Il ministro italiano dell’economia è stato molto impegnato, di questi tempi!
Innanzitutto, … vai a fidarti della buona fede altrui, … non ci si può più fidare neanche del proprio consigliere politico!
Le conseguenti … “dimissioni” da inquilino dell’immobile romano di Via Campo Marzio, come ha scherzosamente affermato!
E poi … il trasloco del suo ministero in quel di Monza …! Chissà quanti colli, pacchi, pacchettini, … e ancora … inaugurazione e visite di cortesia e comprare i pasticcini …!
Ieri, 28 luglio 2011, il Cipe, quel Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica presieduto dal sicilianissimo sottosegretario alla presidenza del consiglio onorevole Gianfranco Micciché, avrebbe dovuto dare il via definitivo, tra l’altro, ai lavori della superstrada Catania-Ragusa, in atto … una vergogna … mortale!
Tanto tuonò che … non piovve! Rinvio al 3 agosto per … “approfondimenti”!
Del costo complessivo dell’opera, stimato in 890 milioni (di euro!), 217 sono a carico della regione siciliana.
Lo stato italiano ha detto di essere pronto, per la sua parte, … la mancanza sarebbe solo della regione!
Ma la regione sostiene di non poter far fronte alla sua, di parte, non avendo ancora ricevuto nulla di quei fondi Fas che le spetterebbero, ma che … sono stati dirottati altrove! Per esempio, … alle quote latte degli allevatori … padani …, o a pagare gli ammortizzatori sociali!
Una personalissima e banalissima riflessione, una domanda più che altro: … ma nunn’è ca nni stanu pigghiannu ppo culu …!?
Eppure dovremmo essere preparati e vaccinati, oramai!
La bandiera siciliana ebbe origine dal patto d’alleanza stipulato il 3 aprile 1282 tra le città di Palermo (il giallo) e di Corleone (il rosso), a seguito della rivolta antifrancese del Vespro, scoppiata il 30 marzo dello stesso anno. Poco più di 729 anni, ma li porta benissimo …!
Il parlamento siciliano è tra i più antichi, se non il più antico, al mondo, … risale al 1129!
La Sicilia è stata nazione per 686 anni, dal 1130 al 1816!
Quella del 1812 è l’unica, vera costituzione di uno stato preunitario!
Promulgata a seguito della rivoluzione indipendentista dello stesso anno, quella del 1848 fu un esempio di costituzione progressista e liberale, almeno per l’epoca. L’articolo 2 recita: “La Sicilia sarà sempre Stato indipendente”!
A metà del novecento, il Movimento Indipendentista Siciliano di Andrea Finocchiaro Aprile (il primo, vero Mis, …!) arrivò a contare anche oltre mezzo milione di iscritti! Tra Mis (1943-1951) ed Evis (1944-1946) di Antonio Canepa, fortissime furono le spinte indipendentiste.
In questo quadro, la funzione dell’autonomismo fu quella di indebolire, di svuotare, il movimento separatista. L’autonomia siciliana ebbe infatti origine da un “patto” tra stato italiano e Sicilia … in armi … e fu promulgata con regio decreto legislativo 455 del 15 maggio 1946. Il 26 febbraio 1948, l’assemblea costituente convertì lo Statuto della Sicilia in legge costituzionale!
A proposito … ri pigghiati ppo culu …, quest’anno ne è stato celebrato il sessantacinquesimo anniversario della … mancata applicazione!
Lo Statuto della Sicilia servì solo a chetare le acque ed a consentire, poi, … che trattassero noi come … lombrosiani individui … e la nostra terra come terreno di conquista, da sfruttare!
Già, di suo, riduttivo rispetto alle originarie rivendicazioni, lo Statuto della Sicilia, di fatto, è stato considerato carta straccia, anche peggio, … come carta igienica usata, … neanche buona per pulirsi il culo …!
da SIKELOI, Arturo Frasca
venerdì 29 luglio 2011
giovedì 28 luglio 2011
Palermo poverissima (e sul lastrico)
Antonio e Rosalia hanno 81 anni, Giovanni 74: sono anziani e non autosufficienti, senza una famiglia che li accudisca o si occupi di loro. Fino ad oggi sono stati ospitati presso una delle strutture convenzionate col comune di Palermo, l’Opera pia Telesino-Ardizzone, ma lo scorso settembre hanno ricevuto una lettera dall’amministrazione il cui contenuto era più o meno questo: il Comune non ha più soldi, d’ora in poi sarai tu a doverti pagare la retta e se non ci riesci arrangiati.
Sembra una storia paradossale, ma è quello che è successo anche ad altri 300 anziani come loro, ospitati in diverse strutture della città e per i quali la pubblica amministrazione pagava la retta che ammonta, di base, a 35 euro al giorno. Pagava per modo di dire, dal momento che le cifre del 2009 sono state ottenute solo a forza di decreti ingiuntivi mentre mancano all’appello 11 mesi del 2010 e il 2011. Sala delle Lapidi, in occasione dell’ultimo bilancio, a fronte di una richiesta dell’assessore alle Attività sociali di 3,5 milioni non ha previsto nemmeno un euro.
“La verità è che al comune non importa nulla del sociale – dice Filippo Parrino della Legacoop – non è vero che mancano i soldi, tant’è che per il Festino li hanno trovati. La verità è che da anziani e disabili non possono prendere voti, ma a settembre anche il sociale scenderà in piazza a rivoltare i cassonetti. E lì Palermo si renderà conto dell’emergenza in cui viviamo. Daremo battaglia anche per l’assestamento di bilancio”.
Già perché, oltre agli anziani, tra i dimenticati dall’amministrazione Cammarata ci sono anche 45 disabili psichici, anch’essi ospitati presso sei strutture cittadine ormai al collasso, che a settembre hanno ricevuto una lettera simile. “Ad oggi per i disabili ci sono solo sei strutture, altre cinque hanno chiuso”, dice sconfortato il presidente del Corecaf Salvatore Sciortino. “Il problema è che queste persone o non hanno una famiglia alle spalle oppure c’è, ma non può occuparsi di loro”. Luigi Baratta, presidente della cooperativa Azione sociale che gestisce le strutture di via del Quarnaro e di via Rallo, ammette che “non ce la facciamo più ad andare avanti a forza di scoperture bancarie, il problema è che questa gente è sola e non la difende nessuno. Ne ospitiamo 20, ma il comune deve darci ancora 500.000 euro”. La retta di un disabile è molto più alta, circa 2.000 euro al mese, ma bisogna considerare che nel costo è compreso anche il personale che, in alcuni casi, non riceve lo stipendio da mesi e non sa più come andare avanti. Fra Palermo e provincia, si stima un indotto di circa 20.000 persone.
Per i disabili psichici il Consiglio ha deciso di allargare i cordoni della borsa, ma non troppo: a fronte di una richiesta di 1,3 milioni ne ha previsti solo 700.000 di cui 500.000 dal consuntivo del 2010, che va ancora approvato, e altri 200.000 dal Festino poi rimpinguato con il fondo di riserva. “Ma questi soldi non ci sono ancora arrivati – dice Domenico Sgarlata, consulente di alcune cooperative – prima va fatto anche il Piano economico gestionale e solo dopo li riceveremo. Nel 2009 e nel 2010, per i disabili, il Comune ci ha semplicemente girato dei fondi regionali, niente di più, e a settembre ci è arrivata la lettera del dirigente del comune che annuncia la sospensione dei trasferimenti”. Il Comune se ne lava le mani, insomma, ma la domanda cresce. Tra disabili e anziani erano in 350 i soggetti a carico del comune, ma potrebbero essere molti di più se il Comune non avesse bloccato i ricoveri nel 2007.
“Il Comune ha scritto che non avendo soldi non può rinnovare la convenzione – dice Mario Taccetta, presidente dell’Opera Telesino che ospita 28 anziani – ma in realtà non l’ha mai revocata ufficialmente e noi andiamo avanti a furia di decreti. Fino ad oggi siamo riusciti a pagare gli stipendi al personale, ma se va avanti così se ce la faremo. Ma essendo noi un ente pubblico non possiamo mandarli in mezzo alla strada, finiremmo in galera per interruzione di servizio, anche se il Comune non si è fatto alcuno scrupolo a dirci di sbatterli fuori”.
fonte:Livesicilia
Sembra una storia paradossale, ma è quello che è successo anche ad altri 300 anziani come loro, ospitati in diverse strutture della città e per i quali la pubblica amministrazione pagava la retta che ammonta, di base, a 35 euro al giorno. Pagava per modo di dire, dal momento che le cifre del 2009 sono state ottenute solo a forza di decreti ingiuntivi mentre mancano all’appello 11 mesi del 2010 e il 2011. Sala delle Lapidi, in occasione dell’ultimo bilancio, a fronte di una richiesta dell’assessore alle Attività sociali di 3,5 milioni non ha previsto nemmeno un euro.
“La verità è che al comune non importa nulla del sociale – dice Filippo Parrino della Legacoop – non è vero che mancano i soldi, tant’è che per il Festino li hanno trovati. La verità è che da anziani e disabili non possono prendere voti, ma a settembre anche il sociale scenderà in piazza a rivoltare i cassonetti. E lì Palermo si renderà conto dell’emergenza in cui viviamo. Daremo battaglia anche per l’assestamento di bilancio”.
Già perché, oltre agli anziani, tra i dimenticati dall’amministrazione Cammarata ci sono anche 45 disabili psichici, anch’essi ospitati presso sei strutture cittadine ormai al collasso, che a settembre hanno ricevuto una lettera simile. “Ad oggi per i disabili ci sono solo sei strutture, altre cinque hanno chiuso”, dice sconfortato il presidente del Corecaf Salvatore Sciortino. “Il problema è che queste persone o non hanno una famiglia alle spalle oppure c’è, ma non può occuparsi di loro”. Luigi Baratta, presidente della cooperativa Azione sociale che gestisce le strutture di via del Quarnaro e di via Rallo, ammette che “non ce la facciamo più ad andare avanti a forza di scoperture bancarie, il problema è che questa gente è sola e non la difende nessuno. Ne ospitiamo 20, ma il comune deve darci ancora 500.000 euro”. La retta di un disabile è molto più alta, circa 2.000 euro al mese, ma bisogna considerare che nel costo è compreso anche il personale che, in alcuni casi, non riceve lo stipendio da mesi e non sa più come andare avanti. Fra Palermo e provincia, si stima un indotto di circa 20.000 persone.
Per i disabili psichici il Consiglio ha deciso di allargare i cordoni della borsa, ma non troppo: a fronte di una richiesta di 1,3 milioni ne ha previsti solo 700.000 di cui 500.000 dal consuntivo del 2010, che va ancora approvato, e altri 200.000 dal Festino poi rimpinguato con il fondo di riserva. “Ma questi soldi non ci sono ancora arrivati – dice Domenico Sgarlata, consulente di alcune cooperative – prima va fatto anche il Piano economico gestionale e solo dopo li riceveremo. Nel 2009 e nel 2010, per i disabili, il Comune ci ha semplicemente girato dei fondi regionali, niente di più, e a settembre ci è arrivata la lettera del dirigente del comune che annuncia la sospensione dei trasferimenti”. Il Comune se ne lava le mani, insomma, ma la domanda cresce. Tra disabili e anziani erano in 350 i soggetti a carico del comune, ma potrebbero essere molti di più se il Comune non avesse bloccato i ricoveri nel 2007.
“Il Comune ha scritto che non avendo soldi non può rinnovare la convenzione – dice Mario Taccetta, presidente dell’Opera Telesino che ospita 28 anziani – ma in realtà non l’ha mai revocata ufficialmente e noi andiamo avanti a furia di decreti. Fino ad oggi siamo riusciti a pagare gli stipendi al personale, ma se va avanti così se ce la faremo. Ma essendo noi un ente pubblico non possiamo mandarli in mezzo alla strada, finiremmo in galera per interruzione di servizio, anche se il Comune non si è fatto alcuno scrupolo a dirci di sbatterli fuori”.
fonte:Livesicilia
martedì 26 luglio 2011
MANIFESTO SICILIANO
1) Noi, siamo Siciliani, la nostra Terra e’ la Sicilia, la nostra Patria e’ la Sicilia.
