sabato 25 giugno 2011

Lo chiamavano Raffaele

Raffaele Lombardo è il politico giusto per questa rinnovata Sicilia che vuole essere ancora uguale alla Sicilia che fu, senza dare l’impressione di sporcarsi le mani. E’ il Messia dei cosiddetti tempi nuovi: l’etica la stabilisce il giudice, il sottofondo ricorda vecchi ritornelli del potere. Ma raccontano che sia una musica diversa. Oggi il governatore inscena l’ennesima rivoluzione. Prende il suo movimento e lo rivolta come un calzino, con una capacità cosmetica da applausi. A Raffele non importa che il nuovo dei tempi ci sia davvero, che sia l’epicentro del suo gesto e della sua azione. Si concentra sul colpo d’occhio. E’ un bravo Gattopardo, un seguace di don Tomasi di Lampedusa. Le sue mutazioni sono restaurazioni. Il suo cammino è un girotondo di parole e accenti risaputi, masticati come un verbo sfolgorante di verità.

Catania è la sede sociale del Lombardismo, come Arcore lo è del Berlusconismo. Raffaele Lombardo è il magnifico attore di una trama che lui stesso ha scritto su di sé. E’ scaltra drammaturgia etnea. E’ sapiente arte della commedia. Osservatelo, il presidente, nelle sue comparsate pubbliche e nelle sue interviste. Ammiratelo nella gamma espressiva che sa declinare per volgere a suo vantaggio gli strali dell’interlocutore, o del critico di turno. C’è il risolino sardonico. C’è l’occhiata gelida. C’è il battimani provocatore a scorno dell’avversario. C’è tutta l’enciclopedia di Martoglio con la sua fantasia. C’è Angelo Musco. C’è Tuccio Musumeci con Pippo Pattavina. C’è Messer Rapa che protesta la sua adesione al dovere in tribunale. C’è perfino Cicca Stonchiti che dal proscenio dei “Civitoti” volge la storia giuridica in canovaccio popolare. E c’è sempre (sempre, sempre…) un giudice di mezzo, nelle storie catanesi di teatro. In Martoglio, l’annoiato pretore alle prese con una povera e ribollente umanità. Nell’inchiesta Iblis, i magistrati l’un contro l’altro armati, in disaccordo sul finale.

Raffaele Lombardo è una conseguenza esplicita, identica e contraria del regno di Totò Cuffaro, per quanto morfologicamente si rifletta nel suo opposto. Totò era basso, grassoccio ed espansivo. Raffale ha una faccia più nordica, è spigoloso e non ama confidenze o strette di mano fuori ordinanza. Sarebbero riusciti a meraviglia per contrappasso reciproco nei “Blues Brothers”. Totò era il presidente amato da un popolo che non si rassegna alla sua giusta condanna, scolpita a caratteri di fuoco da una sentenza definitiva. Il popolo di Totò è il popolo siciliano, con la sua fragilità inesausta, con la natura clientelare intrinseca, col suo bisogno di avere un re o un cardinale da riverire, da gratificare con un bacio sulla mano provvista di anello. Sui titoli di coda mostra stupore e sorpresa perché si ritiene (riteneva) innocente ed era (è) colpevole, incapace di concepire un rapporto sano con la democrazia, più favorevole all’inchino. Gli onorevoli collusi qui sono la copia uniforme dei vizi di coloro che li eleggono.

Poi venne un uomo chiamato Raffaele. E venne – così disse – per voltare pagina. I conterranei lo sezionarono con sospetto. Guardiamo con diffidenza gli arcangeli con pruriti mistici da rinnovatori. Lombardo si rivelò subito un ibrido adatto al calco dei giorni della nostra stagione di mezzo. Insiste sulla legalità, eppure ci sarebbero nel suo curriculum alcune frequentazioni imbarazzanti, forse non penalmente rilevanti, tuttavia poco commendevoli. Ha fatto dell’autonomismo la sua bandiera, eppure strizza l’occhio a Berlusconi. Ora sta qui, domani chissà. Ha varato il governo tecnico e si appresterebbe a rinnegarlo col governo politico. Ha spaccato ogni organismo collettivo con cui ha avuto a che fare. Predica la trasparenza, eppure le sue rifondazioni di Sanità e Formazione odorano di stantio, di antichi rituali spartitori. Invita a gettare il cuore oltre l’ostacolo, ma rassicura i pavidi acquartierati nelle retrovie. E’ un soggetto pirandelliano in senso tecnico. E quando qualcuno gli scaglia una pietra polemica a bruciapelo, urla il suo grido di battaglia: “Riforma”.

Raffaele Lombardo è una maschera che viene dal passato, di passaggio nel presente e mai sbarcata nel futuro. Un uomo che trasforma le cose per restare se stesso. Perfetto carnefice e confessore dei confusi tempi nuovi che si riassumono nella rugosa e sempreverde domanda del duo Musumeci-Pattavina. Il quesito centrale non muta mai: “U purtau u’ pani papà?”. Lo sventurato rispose.

fonte:Livesicilia

1 commento:

  1. Quanti e quanti salamalecchi per definire uno stronzo, più stronzo del precedente, anzi no, stronzo come il precedente sCuffaro.

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