Lo scorso giugno vi avevamo raccontato la storia di Giuseppe Drago, deputato eletto nelle file dell’UdC nonostante fosse stato condannato in via definitiva all’interdizione dai pubblici uffici. Nonostante l’interdizione, infatti, il deputato non si era dimesso e aveva mantenuto la propria carica per oltre due anni come se nulla fosse, in una violazione plateale e paradossale della sentenza favorita dalle complici lentezze del Parlamento. Drago si è dimesso lo scorso 10 novembre, poche ore prima del voto con cui la Camera si sarebbe dovuta esprimere sulla sua decadenza, dopo che il 7 ottobre la Giunta delle elezioni si era espressa per la sua ineleggibilità. A lui è subentrato il primo dei non eletti nelle liste dell’UdC alla Camera in Sicilia: Giuseppe Gianni detto Pippo, già parlamentare nella scorsa legislatura.
Gianni è un collezionista di incarichi (ma noto alle cronache nazionali soprattutto per la frase «Le donne non ci devono scassare la minchia» durante il dibattito sulle quote rosa). Il 14 aprile del 2008 è stato eletto deputato regionale in Sicilia. Il 10 novembre del 2010, come abbiamo detto, è subentrato a Giuseppe Drago e diventa anche deputato nazionale. Il 6 dicembre del 2010 è stato nominato anche assessore comunale a Siracusa. Una situazione di tripla incompatibilità, mentre da giorni il suo nome appare tra quelli in procinto di entrare al governo nazionale, come sottosegretario.
L’incarico di assessore comunale è incompatibile con quello di deputato regionale: il 23 aprile del 2010, infatti, la Corte Costituzionale ha stabilito che una legge regionale siciliana che ammetteva la somma di incarichi è incostituzionale “nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco e assessore di un Comune, compreso nel territorio della Regione, con popolazione superiore a ventimila abitanti”. Pippo Gianni ha fatto abusivamente l’assessore comunale per oltre un mese: si è dimesso dieci giorni fa.
Rimane però deputato regionale e deputato nazionale, due cariche a loro volta incompatibili. Lo dice l’articolo 122 della Costituzione, quando afferma in modo non equivoco che “nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo”. E lo conferma lo statuto della regione Sicilia, che all’articolo 3 dice che “l’ufficio di Deputato regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere, di un Consiglio regionale ovvero del Parlamento europeo”.
Qui entra in gioco la proverbiale farraginosa lentezza del Parlamento. La Giunta delle elezioni si è riunita lo scorso 11 gennaio per certificare l’elezione a deputato di Gianni, a seguito delle dimissioni di Drago. La seduta dura cinque minuti, comincia alle 14,45 e finisce alle 14,50. Si fa in tempo a prendere atto del fatto che la carica di deputato regionale “non costituisce causa di ineleggibilità ma soltanto di incompatibilità” con quella di deputato nazionale, e quindi si propone l’eleggibilità di Gianni in Parlamento.
La decisione della Giunta si basa sul fatto che incompatibilità ed ineleggibilità sono concetti diversi. L’ineleggibilità indica l’incapacità assoluta ad essere eletto, l’esistenza di un impedimento giuridico, preesistente all’elezione, che rende la persona incompatibile con la candidatura, prima che con l’elezione. L’incompatibilità, invece, è l’impossibilità di ricoprire una determinata carica, considerata inconciliabile con quella di parlamentare una volta che si è eletti. Se nel caso dell’ineleggibilità la prassi vuole che il soggetto decada immediatamente, nel caso dell’incompatibilità il soggetto deve decidere a quale dei due incarichi rinunciare. E non ci sono limiti di tempo, tanto che questa situazione oggi in Parlamento non riguarda solo il deputato Gianni: un anno fa il presidente della Giunta delle elezioni, Claudio Migliavacca, aveva documentato l’esistenza di ben 47 deputati che svolgevano incarichi incompatibili con il mandato parlamentare. Di questi, 42 ricoprivano l’incarico di consigliere o assessore regionale. Da novembre ce n’è uno in più.
fonte: il POST
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