Noi, siamo un Popolo con una storia millenaria, e MAI prima del 1860 siamo stati italiani. Lo siamo diventati con la forza, il sorpruso e l ‘ inganno
2) Noi riconosciamo come amico e fratello chi vuole il nostro bene; siamo un Popolo pacifico che rifiuta la violenza, ma che d ‘ ora innanzi non porgerà più l ‘ altra guancia alla violenza e all’ oppressione coloniale .
3) Noi rispettiamo le culture differenti e diverse verso le quali nutriremo sempre rispetto e curiosità, certi che la diversità e’ sempre una ricchezza e che nessun popolo e’ superiore ad un altro. Noi siamo siciliani e la nostra specificità ci rende unici e fratelli tra di noi.
4) Noi ci impegniamo formalmente a comprare solo prodotti della nostra Terra, fatti con le nostre mani e con il nostro sudore per il bene della nostra Terra ed il futuro dei nostri figli, certi che questa è la strada maestra per raggiungere il benessere economico presente e futuro.
5) Noi vogliamo che la nostra industria sia libera e ricca, senza padroni riconoscendoci padroni ed artefici del nostro futuro.
Noi siamo siciliani ed in quanto siciliani riconosciamo la nostra indipendenza naturale da ogni altro territorio. I nostri confini sono il mare.
6) Il nostro futuro dipende unicamente da noi e da quello che faremo, se riceveremo 10 restituiremo la stessa cifra, ma non permetteremo più a nessuno di continuare a depredarci
7) Ci impegniamo formalmente a non nascondere e a rendere palese ogni futura lesione della nostra identità e a rendere pubblico il nome di chi rappresentandoci oggi spende male il nostro nome nei fatti e nelle parole affinché domani costoro vengano additati pubblicamente come nostri nemici per avere fatto male o per non avere fatto quando avevano il dovere di fare.
Il presente manifesto vincola i suoi aderenti al rispetto di ogni superiore punto, nessuno escluso.
Noi, siamo un Popolo con una storia millenaria, e MAI prima del 1860 siamo stati italiani. Lo siamo diventati con la forza, il sorpruso e l ‘ inganno
2) Noi riconosciamo come amico e fratello chi vuole il nostro bene; siamo un Popolo pacifico che rifiuta la violenza, ma che d ‘ ora innanzi non porgerà più l ‘ altra guancia alla violenza e all’ oppressione coloniale .
3) Noi rispettiamo le culture differenti e diverse verso le quali nutriremo sempre rispetto e curiosità, certi che la diversità e’ sempre una ricchezza e che nessun popolo e’ superiore ad un altro. Noi siamo siciliani e la nostra specificità ci rende unici e fratelli tra di noi.
4) Noi ci impegniamo formalmente a comprare solo prodotti della nostra Terra, fatti con le nostre mani e con il nostro sudore per il bene della nostra Terra ed il futuro dei nostri figli, certi che questa è la strada maestra per raggiungere il benessere economico presente e futuro.
5) Noi vogliamo che la nostra industria sia libera e ricca, senza padroni riconoscendoci padroni ed artefici del nostro futuro.
Noi siamo siciliani ed in quanto siciliani riconosciamo la nostra indipendenza naturale da ogni altro territorio. I nostri confini sono il mare.
6) Il nostro futuro dipende unicamente da noi e da quello che faremo, se riceveremo 10 restituiremo la stessa cifra, ma non permetteremo più a nessuno di continuare a depredarci
7) Ci impegniamo formalmente a non nascondere e a rendere palese ogni futura lesione della nostra identità e a rendere pubblico il nome di chi rappresentandoci oggi spende male il nostro nome nei fatti e nelle parole affinché domani costoro vengano additati pubblicamente come nostri nemici per avere fatto male o per non avere fatto quando avevano il dovere di fare.
Il presente manifesto vincola i suoi aderenti al rispetto di ogni superiore punto, nessuno escluso.
domenica 24 luglio 2011
Aforismi per una rivoluzione!
Ho sempre pensato e, di fondo, continuo a pensarlo, che, se si ama qualcuno, … lo si accetta per come è, senza pretesa di cambiarlo. Senza pretesa …!
Ma c’è una frase di Paolo Borsellino di una bellezza indicibile, “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”!
Paolo Borsellino parlava di Palermo, era di Palermo ed amava Palermo. Io potrei parlare di Ragusa, qualcun altro … di qualsiasi altro posto!
Mi piace, però, l’idea di poterla estendere … a tutta l’amata Sicilia!
Perché, nell’amata Sicilia, … ce ne sono di cose che non mi piacciono …!
Non mi piace … l’imbecille che ieri mattina, col suo suv, tornando in moto dal cimitero, mi ha quasi spazzato via, per il semplice gusto di superare a folle velocità lungo una strada in cui … una macchina ci sta larga, … due affiancate quasi strette! Non si è neanche posto il problema di vedere dove fossi andato a finire!
Non mi piace la rissosità del prepotente di turno, che aspetta, o cerca, l’occasione solamente per gonfiarsi come un pavone, … o un tacchino!
Non mi piacciono le urla gratuite, … io che grido tanto!
Non mi piacciono gli scippi, non mi piace la mafia, ancora meno l’atteggiamento da mafiosetti da quattro soldi che tanti guappetti pensano di mostrare … per essere più rispettati! Paolo Borsellino diceva che “la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”!
Non mi piacciono i nostri politicanti da strapazzo, non mi piacciono quegli ascari che hanno svenduto e continueranno a svendere la Sicilia per quattro vili denari, … meno dei trenta che riuscì a pattuire lo stesso Giuda, per il quale riesco a nutrire molto più profonda, umana compassione!
Non mi piace, soprattutto, … il fatto che ce li siamo scelti noi … e che continueremo a sceglierceli!
Non mi piace il … piangerci addosso, non mi piace che la “stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”, come diceva Giovanni Falcone!
Non mi piace la mancanza di coraggio, la paura nel cercare di affermare la nostra identità culturale e di popolo, nel cercare di recuperare la nostra memoria storica, nel pretendere rispetto! Men che meno mi piace l’assuefazione al disprezzo, … ci hanno così tanto disprezzato … che quasi ci disprezziamo da noi stessi …!
Sempre Paolo Borsellino, uno che ha avuto immenso coraggio, ma che certamente conosceva la paura, quella vera, sosteneva che “è normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”! Qualcosa di molto simile lo sosteneva Mohandas Karamchand Gandhi, il Mahatma, “la paura può servire, ma mai la codardia”. Ecco, appunto, noi siciliani dovremmo avere giusto un po’ di coraggio, cacciare via la codardia, neanche tanto per andare avanti, … quanto piuttosto per iniziare a muoverci, … per iniziare a smuoverci!
Dovremmo cambiare, in qualche modo, … “dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere”, come affermava il Mahatma!
E poco importa che possa cambiare davvero qualcosa, che potremo o riusciremo a farlo, che saremo capaci di dar luogo ad una rivoluzione innanzitutto culturale, di atteggiamento, di approccio mentale … ed innanzitutto in noi stessi!
L’immensa Alda Merini lo aveva già compreso, per altre vie e con altri significati, “Ci sono notti / che non accadono mai / e tu le cerchi / muovendo le labbra. / Poi t’immagini seduto / al posto degli dèi. / E non sai dire / dove stia il sacrilegio: / se nel ripudio / dell’età adulta / che nulla perdona / o nella brama / d’essere immortale / per vivere infinite / attese di notti / che non accadono mai.”! La nostra potrebbe anche essere presa per follia, … ma “anche la follia merita i suoi applausi”!
di Arturo Frasca
fonte : SIKELOI
Ma c’è una frase di Paolo Borsellino di una bellezza indicibile, “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”!
Paolo Borsellino parlava di Palermo, era di Palermo ed amava Palermo. Io potrei parlare di Ragusa, qualcun altro … di qualsiasi altro posto!
Mi piace, però, l’idea di poterla estendere … a tutta l’amata Sicilia!
Perché, nell’amata Sicilia, … ce ne sono di cose che non mi piacciono …!
Non mi piace … l’imbecille che ieri mattina, col suo suv, tornando in moto dal cimitero, mi ha quasi spazzato via, per il semplice gusto di superare a folle velocità lungo una strada in cui … una macchina ci sta larga, … due affiancate quasi strette! Non si è neanche posto il problema di vedere dove fossi andato a finire!
Non mi piace la rissosità del prepotente di turno, che aspetta, o cerca, l’occasione solamente per gonfiarsi come un pavone, … o un tacchino!
Non mi piacciono le urla gratuite, … io che grido tanto!
Non mi piacciono gli scippi, non mi piace la mafia, ancora meno l’atteggiamento da mafiosetti da quattro soldi che tanti guappetti pensano di mostrare … per essere più rispettati! Paolo Borsellino diceva che “la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”!
Non mi piacciono i nostri politicanti da strapazzo, non mi piacciono quegli ascari che hanno svenduto e continueranno a svendere la Sicilia per quattro vili denari, … meno dei trenta che riuscì a pattuire lo stesso Giuda, per il quale riesco a nutrire molto più profonda, umana compassione!
Non mi piace, soprattutto, … il fatto che ce li siamo scelti noi … e che continueremo a sceglierceli!
Non mi piace il … piangerci addosso, non mi piace che la “stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”, come diceva Giovanni Falcone!
Non mi piace la mancanza di coraggio, la paura nel cercare di affermare la nostra identità culturale e di popolo, nel cercare di recuperare la nostra memoria storica, nel pretendere rispetto! Men che meno mi piace l’assuefazione al disprezzo, … ci hanno così tanto disprezzato … che quasi ci disprezziamo da noi stessi …!
Sempre Paolo Borsellino, uno che ha avuto immenso coraggio, ma che certamente conosceva la paura, quella vera, sosteneva che “è normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”! Qualcosa di molto simile lo sosteneva Mohandas Karamchand Gandhi, il Mahatma, “la paura può servire, ma mai la codardia”. Ecco, appunto, noi siciliani dovremmo avere giusto un po’ di coraggio, cacciare via la codardia, neanche tanto per andare avanti, … quanto piuttosto per iniziare a muoverci, … per iniziare a smuoverci!
Dovremmo cambiare, in qualche modo, … “dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere”, come affermava il Mahatma!
E poco importa che possa cambiare davvero qualcosa, che potremo o riusciremo a farlo, che saremo capaci di dar luogo ad una rivoluzione innanzitutto culturale, di atteggiamento, di approccio mentale … ed innanzitutto in noi stessi!
L’immensa Alda Merini lo aveva già compreso, per altre vie e con altri significati, “Ci sono notti / che non accadono mai / e tu le cerchi / muovendo le labbra. / Poi t’immagini seduto / al posto degli dèi. / E non sai dire / dove stia il sacrilegio: / se nel ripudio / dell’età adulta / che nulla perdona / o nella brama / d’essere immortale / per vivere infinite / attese di notti / che non accadono mai.”! La nostra potrebbe anche essere presa per follia, … ma “anche la follia merita i suoi applausi”!
di Arturo Frasca
fonte : SIKELOI
giovedì 21 luglio 2011
Chi è causa del nostro mal …!?
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, così, almeno, ammonisce un antico proverbio!
Sì, ma chi non lo è … cu ccu minchia s’a pigghiari!?
