppure i contributi previdenziali, applauso), mille euro, ottimi per pagarsi le vacanze estive. Il padre, una vita nella formazione professionale, sa che nelle raffinerie non si mandano i bambini a giocare. Guarda perplesso il suo artista: “E perché danno mille euro a te”. Poi pensa che Serranò ci porta suo figlio, quindi sarà una cosa tranquilla.

I due ragazzi partono. Arrivano a Cagliari venerdì 8 aprile, entrano in raffineria. Non si sa quanta formazione ricevono, c’è chi dice due ore, chi dice due giorni. Sicuramente lunedì 11 aprile è il loro primo giorno di lavoro. Nel pomeriggio devono andare a pulire un’impianto che risulta già “bonificato”, cioè senza più traccia del terribile acido solfidrico. Invece qualcosa è andato storto, come si dice nel linguaggio di quelli che sembrano affidare la sicurezza in fabbrica alla buona sorte. Appena iniziano ad aprire il cosiddetto “passo d’uomo”, un getto di gas li investe. Pierpaolo ha un primo arresto cardiaco, riescono a far ripartire il cuore che si fermerà all’alba, alle 4,15 del 12 maggio. Gabriele finisce in rianimazione, per qualche ora si teme anche per la sua vita, poi ce la fa.

C’era anche lui alla fiaccolata. Appoggiato a una stampella, con un sorriso implacabile sulla faccia da bambino. Un sorriso da applausi.

Il Fatto Quotidiano, 13 maggio 2011

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