“Stiamo ancora cercando riscontri ma secondo noi Paolo Borsellino stava indagando su Marcello Dell'Utri. Anche per questo motivo c'è stata quell'accelerazione sulla sua morte. Ma di questo parleremo nel prossimo libro che stiamo già scrivendo”.
Con questa rivelazione Giorgio Bongiovanni, direttore di ANTIMAFIADuemila e coautore con Lorenzo Baldo del libro “Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino” (Aliberti Editore), ha concluso la conferenza di presentazione che si è tenuta presso l'Aula Magna della Falcoltà di Giurisprudenza di Palermo. Una manifestazione intensa ed emozionante a cui hanno partecipato come relatori, oltre agli autori, i fratelli del giudice Salvatore e Rita Borsellino, i giudici Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo, e il giornalista Umberto Lucentini.
Oltre a ringraziare tutti coloro che, grazie alle proprie testimonianze, hanno reso possibile la realizzazione del libro, gli autori hanno dapprima raccontato le motivazioni che li hanno spinti a scrivere un libro sugli ultimi 57 giorni di Paolo Borsellino, quindi hanno rivelato il progetto della nuova pubblicazione.
“Questo libro lo abbiamo scritto in quanto, senza trascurare le altre stragi, a nostro parere quella di via D'Amelio da la vera chiave di interpretazione per capire chi oggi è al potere”. “Secondo noi – ha aggiunto Bongiovanni – e mi assumo la responsabilità di quello che dico, chi comanda in Italia, sotto tutti gli aspetti (politico, economico e finanziario), sono in qualche modo responsabili di questo assassinio. Mi riferisco ad un potere trasversale a cui appartengono personaggi 'di centro, di destra e di sinistra', personaggi che oggi comandano in Italia e di cui il Premier è l'espressione più drammatica e buffonesca. Noi pensiamo che questo potere ha fatto accordi con Cosa nostra e uno dei burattinai, ormai in fin di vita ma che ancora si esprime come Licio Gelli, parla di piano di Rinascita ed esprime giudizi. Questa persona è uno di quegli oracoli che ogni tanto ci indicano una strada. Non so se lo fa coscientemente o perché ha 93 anni, ma dice delle cose verosimili. E tornando all'accordo tra mafia e Stato secondo noi è possibile che Mancino abbia chiamato Borsellino proprio per dirgli di questa trattativa, e che il giudice si sia indignato a tal punto da frapporsi alla stessa. Pertanto è stato eliminato”.
Durante l'incontro, grazie alle domande formulate dalle due moderatrici Anna Petrozzi e Lucia Castellana, sono stati toccati diversi aspetti. Ad essere approfondite non sono state solo le tematiche del libro, che per l'appunto attraversa gli ultimi cinquantasette giorni vissuti dal giudice antimafia immediatamente dopo la Strage di Capaci fino al giorno della sua morte, ma anche un'analisi sul momento politico sociale che lo Stato italiano sta attraversando e sulla necessità di impegnarsi attivamente, ognuno con i propri mezzi, per cercare di sconfiggere questo cancro che è la Mafia. Una lotta a cui Paolo Borsellino credeva con ottimismo, così come scriveva in una lettera appena poche ore prima della propria morte. Un episodio ricordato con emozione da Salvatore Borsellino durante la conferenza. Lui, simbolo di quella nuova resistenza che si manifesta nelle persone e nei tanti giovani coinvogliati nel movimento delle “Agende Rosse” pronte a scendere in campo per difendere i giudici che mettono a rischio la propria vita in favore della verità e della giustizia. Giudici come Antonino Di Matteo e Antonio Ingroia. Quest'ultimo, procuratore aggiunto della Procura di Palermo ed autore della prefazione del libro “Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino”, ha denunciato gli attacchi che continuamente subisce la magistratura nel tentativo di stravolgerne l'indipendenza subordinandola alla politica. “La legge è uguale per tutti – ha detto il magistrato – e questo è sicuramente uno dei principi cardine per salvaguardare democrazia e legalità nel nostro Paese. Valori che vanno difesi ad ogni livello”. Un concetto condiviso pienamente anche da Antonino Di Matteo, sostituto procuratore di Palermo e presidente dell'Anm Palermo, che, commentando le note finali del libro, ha detto: “Condivido ogni parola degli autori quando dicono che per rendere onore al debito morale che abbiamo nei confronti di Paolo Borsellino ognuno di noi deve pretendere giustizia e verità. Tutti noi siamo chiamati a questo passo e dobbiamo metterci impegno. Alimentando la vostra sete di giustizia e verità noi magistrati abbiamo un dovere, resistere ispirandoci al coraggio di Paolo, alla sua passione, impegnadoci con la consapevolezza di esercitare non un potere ma un servizio in favore del popolo, per dimostrare che si è davvero tutti uguali di fronte alla legge”.
Importanti sono state anche le testimonianze di Rita Borsellino, che oltre a ricordare il fratello ha ribadito l'importantza di schierarsi ed impegnarsi anche politicamente per cercare di scardinare l'attuale sistema di potere, e Umberto Lucentini, che invece ha voluto evidenziare il ruolo che in questo momento recita l'informazione.
fonte: Antimafia Duemila
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