Da una lettera del 1868, indirizzata da Giuseppe Garibaldi (… o Cunebardo, come in Kaos dei fratelli Taviani …!) ad Adelaide Cairoli: “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio”! La veridicità di queste parole non è confermata, … personalmente non ho mai visto l’originale della lettera …! Ma se lo fosse …
Ne La Sicilia ai Siciliani!, oltre ad esprimere il suo profondo amore per la Sicilia, Antonio Canepa cita Sidney Sonnino, né siciliano né separatista, presidente del consiglio dei ministri e ministro del regno d’Italia negli anni a cavallo tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo: “Quel che trovammo nel 1860 dura ancora. La Sicilia lasciata a sé troverebbe il rimedio: stanno a dimostrarlo molti fatti particolari; e ce l’assicurano l’intelligenza e l’energia della sua popolazione e l’immensa ricchezza delle sue risorse. Ma noi italiani delle altre province impediamo che tutto ciò avvenga; abbiamo legalizzato l’oppressione esistente; ed assicuriamo l’impunità all’oppressione!”
Immagino che Sonnino volesse riferirsi ad un nord, ad un Piemonte con le pezze al culo che, 150 anni fa, sanò i propri conti appropriandosi delle riserve auree del Mezzogiorno, il doppio di quelle degli altri stati preunitari messe insieme, o dei beni delle ricche banche meridionali, delle regge, dei musei, delle case private!
Immagino fosse al corrente di come Sicilia e Sud fossero stati massacrati, presi in giro nel nome di una finta unità d’Italia, resa mitica da una fantomatica spedizione dei mille, in cui spiccavano migliaia di disertori dell’esercito piemontese, ufficiali e mercenari ungheresi e, soprattutto, la protezione degli inglesi, con i loro interessi per le miniere di zolfo, il petrolio del tempo!
Probabilmente sapeva anche delle fucilazioni sommarie e di massa, delle deportazioni!
Doveva essere conscio dell’enorme squilibrio tra spesa pubblica al nord ed al Sud ed in Sicilia! Di come alla nascente industria meridionale fossero state spezzate le gambe, prima ancora che imparasse a camminare! Dell’emigrazione, fino ad allora pressoché sconosciuta in Sicilia!
E mi pare che tutto ciò, in qualche modo, duri ancora, nella misura in cui le grandi società petrolchimiche del nord hanno fatto e continuano a fare … quello che hanno fatto e continuano a fare! Nel momento in cui sono stati massacrati il nostro territorio, il nostro mare! Nel momento in cui non ci si è preoccupati dell’insorgenza e dell’incremento di malattie a Priolo, a Melilli, a Milazzo, a Gela! Nel momento in cui non ci si è fatto scrupoli nel “conservare” chissà che a Pasquasia o nelle altre miniere dell’entroterra siciliano! O nel mettere le basi aeree in Sicilia a disposizione per la “guerra umanitaria” di turno!
Poi, “quando avranno inquinato l’ultimo fiume, catturato l’ultimo bisonte, abbattuto l’ultimo albero, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare tutto il denaro accumulato nelle loro banche”, come diceva Ta-Tanka I-Yotank, Toro Seduto (per la verità, letteralmente, Bisonte Seduto)!
E, allora, di cosa dovremmo piangere noi? Qual è la nostra colpa?
La nostra colpa è enorme! La nostra colpa è quella di non sapere, di non volere reagire! E’ quella di non sapere, di non volere, di non riuscire a riprendere possesso della nostra terra e dei nostri mari, … della nostra memoria, della nostra coscienza, della nostra identità! Ci siamo imbastarditi, uniformati, spersonalizzati! La nostra colpa è il non saperci, il non volerci rimboccare le maniche … e dimostrare di cosa siamo davvero capaci! La nostra colpa più grande, forse, è quella di non essere mai stati bravi (e di continuare a non esserlo) … nello scegliere chi ci rappresenti!
Mohandas Karamchand Gandhi, il Mahatma, sosteneva che “nulla si ottiene senza sacrificio e senza coraggio. Se si fa una cosa apertamente, si può anche soffrire di più, ma alla fine l’azione sarà più efficace. Chi ha ragione ed è capace di soffrire alla fine vince”. Credo avesse ragione lui!
Nel nostro caso, però, nel caso di noi siciliani, dovremmo prima convincerci di ben altro, dovremmo essere capaci di aprire gli occhi, di scuoterci. Giovanni Falcone, che troppo bene conosceva la Sicilia ed i siciliani, diceva “che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così, solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è, allora, che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”!
Saremo capaci di smettere di lamentarci, di rimboccarci le maniche ed incominciare a cambiare? Altrimenti, diventeremo anche noi, ancor più a pieno titolo, … causa del nostro mal …! E non ci resterà che … piangere noi stessi …!
di ARTURO FRASCA
http://sikeloi.net/
Sì, ma chi non lo è … cu ccu minchia s’a pigghiari!?
Da una lettera del 1868, indirizzata da Giuseppe Garibaldi (… o Cunebardo, come in Kaos dei fratelli Taviani …!) ad Adelaide Cairoli: “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio”! La veridicità di queste parole non è confermata, … personalmente non ho mai visto l’originale della lettera …! Ma se lo fosse …
Ne La Sicilia ai Siciliani!, oltre ad esprimere il suo profondo amore per la Sicilia, Antonio Canepa cita Sidney Sonnino, né siciliano né separatista, presidente del consiglio dei ministri e ministro del regno d’Italia negli anni a cavallo tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo: “Quel che trovammo nel 1860 dura ancora. La Sicilia lasciata a sé troverebbe il rimedio: stanno a dimostrarlo molti fatti particolari; e ce l’assicurano l’intelligenza e l’energia della sua popolazione e l’immensa ricchezza delle sue risorse. Ma noi italiani delle altre province impediamo che tutto ciò avvenga; abbiamo legalizzato l’oppressione esistente; ed assicuriamo l’impunità all’oppressione!”
Immagino che Sonnino volesse riferirsi ad un nord, ad un Piemonte con le pezze al culo che, 150 anni fa, sanò i propri conti appropriandosi delle riserve auree del Mezzogiorno, il doppio di quelle degli altri stati preunitari messe insieme, o dei beni delle ricche banche meridionali, delle regge, dei musei, delle case private!
Immagino fosse al corrente di come Sicilia e Sud fossero stati massacrati, presi in giro nel nome di una finta unità d’Italia, resa mitica da una fantomatica spedizione dei mille, in cui spiccavano migliaia di disertori dell’esercito piemontese, ufficiali e mercenari ungheresi e, soprattutto, la protezione degli inglesi, con i loro interessi per le miniere di zolfo, il petrolio del tempo!
Probabilmente sapeva anche delle fucilazioni sommarie e di massa, delle deportazioni!
Doveva essere conscio dell’enorme squilibrio tra spesa pubblica al nord ed al Sud ed in Sicilia! Di come alla nascente industria meridionale fossero state spezzate le gambe, prima ancora che imparasse a camminare! Dell’emigrazione, fino ad allora pressoché sconosciuta in Sicilia!
E mi pare che tutto ciò, in qualche modo, duri ancora, nella misura in cui le grandi società petrolchimiche del nord hanno fatto e continuano a fare … quello che hanno fatto e continuano a fare! Nel momento in cui sono stati massacrati il nostro territorio, il nostro mare! Nel momento in cui non ci si è preoccupati dell’insorgenza e dell’incremento di malattie a Priolo, a Melilli, a Milazzo, a Gela! Nel momento in cui non ci si è fatto scrupoli nel “conservare” chissà che a Pasquasia o nelle altre miniere dell’entroterra siciliano! O nel mettere le basi aeree in Sicilia a disposizione per la “guerra umanitaria” di turno!
Poi, “quando avranno inquinato l’ultimo fiume, catturato l’ultimo bisonte, abbattuto l’ultimo albero, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare tutto il denaro accumulato nelle loro banche”, come diceva Ta-Tanka I-Yotank, Toro Seduto (per la verità, letteralmente, Bisonte Seduto)!
E, allora, di cosa dovremmo piangere noi? Qual è la nostra colpa?
La nostra colpa è enorme! La nostra colpa è quella di non sapere, di non volere reagire! E’ quella di non sapere, di non volere, di non riuscire a riprendere possesso della nostra terra e dei nostri mari, … della nostra memoria, della nostra coscienza, della nostra identità! Ci siamo imbastarditi, uniformati, spersonalizzati! La nostra colpa è il non saperci, il non volerci rimboccare le maniche … e dimostrare di cosa siamo davvero capaci! La nostra colpa più grande, forse, è quella di non essere mai stati bravi (e di continuare a non esserlo) … nello scegliere chi ci rappresenti!
Mohandas Karamchand Gandhi, il Mahatma, sosteneva che “nulla si ottiene senza sacrificio e senza coraggio. Se si fa una cosa apertamente, si può anche soffrire di più, ma alla fine l’azione sarà più efficace. Chi ha ragione ed è capace di soffrire alla fine vince”. Credo avesse ragione lui!
Nel nostro caso, però, nel caso di noi siciliani, dovremmo prima convincerci di ben altro, dovremmo essere capaci di aprire gli occhi, di scuoterci. Giovanni Falcone, che troppo bene conosceva la Sicilia ed i siciliani, diceva “che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così, solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è, allora, che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”!
Saremo capaci di smettere di lamentarci, di rimboccarci le maniche ed incominciare a cambiare? Altrimenti, diventeremo anche noi, ancor più a pieno titolo, … causa del nostro mal …! E non ci resterà che … piangere noi stessi …!
di ARTURO FRASCA
http://sikeloi.net/
L’incrocio “milanese”: trattative con lo Stato e con la nuova politica.
Le celebrazioni, gli anniversari sono sacrosanti, perché regalano il ricordo alle vittime e quel poco di conforto che è dovuto ai congiunti ed amici. Mantenere viva la memoria è un dovere ed anche un bisogno per “riconoscere” il crimine. Ma contengono una insidia, regalano la prima fila, talvolta, a chi non c’entra niente e fanno credere urlando il bisogno di giustizia, che questa si possa toccare con mano.
Invece, non è così.
Perché il Paese è così bravo nelle commemorazioni e così “distratto” nelle inquisizioni? L’indignazione e le celebrazioni non bastano. Sono i giorni che precedono e seguono le ricorrenze, quelli che contano. E pazienza, se in essi gli attori di prima fila, quelli che scalpitano nelle ore del ricordo, tornano nell’ombra. Che è poi il luogo in cui investigatori pazienti e determinati abitano costantemente per inseguire la verità sfuggente.
Il terrorismo mafioso e le stragi degli anni Novanta non sono un capitolo chiuso, come si pensava fino a qualche anno fa, mettendo alla sbarra i “colpevoli” e condannando ben sette boss per l’eccidio di Via D’Amelio.
La Dia di Caltanissetta, ma anche altre Procure, hanno scoperto che la giustizia è stata raggirata, che i colpevoli sono “innocenti” e che il crimine è stato commesso da altri. A questo risultato è pervenuta grazie alle rivelazioni di nuovi collaboratori di giustizia e un’efficace attività d’indagine. Si è scoperto che il personaggio chiave del raggiro ai danni della giustizia, è Vincenzo Scarantino, che si accusò (ed accusò), di avere avuto un ruolo determinante nella strage di Via D’Amelio.
Il depistaggio fu così ben programmato, organizzato, eseguito da mettere nel sacco poliziotti, magistrati inquirenti e giudicanti. Com’è potuto accadere? Vincenzo Scarantino viene descritto come un uomo affatto avvertito, una mezza calzetta, ben lontana dal piglio duro e furbo dei boss.
Qualcosa, dunque, non ha funzionato. Che cosa?
C’è chi si pone una domanda, una sola domanda: come sia stato possibile realizzare il depistaggio e salvare esecutori materiali, e sopratutto i mandanti, della strage di Via D’Amelio (e non solo)?.
Ora, però, è il momento di andare oltre, facendo seguire a questo quesito principale, altre domande: chi ha preteso da Scarantino l’assunzione della grave colpa e come si è ottenuto che Scarantino tenesse la bocca chiusa per molti anni, in carcere, subendo le condanne in tre gradi di giudizio senza alcun cedimento? Quali strumenti sono stati usati per tenerlo in carcere così a lungo e senza fiatare? E’ stato fatto quanto era necessario per cercare conferme alle sue “verità”.
Mette i brividi il fatto che sette persone abbiano attraversato da colpevoli tre gradi di giudizio grazie a Scarantino. Non c’è solo il versante del depistaggio di cui rammaricarsi, ma anche quello della credibilità della giustizia.
