Sette ore di lavoro non in un giorno, ma in un anno: un ritmo che neppure il Parlamento più antico (e più lento) d'Europa può sostenere. E così Francesco Cascio, il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, ieri mattina ha detto basta. Con un atto d'imperio ha sciolto la commissione per la revisione dello Statuto.
La commissione Statuto è un organismo istituito nel giugno del 2008 che avrebbe dovuto rinnovare l'antica carta dell'autonomia isolana: due anni e mezzo dopo il lavoro non si è ancora concluso. Anzi. Da luglio a oggi, la commissione si è riunita dieci volte e in sei occasioni nessuno dei 13 novelli padri costituenti che la compongono si è presentato all'appuntamento.
Morale: 205 minuti di lavoro negli ultimi sei mesi, 34 faticosissimi minuti ogni mese, la maggior parte dei quali spesi nell'ascoltare l'assessore all'Economia che ha relazionato sul federalismo e i sette consulenti nominati per un parere tecnico evidentemente indispensabile. Oddio, non è che nel semestre precedente la commissione avesse operato con maggior vigore: poco più di un paio di sedute ogni trenta giorni, sei delle quali disdette o annullate e cinque (cinque!) consumate prima di mettersi d'accordo sull'elezione della centrale figura del segretario.
Così doveva finire, e forse era scritto. Se è vero che già alla scadenza del primo anno di attività, nel luglio del 2009, Cascio sottopose ai colleghi l'abolizione dell'organismo che si avviava a stabilire non invidiabili primati di improduttività. L'aula di Palazzo dei Normanni, sede dell'Assemblea siciliana, bocciò la proposta e deliberò la prima di due proroghe peraltro non consentite dal regolamento. Gli eredi di Alessi e Aldisio - storici progenitori dell'autonomia siciliana - hanno così continuato ad incassare le indennità di carica previste, che sono fisse e non legate all'effettivo svolgimento delle sedute.
In soldoni: 3.316 euro al mese per il presidente (il finiano Alessandro Aricò), 819 euro per i due vice, 404 per il segretario. Cifre lorde, per carità, che vanno a sommarsi però a retribuzioni-base equiparate a quelle dei senatori: più o meno 19 mila mensili, 11 mila al netto di imposte e ritenute. Certo, Aricò e soci sono in buona compagnia: sono 57, su 90, i parlamentari siciliani titolari di una carica - e dunque di una indennità - aggiuntiva: i presidenti dei gruppi parlamentari lievitati di recente con la nascita di Fli, di Forza del Sud di Gianfranco Micciché e del Pid di Saverio Romano, i componenti del consiglio di presidenza dell'Ars, i vertici delle tredici commissioni fra legislative e speciali: fra queste, c'è pure quella che si occupa di controllare preventivamente la "qualità delle leggi", affidata non a un giureconsulto o a un esperto di bilancio, ma - in ossequio a una ripartizione cencelliana fra i partiti - a un deputato di Ragusa dell'Udc che ha un diploma di geometra. E che nulla ha avuto da dire quando, nell'aprile scorso, l'Ars approvò una legge che metteva sul mercato il porto di Augusta: di proprietà però dello Stato, non della Regione.
Avete presente Totò che vende la fontana di Trevi? Ma tant'è. L'immobilismo della commissione Statuto ha fatto traboccare il classico vaso. E il presidente Cascio ha avuto un moto d'indignazione: "Quest'organismo è nella evidente impossibilità di raggiungere gli obiettivo cui era preposto, quindi dichiaro definitivamente cessate le sue funzioni". Aricò ufficialmente non parla, il suo movimento - Fli - grida all'attacco politico: Cascio è un esponente di quel Pdl che in Sicilia è stato messo all'opposizione dal governatore Lombardo. Così, fra le polemiche, cala il sipario sull'ultimo scandalo siciliano. Costato, a conti fatti, 166.640 euro: la spesa sostenuta dalle casse pubbliche per garantire il gettone ai padri della riforma mai nata.
(31 dicembre 2010)
fonte: la Repubblica
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Non rimpiango che questi soldi siano stati sprecati, peggio sarebbe stato se questi ascari quaquaraquà avessero messo le mani sul nostro Statuto di Autonomia !
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