Ragioniamo sugli eventi: mentre Scarantino eseguiva gli ordini dei suoi mandanti, i superstiti di Cosa nostra trattavano con uomini delle istituzioni per modificare il 41 bis. Stando alle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, trattavano con la “nuova politica” per trovare personaggi che fossero in grado di sostituire gli antichi protettori, “puniti” per il loro tradimento o ormai fuori dalle stanze dei bottoni. Se le trattative sul 41 bis e lo stragismo mafioso coinvolsero rappresentanti delle istituzioni e del vecchio establishment, la ricerca di una soluzione che garantisse il futuro di Cosa nostra, dovette necessariamente riguardare la nuova politica.
E’ immaginabile che si accontentassero della modifica del 41 bis e non agissero sui due fronti? I boss Messina, Brusca e il collaboratore Spatuzza – per citare i nomi più noti – descrivono un contesto più complicato: una strategia di più ampio respiro rispetto alle cosiddette trattative fra lo Stato ed i boss.
E’ provato oltre ogni dubbio che Cosa nostra volesse una svolta: non più mediatori, compari, contigui, ma una partecipazione diretta al governo del Paese, attraverso un partito costruito su basi e intendimenti comuni. Cercava di riciclare l’organizzazione e farla entrare nelle istituzioni e nei consigli di amministrazione, mano pubblica e privata.
Il partito nuovo è nato, ed a farlo nascere hanno contribuito anche “siciliani” di Milano di cui Gaspare Spatuzza fa nomi e cognomi, riferendo le notizie che gli provenivano da Giuseppe Graviano, il boss che la Dia di Caltanissetta indica come il regista di Via D’Amelio ed altre inchieste come l’organizzatore degli attentati terroristici.
I Graviano stanno dentro due filoni di indagine: la trattativa con lo Stato da una parte e la ricerca di nuovi padrini politici per assicurare il futuro a Cosa nostra. La strategia “sanzionatoria” e stragistica, infatti, non regala risultati apprezzabili all’organizzazione sugli assetti a venire. C’è, dunque, un incrocio su cui gli investigatori dovranno necessariamente lavorare. E’ la parte dell’indagine più difficile, ma è anche quella che può rispondere alle tante domande senza risposta che lo stragismo mafioso ha posto.
Questo versante così impalpabile coinvolge anche Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, e discusso collaboratore di giustizia. Ciancimino, come Spatuzza, ha raccontato che a tenere le file del rapporto con la politica - vecchia e nuova – sarebbe stato Marcello Dell’Utri in seguito alla perdita di ruolo del padre, messo “di lato” dai boss. Illazioni, allo stato, anche perché la credibilità di Massimo Ciancimino ha subito recentemente un tracollo così repentino che sembra avere fatto di tutto per “depistare” se stesso.
Il documento falsificato che l’ha condotto in carcere per calunnia e l’incredibile ritrovamento della dinamite nel suo giardino fanno pensare a gesti di autolesionismo piuttosto che ad incidenti di percorso di un uomo abbagliato dalla notorietà. La qualcosa, seppure confusamente, richiama alla memoria ancora una volta quella mezza calzetta così importante, Vincenzo Scarantino, ed i suoi depistaggi.
fonte: SiciliaInformazioni.com
Invece, non è così.
Perché il Paese è così bravo nelle commemorazioni e così “distratto” nelle inquisizioni? L’indignazione e le celebrazioni non bastano. Sono i giorni che precedono e seguono le ricorrenze, quelli che contano. E pazienza, se in essi gli attori di prima fila, quelli che scalpitano nelle ore del ricordo, tornano nell’ombra. Che è poi il luogo in cui investigatori pazienti e determinati abitano costantemente per inseguire la verità sfuggente.
Il terrorismo mafioso e le stragi degli anni Novanta non sono un capitolo chiuso, come si pensava fino a qualche anno fa, mettendo alla sbarra i “colpevoli” e condannando ben sette boss per l’eccidio di Via D’Amelio.
La Dia di Caltanissetta, ma anche altre Procure, hanno scoperto che la giustizia è stata raggirata, che i colpevoli sono “innocenti” e che il crimine è stato commesso da altri. A questo risultato è pervenuta grazie alle rivelazioni di nuovi collaboratori di giustizia e un’efficace attività d’indagine. Si è scoperto che il personaggio chiave del raggiro ai danni della giustizia, è Vincenzo Scarantino, che si accusò (ed accusò), di avere avuto un ruolo determinante nella strage di Via D’Amelio.
Il depistaggio fu così ben programmato, organizzato, eseguito da mettere nel sacco poliziotti, magistrati inquirenti e giudicanti. Com’è potuto accadere? Vincenzo Scarantino viene descritto come un uomo affatto avvertito, una mezza calzetta, ben lontana dal piglio duro e furbo dei boss.
Qualcosa, dunque, non ha funzionato. Che cosa?
C’è chi si pone una domanda, una sola domanda: come sia stato possibile realizzare il depistaggio e salvare esecutori materiali, e sopratutto i mandanti, della strage di Via D’Amelio (e non solo)?.
Ora, però, è il momento di andare oltre, facendo seguire a questo quesito principale, altre domande: chi ha preteso da Scarantino l’assunzione della grave colpa e come si è ottenuto che Scarantino tenesse la bocca chiusa per molti anni, in carcere, subendo le condanne in tre gradi di giudizio senza alcun cedimento? Quali strumenti sono stati usati per tenerlo in carcere così a lungo e senza fiatare? E’ stato fatto quanto era necessario per cercare conferme alle sue “verità”.
Mette i brividi il fatto che sette persone abbiano attraversato da colpevoli tre gradi di giudizio grazie a Scarantino. Non c’è solo il versante del depistaggio di cui rammaricarsi, ma anche quello della credibilità della giustizia.
Ragioniamo sugli eventi: mentre Scarantino eseguiva gli ordini dei suoi mandanti, i superstiti di Cosa nostra trattavano con uomini delle istituzioni per modificare il 41 bis. Stando alle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, trattavano con la “nuova politica” per trovare personaggi che fossero in grado di sostituire gli antichi protettori, “puniti” per il loro tradimento o ormai fuori dalle stanze dei bottoni. Se le trattative sul 41 bis e lo stragismo mafioso coinvolsero rappresentanti delle istituzioni e del vecchio establishment, la ricerca di una soluzione che garantisse il futuro di Cosa nostra, dovette necessariamente riguardare la nuova politica.
E’ immaginabile che si accontentassero della modifica del 41 bis e non agissero sui due fronti? I boss Messina, Brusca e il collaboratore Spatuzza – per citare i nomi più noti – descrivono un contesto più complicato: una strategia di più ampio respiro rispetto alle cosiddette trattative fra lo Stato ed i boss.
E’ provato oltre ogni dubbio che Cosa nostra volesse una svolta: non più mediatori, compari, contigui, ma una partecipazione diretta al governo del Paese, attraverso un partito costruito su basi e intendimenti comuni. Cercava di riciclare l’organizzazione e farla entrare nelle istituzioni e nei consigli di amministrazione, mano pubblica e privata.
Il partito nuovo è nato, ed a farlo nascere hanno contribuito anche “siciliani” di Milano di cui Gaspare Spatuzza fa nomi e cognomi, riferendo le notizie che gli provenivano da Giuseppe Graviano, il boss che la Dia di Caltanissetta indica come il regista di Via D’Amelio ed altre inchieste come l’organizzatore degli attentati terroristici.
I Graviano stanno dentro due filoni di indagine: la trattativa con lo Stato da una parte e la ricerca di nuovi padrini politici per assicurare il futuro a Cosa nostra. La strategia “sanzionatoria” e stragistica, infatti, non regala risultati apprezzabili all’organizzazione sugli assetti a venire. C’è, dunque, un incrocio su cui gli investigatori dovranno necessariamente lavorare. E’ la parte dell’indagine più difficile, ma è anche quella che può rispondere alle tante domande senza risposta che lo stragismo mafioso ha posto.
Questo versante così impalpabile coinvolge anche Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, e discusso collaboratore di giustizia. Ciancimino, come Spatuzza, ha raccontato che a tenere le file del rapporto con la politica - vecchia e nuova – sarebbe stato Marcello Dell’Utri in seguito alla perdita di ruolo del padre, messo “di lato” dai boss. Illazioni, allo stato, anche perché la credibilità di Massimo Ciancimino ha subito recentemente un tracollo così repentino che sembra avere fatto di tutto per “depistare” se stesso.
Il documento falsificato che l’ha condotto in carcere per calunnia e l’incredibile ritrovamento della dinamite nel suo giardino fanno pensare a gesti di autolesionismo piuttosto che ad incidenti di percorso di un uomo abbagliato dalla notorietà. La qualcosa, seppure confusamente, richiama alla memoria ancora una volta quella mezza calzetta così importante, Vincenzo Scarantino, ed i suoi depistaggi.
fonte: SiciliaInformazioni.com
Palermo ricorda Giuliano a 32 anni dall'assassinio
Era il capo della Squadra mobile e stava indagando sul narcotraffico e sul riciclaggio. Aveva colto, tra i primi, la pericolosità dei Corleonesi
Fu tra i primi investigatori a intuire la pericolosità del clan dei Corleonesi e a seguire le piste del traffico di droga tra la Sicilia e gli Usa e del riciclaggio dei narcodollari.
A trentadue anni dalla morte di Boris Giuliano, Palermo si ferma a ricordare il capo della mobile. Davanti alla lapide a lui dedicata, a ridosso del bar Lux di via Francesco Paolo Di Blasi, il prefetto Umberto Postiglione, il questore Nicola Zito ed il sindaco Diego Cammarata hanno deposto corone di fiori. Presenti anche i familiari di Giuliano.
Boris Giuliano, che ricoprì l'incarico di vicequestore e capo della Squadra mobile di Palermo, venne ucciso da Leoluca Bagarella che gli sparò nel bar sotto casa, dove abitualmente il superpoliziotto faceva colazione prima di recarsi negli uffici della Squadra mobile.
fonte: la Repubblica
Fu tra i primi investigatori a intuire la pericolosità del clan dei Corleonesi e a seguire le piste del traffico di droga tra la Sicilia e gli Usa e del riciclaggio dei narcodollari.
A trentadue anni dalla morte di Boris Giuliano, Palermo si ferma a ricordare il capo della mobile. Davanti alla lapide a lui dedicata, a ridosso del bar Lux di via Francesco Paolo Di Blasi, il prefetto Umberto Postiglione, il questore Nicola Zito ed il sindaco Diego Cammarata hanno deposto corone di fiori. Presenti anche i familiari di Giuliano.
Boris Giuliano, che ricoprì l'incarico di vicequestore e capo della Squadra mobile di Palermo, venne ucciso da Leoluca Bagarella che gli sparò nel bar sotto casa, dove abitualmente il superpoliziotto faceva colazione prima di recarsi negli uffici della Squadra mobile.
fonte: la Repubblica
martedì 19 luglio 2011
Fincantieri, la protesta continua operai ancora sulle gru
Continua ad oltranza lo sciopero degli operai dei Cantieri navali di Palermo, giunto ormai al settimo giorno. Gli operai dei Cantieri navali e quelli dell'indotto protestano contro la mancata acquisizione della Fincantieri di una commessa per la riparazione della nave da crociera Costa Romantica per il valore di 70 milioni.
Intanto la scorsa notte, un gruppo di operai ha occupato gli uffici della direzione amministrativa e trascorso la notte in attesa dell'amministratore delegato, Giuseppe Bono.
Ma dopo sette giorni le risposte non arrivano. "La Fincantieri tace e non dà segnali di un'inversione di tendenza". A denunciarlo sono i delegati dei sindacati Uil, Fim e Ugl che si sono asserragliati da ieri mattina su una gru a quaranta metri d'altezza e che ancora oggi non scendono.
E' invece atteso per domani un incontro in terza Commissione attività produttive all'Ars e venerdì si svolgerà una riunione in prefettura, alla presenza dell'azienda. Se dovessero concludersi con un nulla di fatto, è prevedibile una nuova fase di scontri. "La protesta - avvertono Fiom, Fim, Uilm e Ugl - è destinata a continuare. È auspicabile che alla riunione programmata in prefettura partecipino i rappresentanti istituzionali del governo nazionale e del Parlamento".
Ma i sindacati se la prendono anche con il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, che a loro modo di vedere continua a tacere. "Incurante di quanto sta avvenendo nell'unica realtà industriale di Palermo, non ha nemmeno espresso solidarietà ai lavoratori in lotta", accusa Francesco Piastra della Fiom.
Di attacco premeditato all'economia siciliana parla il segretario regionale dell'Ugl Metalmeccanici, Luca Vecchio. Per il segretario è infatti inaccettabile che un gruppo controllato dallo Stato perda una commessa in questa maniera.
fonte:la Repubblica
Intanto la scorsa notte, un gruppo di operai ha occupato gli uffici della direzione amministrativa e trascorso la notte in attesa dell'amministratore delegato, Giuseppe Bono.
Ma dopo sette giorni le risposte non arrivano. "La Fincantieri tace e non dà segnali di un'inversione di tendenza". A denunciarlo sono i delegati dei sindacati Uil, Fim e Ugl che si sono asserragliati da ieri mattina su una gru a quaranta metri d'altezza e che ancora oggi non scendono.
E' invece atteso per domani un incontro in terza Commissione attività produttive all'Ars e venerdì si svolgerà una riunione in prefettura, alla presenza dell'azienda. Se dovessero concludersi con un nulla di fatto, è prevedibile una nuova fase di scontri. "La protesta - avvertono Fiom, Fim, Uilm e Ugl - è destinata a continuare. È auspicabile che alla riunione programmata in prefettura partecipino i rappresentanti istituzionali del governo nazionale e del Parlamento".
Ma i sindacati se la prendono anche con il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, che a loro modo di vedere continua a tacere. "Incurante di quanto sta avvenendo nell'unica realtà industriale di Palermo, non ha nemmeno espresso solidarietà ai lavoratori in lotta", accusa Francesco Piastra della Fiom.
Di attacco premeditato all'economia siciliana parla il segretario regionale dell'Ugl Metalmeccanici, Luca Vecchio. Per il segretario è infatti inaccettabile che un gruppo controllato dallo Stato perda una commessa in questa maniera.
fonte:la Repubblica
Chi uccise Borsellino
Il boia di Paolo Borsellino e dei suoi agenti di scorta si chiama Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio che secondo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza dopo l'attentato di via d'Amelio avrebbe trattato direttamente con Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Il pool di magistrati di Caltanissetta, guidato da Sergio Lari, dopo tre anni di indagini ha chiuso l'inchiesta individuando l'uomo che ha premuto il telecomando dell'autobomba carica di tritolo. E oggi offre una nuova verità giudiziaria che porterà il prossimo mese alla revisione delle sentenze definitive: verranno riaperti quei processi basati sulle dichiarazioni di falsi pentiti, come Vincenzo Scarantino, che hanno fatto finire all'ergastolo anche cinque persone estranee ai fatti.
I magistrati, grazie alla collaborazione di Spatuzza (senza le cui dichiarazioni, riscontrate in tutti i punti, non sarebbe stato possibile avviare la nuova inchiesta) e Fabio Tranchina, un fedelissimo di Graviano arrestato nei mesi scorsi, sono riusciti a trovare le tessere del mosaico che per 19 anni avevano impedito di ricostruire la trama dell'attentato. Lo hanno fatto adesso Sergio Lari, Domenico Gozzo, Amedeo Bertone, Nicolò Marino, Stefano Luciani e Gabriele Paci.
Le indagini svolte dalla Dia di Caltanissetta sono riuscite a dare risposte ad alcuni interrogativi sempre rimasti irrisolti: dalla responsabilità di soggetti esterni a Cosa nostra, ai motivi per cui venne attuata la strage di via D'Amelio a soli 57 giorni di distanza da quella di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone e la sua scorta. Un'accelerazione decisa per impedire che Borsellino ostacolasse la trattativa che era in corso tra corleonesi e uomini dello Stato.
Con l'istanza di revisione che i pm hanno consegnato al procuratore generale Roberto Scarpinato è stato accertato chi ha rubato l'auto, chi l'ha imbottita di tritolo e sistemata davanti al palazzo in cui abitava la mamma del magistrato. Graviano ha poi spinto il telecomando, appostato dietro un muro che separa via d'Amelio da un giardino.
E' stata così esclusa la pista del Castello Utveggio e di un coinvolgimento, in questa fase operativa, di apparati dei servizi segreti. Oggi invece emerge la ricostruzione di un'operazione voluta da Totò Riina ed eseguita da Graviano e suoi picciotti fidati. Ma i pm proseguono le indagini su altri versanti: sull'agenda sparita, sui "soggetti esterni" a Cosa nostra e del boss latitante Matteo Messina Denaro. E allo sviluppo di una nuova dichiarazione fatta dal neo pentito palermitano Stefano Lo Verso, che per 12 anni curò la latitanza di Bernardo Provenzano.
"Solo cinque persone conoscono la vera storia delle stragi", gli avrebbe confidato il vecchio padrino. "Due sono morte. Gli altri tre siamo io, Riina e Giulio Andreotti". E nelle migliaia di atti dell'indagine ci sono anche le testimonianze delle figure istituzionali chiave di quel periodo.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/chi-uccise-borsellino/2156083
Il pool di magistrati di Caltanissetta, guidato da Sergio Lari, dopo tre anni di indagini ha chiuso l'inchiesta individuando l'uomo che ha premuto il telecomando dell'autobomba carica di tritolo. E oggi offre una nuova verità giudiziaria che porterà il prossimo mese alla revisione delle sentenze definitive: verranno riaperti quei processi basati sulle dichiarazioni di falsi pentiti, come Vincenzo Scarantino, che hanno fatto finire all'ergastolo anche cinque persone estranee ai fatti.
I magistrati, grazie alla collaborazione di Spatuzza (senza le cui dichiarazioni, riscontrate in tutti i punti, non sarebbe stato possibile avviare la nuova inchiesta) e Fabio Tranchina, un fedelissimo di Graviano arrestato nei mesi scorsi, sono riusciti a trovare le tessere del mosaico che per 19 anni avevano impedito di ricostruire la trama dell'attentato. Lo hanno fatto adesso Sergio Lari, Domenico Gozzo, Amedeo Bertone, Nicolò Marino, Stefano Luciani e Gabriele Paci.
Le indagini svolte dalla Dia di Caltanissetta sono riuscite a dare risposte ad alcuni interrogativi sempre rimasti irrisolti: dalla responsabilità di soggetti esterni a Cosa nostra, ai motivi per cui venne attuata la strage di via D'Amelio a soli 57 giorni di distanza da quella di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone e la sua scorta. Un'accelerazione decisa per impedire che Borsellino ostacolasse la trattativa che era in corso tra corleonesi e uomini dello Stato.
Con l'istanza di revisione che i pm hanno consegnato al procuratore generale Roberto Scarpinato è stato accertato chi ha rubato l'auto, chi l'ha imbottita di tritolo e sistemata davanti al palazzo in cui abitava la mamma del magistrato. Graviano ha poi spinto il telecomando, appostato dietro un muro che separa via d'Amelio da un giardino.
E' stata così esclusa la pista del Castello Utveggio e di un coinvolgimento, in questa fase operativa, di apparati dei servizi segreti. Oggi invece emerge la ricostruzione di un'operazione voluta da Totò Riina ed eseguita da Graviano e suoi picciotti fidati. Ma i pm proseguono le indagini su altri versanti: sull'agenda sparita, sui "soggetti esterni" a Cosa nostra e del boss latitante Matteo Messina Denaro. E allo sviluppo di una nuova dichiarazione fatta dal neo pentito palermitano Stefano Lo Verso, che per 12 anni curò la latitanza di Bernardo Provenzano.
"Solo cinque persone conoscono la vera storia delle stragi", gli avrebbe confidato il vecchio padrino. "Due sono morte. Gli altri tre siamo io, Riina e Giulio Andreotti". E nelle migliaia di atti dell'indagine ci sono anche le testimonianze delle figure istituzionali chiave di quel periodo.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/chi-uccise-borsellino/2156083
lunedì 18 luglio 2011
L'allarme del procuratore Grasso "Cercano di delegittimare i magistrati"
"Viviamo in un momento di grande confusione si cerca di delegittimare i magistrati. Ci sono progetti per diminuire l'autonomia dei pubblici ministeri. Ma l'autonomia è un valore che tutti devono sentire come tale". Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, intervenuto a Lipari alla presentazione del libro "Le giornate di Filicudi", di Pino La Greca sui mafiosi inviati al confino nell'isola delle Eolie, nel maggio del 1971.
Il procuratore antimafia ha parlato anche di informazione che "non deve essere imbavagliata" anche se ci deve essere "il giusto equilibrio tra la riservatezza delle indagini, la privacy dei cittadini ed il diritto all'informazione. Ecco, bisognerebbe far quadrare questi principi costituzionali che devono essere osservati tutti". Richiamandosi poi al tema dell'incontro e all'anno in cui i mafiosi furono inviati al confino Grasso ha detto: "Per sconfiggere la mafia ci vorrebbero tante Filicudi e non solo in Sicilia. Quell'anno iniziava la mia carriera di giudice e non lo dimenticherò, anche per l'uccisione del Procuratore di Palermo Pietro Scaglione, un magistrato che fu un bell'esempio per la lotta alla mafia".
fonte: la Repubblica
Il procuratore antimafia ha parlato anche di informazione che "non deve essere imbavagliata" anche se ci deve essere "il giusto equilibrio tra la riservatezza delle indagini, la privacy dei cittadini ed il diritto all'informazione. Ecco, bisognerebbe far quadrare questi principi costituzionali che devono essere osservati tutti". Richiamandosi poi al tema dell'incontro e all'anno in cui i mafiosi furono inviati al confino Grasso ha detto: "Per sconfiggere la mafia ci vorrebbero tante Filicudi e non solo in Sicilia. Quell'anno iniziava la mia carriera di giudice e non lo dimenticherò, anche per l'uccisione del Procuratore di Palermo Pietro Scaglione, un magistrato che fu un bell'esempio per la lotta alla mafia".
fonte: la Repubblica
domenica 17 luglio 2011
“Fu strage di Stato”
”E’ stata una strage di Stato”: Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il magistrato ucciso insieme agli agenti della scorta 19 anni fa, non ha dubbi. Lo ripete da anni e torna a ribadirlo anche oggi proprio da via D’Amelio, luogo dell’eccidio da cui e’ partita la marcia delle Agende Rosse, movimento che chiede la verità su un attentato ancora tutto da chiarire e prende il nome dal diario del giudice sparito dopo l’esplosione.
”L’agenda rossa su cui Paolo appuntava tutto e che teneva sempre con sè – spiega – è la chiave di volta di tutto. Chi ha ucciso mio fratello sapeva che l’aveva con se’ e la voleva perche’ poteva essere uno strumento rivelatore di quei ricatti incrociati che hanno retto gli equilibri di questa disgraziatissima seconda repubblica”.
Per la scomparsa del diario venne indagato un ufficiale dell’Arma, ma l’inchiesta e’ stata archiviata con sentenza della Cassazione. ”Sono felice che il procuratore di Caltanissetta, che è subentrato a Tinebra – aggiunge Borsellino – abbia riaperto l’indagine (notizia giornalistica mai confermata dalla Procura, ndr)”.
Per Borsellino l’altro simbolo di una verità mai pienamente conosciuta è il castello Utveggio, ex centro di ascolto dei Servizi segreti da cui si ipotizzò potesse essere giunto il via libera all’attentato – dal promontorio su cui si trova si vede benissimo via D’Amelio – e meta finale della marcia delle Agende Rosse.
”Le ultime indagini fatte da pm che vanno avanti nonostante gli attacchi - dice Borsellino - dicono che il telecomando che fece esplodere l’autobomba fu azionato da via D’Amelio, dietro al palazzo di mia madre, ma per me il castello resta la cabina di regia di questa strage di Stato”. ”Tanto è vero – conclude – che venne frettolosamente smantellato dopo le prime indagini”.
”Paolo – spiega – fu ucciso qui, sotto casa di nostra madre, perchè era spiato e si sapeva che veniva a trovarla con regolarità. Solo il prefetto di allora e il ministro Mancino potevano dire che non era un luogo a rischio”.
”I killer hanno approfittato del fatto che quando Paolo veniva dalla madre – aggiunge – abbassava anche le difese psicologiche”. Borsellino ricorda poi il particolare modo del fratello di appuntare le sue visite alla famiglia. ”Quando veniva a casa – spiega – disegnava sull’agenda un cerchio, un punto e una freccia. Mi ha rivelato un collega che il cerchio era il nido, il punto mia madre, la freccia lui”. ”Insomma – ricorda commosso – ritornava al nido "
fonte:Livesicilia
”L’agenda rossa su cui Paolo appuntava tutto e che teneva sempre con sè – spiega – è la chiave di volta di tutto. Chi ha ucciso mio fratello sapeva che l’aveva con se’ e la voleva perche’ poteva essere uno strumento rivelatore di quei ricatti incrociati che hanno retto gli equilibri di questa disgraziatissima seconda repubblica”.
Per la scomparsa del diario venne indagato un ufficiale dell’Arma, ma l’inchiesta e’ stata archiviata con sentenza della Cassazione. ”Sono felice che il procuratore di Caltanissetta, che è subentrato a Tinebra – aggiunge Borsellino – abbia riaperto l’indagine (notizia giornalistica mai confermata dalla Procura, ndr)”.
Per Borsellino l’altro simbolo di una verità mai pienamente conosciuta è il castello Utveggio, ex centro di ascolto dei Servizi segreti da cui si ipotizzò potesse essere giunto il via libera all’attentato – dal promontorio su cui si trova si vede benissimo via D’Amelio – e meta finale della marcia delle Agende Rosse.
”Le ultime indagini fatte da pm che vanno avanti nonostante gli attacchi - dice Borsellino - dicono che il telecomando che fece esplodere l’autobomba fu azionato da via D’Amelio, dietro al palazzo di mia madre, ma per me il castello resta la cabina di regia di questa strage di Stato”. ”Tanto è vero – conclude – che venne frettolosamente smantellato dopo le prime indagini”.
”Paolo – spiega – fu ucciso qui, sotto casa di nostra madre, perchè era spiato e si sapeva che veniva a trovarla con regolarità. Solo il prefetto di allora e il ministro Mancino potevano dire che non era un luogo a rischio”.
”I killer hanno approfittato del fatto che quando Paolo veniva dalla madre – aggiunge – abbassava anche le difese psicologiche”. Borsellino ricorda poi il particolare modo del fratello di appuntare le sue visite alla famiglia. ”Quando veniva a casa – spiega – disegnava sull’agenda un cerchio, un punto e una freccia. Mi ha rivelato un collega che il cerchio era il nido, il punto mia madre, la freccia lui”. ”Insomma – ricorda commosso – ritornava al nido "
fonte:Livesicilia
POVERA ITALIA. Istat: 8 milioni di indigenti in Italia. Uno su due è al Sud
ani, povera gente. Secondo l'ultimo rapporto Istat sulla ricchezza degli italiani sono 8 milioni 272 mila le persone indigenti che vivono nel nostro Paese, il 13,8% dell'intera popolazione. E dal prossimo anno le famiglie sono destinate a dover pagare anche gli effetti della manovra finanziaria, che per il nucleo medio corrisponde a mille euro di tasse in più in due anni. Colpa del taglio di deduzioni, detrazioni e sconti fiscali previsto nel 2013 e nel 2014.
POVERTÀ RELATIVA E ASSOLUTA. Lo studio dell'Istituto statistico nazionale è stato calcolato usando due parametri differenti.
Un milione e 156 mila famiglie, il 4,6% di quelle residenti, risultano in condizioni di povertà assoluta, hanno una spesa mensile pari o inferiore a quella minima necessaria per acquisire beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile. Loro sono i veri poveri, o i più poveri tra i poveri, come vengono spesso definiti.
MENO DI 992 EURO AL MESE. Diversa la situazione per le famiglie in condizione di povertà relativa, che sono 2 milioni e 734 mila, l'11% del totale. In questo caso il parametro adottato dall'Istat ha misurato tutti coloro che non possono permettersi una spesa mensile che per un nucleo di due componenti è pari a 992,46 euro.
Sud sempre più povero: maglia nera per la Basilicata
I 150 anni di Unità d'Italia, e le sue celebrazioni, non sembrano aver modificato le storiche differenze tra Nord e Sud. Il nostro Paese, infatti, appare ancora profondamente diviso in due tronconi.
IL SUD È PIÙ POVERO. Nel Mezzogiorno infatti l'incidenza di povertà relativa cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori. Praticamente quasi la metà di questi nuclei è povera. La maglia nera nel 2010 va in particolare a Basilicata, Sicilia e Calabria, Regioni in cui le famiglie che versano in condizioni di povertà relativa sono rispettivamente il 28,3, il 27 e il 26% del totale. Fanno eccezione Abruzzo e Molise, in cui la media è simile a quella del resto del Paese.
MEGLIO IL NORD. La Lombardia, invece, soffre meno insieme all'Emilia Romagna, visto che sono le due regioni con i valori più bassi dell'incidenza di povertà. Qui infatti l'indice si assesta intorno al 4,0% e al 4,5%, un quinto rispetto alla media del Sud.
Anche Umbria, Piemonte, Veneto, Toscana, Friuli Venezia Giulia e la provincia di Trento stanno relativamente bene, visto che la popolazione che vive in stato di povertà si colloca intorno al 6% di quella totale.
MALE LE FAMIGLIE NUMEROSE. A soffrire al Sud sono anche le famiglie numerose. Una su due è povera e se per alcune categorie gli indici sono rimasti sostanzialmente stabili rispetto al 2009, per alcune fasce della popolazione le condizioni sono peggiorate. La povertà relativa infatti è aumenta tra le famiglie di 5 o più componenti, che passano dal 24,9% al 29,9%, tra quelle con membri aggregati, in cui c'è un anziano che vive con la famiglia del figlio, passate dal 18,2% al 23%, e quelle monogenitore, che crescono dall'11,8% al 14,1%.
http://www.dongiorgio.it/pagine.php?id=2540
POVERTÀ RELATIVA E ASSOLUTA. Lo studio dell'Istituto statistico nazionale è stato calcolato usando due parametri differenti.
Un milione e 156 mila famiglie, il 4,6% di quelle residenti, risultano in condizioni di povertà assoluta, hanno una spesa mensile pari o inferiore a quella minima necessaria per acquisire beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile. Loro sono i veri poveri, o i più poveri tra i poveri, come vengono spesso definiti.
MENO DI 992 EURO AL MESE. Diversa la situazione per le famiglie in condizione di povertà relativa, che sono 2 milioni e 734 mila, l'11% del totale. In questo caso il parametro adottato dall'Istat ha misurato tutti coloro che non possono permettersi una spesa mensile che per un nucleo di due componenti è pari a 992,46 euro.
Sud sempre più povero: maglia nera per la Basilicata
I 150 anni di Unità d'Italia, e le sue celebrazioni, non sembrano aver modificato le storiche differenze tra Nord e Sud. Il nostro Paese, infatti, appare ancora profondamente diviso in due tronconi.
IL SUD È PIÙ POVERO. Nel Mezzogiorno infatti l'incidenza di povertà relativa cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori. Praticamente quasi la metà di questi nuclei è povera. La maglia nera nel 2010 va in particolare a Basilicata, Sicilia e Calabria, Regioni in cui le famiglie che versano in condizioni di povertà relativa sono rispettivamente il 28,3, il 27 e il 26% del totale. Fanno eccezione Abruzzo e Molise, in cui la media è simile a quella del resto del Paese.
MEGLIO IL NORD. La Lombardia, invece, soffre meno insieme all'Emilia Romagna, visto che sono le due regioni con i valori più bassi dell'incidenza di povertà. Qui infatti l'indice si assesta intorno al 4,0% e al 4,5%, un quinto rispetto alla media del Sud.
Anche Umbria, Piemonte, Veneto, Toscana, Friuli Venezia Giulia e la provincia di Trento stanno relativamente bene, visto che la popolazione che vive in stato di povertà si colloca intorno al 6% di quella totale.
MALE LE FAMIGLIE NUMEROSE. A soffrire al Sud sono anche le famiglie numerose. Una su due è povera e se per alcune categorie gli indici sono rimasti sostanzialmente stabili rispetto al 2009, per alcune fasce della popolazione le condizioni sono peggiorate. La povertà relativa infatti è aumenta tra le famiglie di 5 o più componenti, che passano dal 24,9% al 29,9%, tra quelle con membri aggregati, in cui c'è un anziano che vive con la famiglia del figlio, passate dal 18,2% al 23%, e quelle monogenitore, che crescono dall'11,8% al 14,1%.
http://www.dongiorgio.it/pagine.php?id=2540
sabato 16 luglio 2011
venerdì 15 luglio 2011
SICILIANI, RICORDIAMOCI DI QUESTI DUE : SALVO FLERIS E MARIO FERRARA
Fas, nuovo capitolo della vergognosa telenovela, forse il peggiore, di sicuro il più esemplare. Stavolta a fare le scarpe alla Sicilia non ci sono i leghisti brutti e cattivi di mezzo, né il nemico storico del Sud, Giulio Tremonti, ma gente di casa, siciliani in carne e ossa.
E’ stata infatti una questione di famiglia, fra siciliani, quella che ha visto la Sicilia perdente e i Fondi per le aree sottosviluppate, ancora una volta fermi a Roma. A votare contro l’arrivo delle risorse sono stati Pdl, Lega e Forza del Sud, determinante in questa circostanza grazie alla presenza di due senatori in Commissione bilancio del Senato.
La notizia è vecchia di qualche giorno, ma è stata raccontata piuttosto malamente, e non ci si è capito quasi niente, sicché è come se fosse nuova. A darle rilievo, infatti, non è il nuovo stop, perché sarebbe l’ennesimo, ma la incredibile circostanza che ad alzare la paletta rossa ed impedire il trasferimento delle risorse sono stati due senatori dei Forza del Sud, Salvo Fleres, di Catania, e Mario Ferrara, i quali hanno votato contro un emendamento presentato dai senatori Giovanni Pistorio e Giampiero D’Alia, Mpa il primo e Udc il secondo, accolto dal Pd.
Se fosse stato approvato, l’emendamento avrebbe consentito alla Regione siciliana di utilizzare il 25 per cento del Fas, 650 milioni di euro, per pagare il mutuo acceso dal governo per mettersi alla pari con le spese sanitarie, che vede la Sicilia – una volta tanto, con le carte in regola grazie ad una manovra di contenimento delle spese ed una ristrutturazione del comparto. Salvo Fleres ha giustificato il voto negativo dei senatori forzisti in Commissione bilancio con le motivazioni che sono state usate in altre circostanze dal Ministro per l’Economia e quanti hanno sbarrato il passo ai Fas. Devono servire per colmare il gap strutturale e infrastrutturale del Sud e non per pagare i debiti “provocati da manager sanitari incapaci e da un governo regionale che ha bloccato lo sviluppo”.
Il ragionamento fila, indubbiamente. Se Fleres avesse trascorso gli ultimi tre anni, più o meno, sulla luna, avrebbe perfettamente ragione. Il fatto è che la deroga all’uso dei Fondi Fas in deroga è stata concessa in altre circostanze, e in alcuni casi, le risorse destinate alla Sicilia sono state addirittura usate per pagare le multe delle quote latte degli imprenditori lumbard. Ma c’è dell’altro, con la manovra di contenimento del governo, approvata da Palazzo Madama, la Sicilia subirà “un taglio selvaggio dei trasferimenti”, come ha spiegato Giampiero D’Alia, il quale – tra l’altro- ha detto fuori dai denti, che il voto negativo di Fds costituisce “un vero e proprio crimine nei confronti della Sicilia, perché tenta di fare saltare il bilancio della regione soltanto per un atto gratuito di ritorsione politica di Berlusconi”.
Fleres, secondo D’Alia, dunque avrebbe ricevuto un mandato, votando contro l’emendamento, punire gli avversari politici siciliani, tenendoli a pane e acqua e forse nemmeno questo per come si stanno mettendo le cose. Può darsi che non sia stato Berlusconi a dare l’ordine, visto che Fleres e Ferrara appartengono a Forza del Sud, il partito meridionalista nato per volontà di Gianfranco Miccichè, di sicuro, tuttavia, la motivazione è “politica”, cioè sta dentro lo scontro di partito in Sicilia, che vede i forzisti all’opposizione del governo Lombardo. “Sarebbe stato sbagliato”, chiarisce infatti Fleres, “assecondare l’emendamento dell’Mpa, volto a coprire con i fondi Fas gli errori della politica sanitaria del governo Lombardo e dell’assessore Russo, che solo se avesse voluto, avrebbe potuto confrontarsi su questo tema con il Parlamento siciliano non più di due giorni fa e invece ha preferito sfuggire alle proprie responsabilità politiche grazie ad un artifizio dell’Aula”.
Le motivazioni, a questo punto, sono inequivocabili. I forzisti di Miccichè hanno portato a Roma la loro guerra a Lombardo, impedendo l’uso di 650 milioni di euro per ripianare il bilancio “sanitario”. Fleres, addirittura, spiega il suo “no” e quello del suo collega Ferrara, come una risposta dovuta alla decisione del governo siciliano di sottrarsi al dibattito d’Aula sulla sanità, che era stato richiesto dalle opposizioni con una mozione di censura nei confronti dell’assessore Russo e non per un confronto nel merito delle questioni sanitarie.
Ma questi elementi sono marginali rispetto al livello dello scontro politico e le vette raggiunte dal cinismo dei protagonisti dello scontro. L’episodio dimostra che i ritardi nell’arrivo dei Fondi Fas in Sicilia non sono determinati dall’antimeridionalismo di Tremonti e dal dominio leghista, ma dal meridionalissimo neo Forza del Sud.
La vicenda assume caratteri grotteschi se si tiene in considerazione il fatto che il leader di Forza del Sud, Gianfranco Miccichè, denuncia da anni le scorrettezze del governo nazionale sui fondi Fas al Cipe, organismo in cui rappresenta Berlusconi come sottosegretario.
Questi signori, lo avrete capito, non ci rimettono niente per il “no” al trasferimento delle risorse. Per loro è una partita a carte scoperte, devono battere l’avversario per impedirgli di gestire le risorse e governo con dignità la Sicilia. Non si pongono nemmeno il problema di ciò che significa in termini di servizi sanitari, o altro, non dati all’Isola.
fonte.SiciliaInformazioni.com
E’ stata infatti una questione di famiglia, fra siciliani, quella che ha visto la Sicilia perdente e i Fondi per le aree sottosviluppate, ancora una volta fermi a Roma. A votare contro l’arrivo delle risorse sono stati Pdl, Lega e Forza del Sud, determinante in questa circostanza grazie alla presenza di due senatori in Commissione bilancio del Senato.
La notizia è vecchia di qualche giorno, ma è stata raccontata piuttosto malamente, e non ci si è capito quasi niente, sicché è come se fosse nuova. A darle rilievo, infatti, non è il nuovo stop, perché sarebbe l’ennesimo, ma la incredibile circostanza che ad alzare la paletta rossa ed impedire il trasferimento delle risorse sono stati due senatori dei Forza del Sud, Salvo Fleres, di Catania, e Mario Ferrara, i quali hanno votato contro un emendamento presentato dai senatori Giovanni Pistorio e Giampiero D’Alia, Mpa il primo e Udc il secondo, accolto dal Pd.
Se fosse stato approvato, l’emendamento avrebbe consentito alla Regione siciliana di utilizzare il 25 per cento del Fas, 650 milioni di euro, per pagare il mutuo acceso dal governo per mettersi alla pari con le spese sanitarie, che vede la Sicilia – una volta tanto, con le carte in regola grazie ad una manovra di contenimento delle spese ed una ristrutturazione del comparto. Salvo Fleres ha giustificato il voto negativo dei senatori forzisti in Commissione bilancio con le motivazioni che sono state usate in altre circostanze dal Ministro per l’Economia e quanti hanno sbarrato il passo ai Fas. Devono servire per colmare il gap strutturale e infrastrutturale del Sud e non per pagare i debiti “provocati da manager sanitari incapaci e da un governo regionale che ha bloccato lo sviluppo”.
Il ragionamento fila, indubbiamente. Se Fleres avesse trascorso gli ultimi tre anni, più o meno, sulla luna, avrebbe perfettamente ragione. Il fatto è che la deroga all’uso dei Fondi Fas in deroga è stata concessa in altre circostanze, e in alcuni casi, le risorse destinate alla Sicilia sono state addirittura usate per pagare le multe delle quote latte degli imprenditori lumbard. Ma c’è dell’altro, con la manovra di contenimento del governo, approvata da Palazzo Madama, la Sicilia subirà “un taglio selvaggio dei trasferimenti”, come ha spiegato Giampiero D’Alia, il quale – tra l’altro- ha detto fuori dai denti, che il voto negativo di Fds costituisce “un vero e proprio crimine nei confronti della Sicilia, perché tenta di fare saltare il bilancio della regione soltanto per un atto gratuito di ritorsione politica di Berlusconi”.
Fleres, secondo D’Alia, dunque avrebbe ricevuto un mandato, votando contro l’emendamento, punire gli avversari politici siciliani, tenendoli a pane e acqua e forse nemmeno questo per come si stanno mettendo le cose. Può darsi che non sia stato Berlusconi a dare l’ordine, visto che Fleres e Ferrara appartengono a Forza del Sud, il partito meridionalista nato per volontà di Gianfranco Miccichè, di sicuro, tuttavia, la motivazione è “politica”, cioè sta dentro lo scontro di partito in Sicilia, che vede i forzisti all’opposizione del governo Lombardo. “Sarebbe stato sbagliato”, chiarisce infatti Fleres, “assecondare l’emendamento dell’Mpa, volto a coprire con i fondi Fas gli errori della politica sanitaria del governo Lombardo e dell’assessore Russo, che solo se avesse voluto, avrebbe potuto confrontarsi su questo tema con il Parlamento siciliano non più di due giorni fa e invece ha preferito sfuggire alle proprie responsabilità politiche grazie ad un artifizio dell’Aula”.
Le motivazioni, a questo punto, sono inequivocabili. I forzisti di Miccichè hanno portato a Roma la loro guerra a Lombardo, impedendo l’uso di 650 milioni di euro per ripianare il bilancio “sanitario”. Fleres, addirittura, spiega il suo “no” e quello del suo collega Ferrara, come una risposta dovuta alla decisione del governo siciliano di sottrarsi al dibattito d’Aula sulla sanità, che era stato richiesto dalle opposizioni con una mozione di censura nei confronti dell’assessore Russo e non per un confronto nel merito delle questioni sanitarie.
Ma questi elementi sono marginali rispetto al livello dello scontro politico e le vette raggiunte dal cinismo dei protagonisti dello scontro. L’episodio dimostra che i ritardi nell’arrivo dei Fondi Fas in Sicilia non sono determinati dall’antimeridionalismo di Tremonti e dal dominio leghista, ma dal meridionalissimo neo Forza del Sud.
La vicenda assume caratteri grotteschi se si tiene in considerazione il fatto che il leader di Forza del Sud, Gianfranco Miccichè, denuncia da anni le scorrettezze del governo nazionale sui fondi Fas al Cipe, organismo in cui rappresenta Berlusconi come sottosegretario.
Questi signori, lo avrete capito, non ci rimettono niente per il “no” al trasferimento delle risorse. Per loro è una partita a carte scoperte, devono battere l’avversario per impedirgli di gestire le risorse e governo con dignità la Sicilia. Non si pongono nemmeno il problema di ciò che significa in termini di servizi sanitari, o altro, non dati all’Isola.
fonte.SiciliaInformazioni.com
giovedì 14 luglio 2011
La scomparsata del sindaco di Palermo, si rinnova il miracolo di Santa Rosalia
Ogni volta che si avvicina il 14 luglio, a Palermo l'aria si fa elettrica. La città è attraversata da una bella energia, assolutamente rinnovabile e pulita, altro che nucleare.
E poi si risparmia pure, più energia viene pompata dentro il Festino e più si fa attenzione ai consumi. Certo, qualche centinaio di migliaia di euro non sono pochi, epperò, -'a bella verità- Santo Protettore delle Spese fuori Bilancio, mica si tratta di cifre astronomiche, che di questo passo basterebbe una donazione di un pensionato qualunque, uno tipo Felice Crosta (superdirigente regionale in pensione a 500mila euro l'anno) per finirla con questo psicodramma che precede ogni Festino.
I fondi si trovano, basta cercare bene. E poi bisogna avere fiducia in questa energia che si rinnova ormai da molti anni, perlomeno da quando si è verificato il primo miracolo della scomparsata del sindaco. Una volta c'era sempre un primo cittadino che urlava “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Poi a qualcuno sarà caduta la faccia a terra per la vergogna e si verificò il miracolo. A Napoli pure succedono cose così, là quando arriva la festa di San Gennaro, il sangue del Santo passa dallo stato solido allo stato liquido. Qua a Palermo invece il miracolo prevede che il corpo del Sindaco passi dallo stato solido a quello gassoso. Ce l'hai nell'aria il Sindaco quando la Santuzza raggiunge i Quattro Canti, l'aria è frizzante, con le bollicine che sembrano palle del tennis club. E allora tutti chiedono grazie (plurale femminino).
I senzatetto chiedono la grazia, il personale della Gesip chiede la grazia, le cooperative che operano nel sociale e non vengono pagate chiedono la grazia, i dipendenti comunali morti che non vogliono più ricevere il buono pasto chiedono la grazia, le bare ferme in attesa di sepoltura chiedono la grazia, i genitori dei bambini che vanno a scuola in edifici disastrati chiedono la grazia, i cittadini che vedono salire la marea di munnizza sotto il loro balcone chiedono la grazia, i contatori di tombini chiedono la grazia (preferibilmente a quattro zeri), i gettoni comunali (forse non c'avranno un'anima ma c'è chi è disposto a cederla, l'anima, pur di avere questi gettoni) pagati ai consiglieri comunali per sedute lampo a cavallo della mezzanotte chiedono la grazia, gli ex lsu che si rifiutano di fare le pulizie perché le loro competenze sono bene altre e ben alte -e poi non c'hanno scritto Gesip sulla fronte- chiedono la grazia...Basta, che già mi furria 'a testa, però può essere pure che quest'anno il miracolo della scomparsata non si compie, che il sindaco fa la rivoluzione, sale sulla Bastiglia...cioè, il carro di Santa Rosalia (a proposito, Le ricordiamo l'impegno che prese l'anno scorso: se può, quest'anno ci metta la Sua vecchia barca Molla 2 come carro1) e di fronte a tutti quelli che chiedono la grazia, lui risponde tranquillo e sorridente: “P R E G O”. Poi scompare, mentre la sua aureola, non più luminosa, cade a terra.
Si scoprì solo dopo un po' di tempo che gli avevano tagliato anche quella, perché non aveva pagato le ultime bollette.
fonte: SiciliaInformazioni.com
E poi si risparmia pure, più energia viene pompata dentro il Festino e più si fa attenzione ai consumi. Certo, qualche centinaio di migliaia di euro non sono pochi, epperò, -'a bella verità- Santo Protettore delle Spese fuori Bilancio, mica si tratta di cifre astronomiche, che di questo passo basterebbe una donazione di un pensionato qualunque, uno tipo Felice Crosta (superdirigente regionale in pensione a 500mila euro l'anno) per finirla con questo psicodramma che precede ogni Festino.
I fondi si trovano, basta cercare bene. E poi bisogna avere fiducia in questa energia che si rinnova ormai da molti anni, perlomeno da quando si è verificato il primo miracolo della scomparsata del sindaco. Una volta c'era sempre un primo cittadino che urlava “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Poi a qualcuno sarà caduta la faccia a terra per la vergogna e si verificò il miracolo. A Napoli pure succedono cose così, là quando arriva la festa di San Gennaro, il sangue del Santo passa dallo stato solido allo stato liquido. Qua a Palermo invece il miracolo prevede che il corpo del Sindaco passi dallo stato solido a quello gassoso. Ce l'hai nell'aria il Sindaco quando la Santuzza raggiunge i Quattro Canti, l'aria è frizzante, con le bollicine che sembrano palle del tennis club. E allora tutti chiedono grazie (plurale femminino).
I senzatetto chiedono la grazia, il personale della Gesip chiede la grazia, le cooperative che operano nel sociale e non vengono pagate chiedono la grazia, i dipendenti comunali morti che non vogliono più ricevere il buono pasto chiedono la grazia, le bare ferme in attesa di sepoltura chiedono la grazia, i genitori dei bambini che vanno a scuola in edifici disastrati chiedono la grazia, i cittadini che vedono salire la marea di munnizza sotto il loro balcone chiedono la grazia, i contatori di tombini chiedono la grazia (preferibilmente a quattro zeri), i gettoni comunali (forse non c'avranno un'anima ma c'è chi è disposto a cederla, l'anima, pur di avere questi gettoni) pagati ai consiglieri comunali per sedute lampo a cavallo della mezzanotte chiedono la grazia, gli ex lsu che si rifiutano di fare le pulizie perché le loro competenze sono bene altre e ben alte -e poi non c'hanno scritto Gesip sulla fronte- chiedono la grazia...Basta, che già mi furria 'a testa, però può essere pure che quest'anno il miracolo della scomparsata non si compie, che il sindaco fa la rivoluzione, sale sulla Bastiglia...cioè, il carro di Santa Rosalia (a proposito, Le ricordiamo l'impegno che prese l'anno scorso: se può, quest'anno ci metta la Sua vecchia barca Molla 2 come carro1) e di fronte a tutti quelli che chiedono la grazia, lui risponde tranquillo e sorridente: “P R E G O”. Poi scompare, mentre la sua aureola, non più luminosa, cade a terra.
Si scoprì solo dopo un po' di tempo che gli avevano tagliato anche quella, perché non aveva pagato le ultime bollette.
fonte: SiciliaInformazioni.com
domenica 10 luglio 2011
Alluvione, ennesimo schiaffo a Messina:in Finanziaria “dirottati” i fondi Fas
C’è chi può e chi non può. C’è chi può andare a Roma a chiedere e chi, invece, se lo fa torna con le pive nel sacco. Ci sono sindaci e parlamentari che se battono i pugni ottengono ciò che vogliono e altri che invece sono considerati, evidentemente, meno di zero. E pazienza se di mezzo ci sono morti, danni per centinaia di milioni di euro, pericoli incombenti. Messina si tiene le promesse e dunque le briciole, gli altri portano a casa i soldini. Ed è così che se da una parte il Governo va in soccorso del sindaco di Palermo Cammarata, togliendogli le castagne dal fuoco con 45 milioni che lo aiuteranno a salvare i buchi della Gesip (la società di Gestione Servizi Impianti Pubblici Palermo), dall’altro per Messina, per i territori alluvionati del capoluogo e della provincia, la casella dice ancora “zero”. Nonostante proclami e annunci che tali sono rimasti.
L’ennesimo schiaffo, l’ennesima beffa. «Il governo nazionale – evidenzia il deputato regionale del Pd Filippo Panarello - nel giro di pochi giorni ha accolto la richiesta del sindaco Cammarata e ha destinato 45 milioni dei fondi Fas per la società comunale Gesip di Palermo, ma continua ad ignorare un’emergenza ben più grave come quella dei comuni del messinese: dopo otto mesi dal prolungamento dello stato di calamità, infatti, non sono ancora state finanziate le ordinanze di protezione civile per Giampilieri e i comuni alluvionati, e per San Fratello e i centri dei Nebrodi interessati da dissesto idrogeologico».
Panarello chiedo al presidente della Regione Raffaele Lombardo «di riferire all’Ars sull’esito dei contatti con il governo nazionale per svincolare la quota di fondi Fas necessaria per la ricostruzione e la messa in sicurezza dei territori colpiti, l’assistenza alla popolazione, e il risarcimento ai cittadini le cui abitazioni hanno subito danni. Fino ad ora il governo nazionale ha dimostrato una evidente e inaccettabile disparità di trattamento tra le diverse regioni (Liguria e Veneto rispetto alla Sicilia), ora, dopo l’intervento su Palermo appare ancora più evidente che quella di Messina e della sua provincia viene considerata una ‘emergenza di serie B’. Mi auguro che il sindaco Giuseppe Buzzanca e il presidente della Provincia Nanni Ricevuto, che oltre un mese fa in occasione del Giro d’Italia hanno fatto sapere di aver avuto dal ministro Fitto rassicurazioni su un tempestivo intervento da parte del governo nazionale, trovino il modo di esprimere il disagio e l’indignazione delle popolazioni alluvionate, la rabbia dei sindaci e dei comitati popolari, e facciano valere le ragioni della città e della provincia di Messina». Anche perché delle rassicurazioni i messinesi non sanno più che farsene.
fonte: tempostretto
L’ennesimo schiaffo, l’ennesima beffa. «Il governo nazionale – evidenzia il deputato regionale del Pd Filippo Panarello - nel giro di pochi giorni ha accolto la richiesta del sindaco Cammarata e ha destinato 45 milioni dei fondi Fas per la società comunale Gesip di Palermo, ma continua ad ignorare un’emergenza ben più grave come quella dei comuni del messinese: dopo otto mesi dal prolungamento dello stato di calamità, infatti, non sono ancora state finanziate le ordinanze di protezione civile per Giampilieri e i comuni alluvionati, e per San Fratello e i centri dei Nebrodi interessati da dissesto idrogeologico».
Panarello chiedo al presidente della Regione Raffaele Lombardo «di riferire all’Ars sull’esito dei contatti con il governo nazionale per svincolare la quota di fondi Fas necessaria per la ricostruzione e la messa in sicurezza dei territori colpiti, l’assistenza alla popolazione, e il risarcimento ai cittadini le cui abitazioni hanno subito danni. Fino ad ora il governo nazionale ha dimostrato una evidente e inaccettabile disparità di trattamento tra le diverse regioni (Liguria e Veneto rispetto alla Sicilia), ora, dopo l’intervento su Palermo appare ancora più evidente che quella di Messina e della sua provincia viene considerata una ‘emergenza di serie B’. Mi auguro che il sindaco Giuseppe Buzzanca e il presidente della Provincia Nanni Ricevuto, che oltre un mese fa in occasione del Giro d’Italia hanno fatto sapere di aver avuto dal ministro Fitto rassicurazioni su un tempestivo intervento da parte del governo nazionale, trovino il modo di esprimere il disagio e l’indignazione delle popolazioni alluvionate, la rabbia dei sindaci e dei comitati popolari, e facciano valere le ragioni della città e della provincia di Messina». Anche perché delle rassicurazioni i messinesi non sanno più che farsene.
fonte: tempostretto
Ispica, nuove indagini sulla villa del Governatore
Non c’è pace per la villa del Governatore, Raffaele Lombardo, intestata alla moglie Saveria Grosso. Dopo il sequestro, già disposto dal procuratore della Repubblica di Modica, Francesco Puleio, è stato aperto nuovo fascicolo in cui risultano iscritti nel registro degli indagati funzionari e dipendenti del Comune di Ispica, ma anche funzionari della sovrintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Ragusa. Sotto la lente della magistratura ci sono, appunto, i pareri rilasciati dagli indagati.
La villa infatti, secondo l’accusa, sarebbe stata costruita ex novo a meno di 120 metri dalla battigia, limite minimo consentito dalla legge. Già in passato nel 2004 la villa di Ispica era stata sequestrata e Raffaele Lombardo aveva assicurato la demolizione del basamento di cemento. Il caso finì nel dossier di Legambiente “Mare nostrum” del 2008 e adesso anche la Cassazione ha confermato il sequestro.
fonte:Livesicilia
La villa infatti, secondo l’accusa, sarebbe stata costruita ex novo a meno di 120 metri dalla battigia, limite minimo consentito dalla legge. Già in passato nel 2004 la villa di Ispica era stata sequestrata e Raffaele Lombardo aveva assicurato la demolizione del basamento di cemento. Il caso finì nel dossier di Legambiente “Mare nostrum” del 2008 e adesso anche la Cassazione ha confermato il sequestro.
fonte:Livesicilia
sabato 9 luglio 2011
Rivoluzioni … e abolizione delle province!
Alla fine di ottobre dello scorso anno, leggevo di un grande progetto di rivoluzione della Sicilia.
A dire il vero, … non corrispondeva alla rivoluzione che mi augurerei per la Sicilia …, ma sia!
Il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, dichiarava che “la Regione è incapace di rispondere ai bisogni dei siciliani perché è come un enorme pachiderma che non si muove e che non fa muovere la Sicilia e anzi consente che la Sicilia continui a restare immobile e ad essere, nel frattempo, saccheggiata dai furbi, molto spesso non siciliani” (… ma ancora più spesso siciliani, aggiungo io …!). E, ancora, che “la Regione deve essere un ente agile con poco personale”.
Gli intenti sembrano buoni, soprattutto in un periodo in cui si invocano austerità e sacrifici! Ma stona che a proporlo sia il presidente di un ente con circa ventimila dipendenti (sei, sette volte quelli della Lombardia, che ha il doppio di abitanti!) e duemila dirigenti (nove, dieci volte quelli della stessa Lombardia!), con una spesa complessiva per il personale in servizio che supera il miliardo di euro …!
Sul blog del presidente, in un articolo del 6 luglio dal titolo “Abolire le Province. Una rivoluzione per la Sicilia e per i cittadini”, è scritto “La politica che taglia agli altri e non ai propri privilegi non può essere accettata dalla gente. Noi abbiamo molto da tagliare. […] Ieri la tante volte declamata eliminazione delle Province non è stata votata in parlamento. Noi possiamo farlo in Sicilia. La prossima settimana l’assessore Chinnici definirà il testo per la creazione dei liberi consorzi dei Comuni che dovranno essere destinatari di molte competenze regionali e avranno il compito di mettere insieme i servizi. […] Ai consorzi dei Comuni e ai Comuni stessi dovremo delegare funzioni. […] Questa è la più grande rivoluzione che possiamo realizzare. Credo che il nostro governo e l’assemblea non potranno che accogliere questa volontà. […] Credo che questa riforma renderà l’amministrazione più efficiente e ridurrà gli sprechi per rispondere meglio ai bisogni dei cittadini. La Sicilia poi, piuttosto che essere l’ultima ruota del carro, abolendo le Province e puntando sui Comuni e sui liberi consorzi, intraprenderà una strada che il parlamento nazionale e le altre regioni non potranno non seguire”.
Un paio di considerazioni personali, innanzitutto.
Mi pare di capire che alle province vengano quasi imputati gli sprechi maggiori. Sprechi che senz’altro ci sono, come in tutta l’elefantiaca e, spesso, clientelare struttura pubblica, province, comuni e quant’altro. Ma non ritengo che, in Regione, si sia legittimati a guardare la pagliuzza …! Dare l’esempio, … prima!
Seconda considerazione. E’ solo una sensazione personale, per carità, ma mi sembra di cogliere quasi l’ambizione, da parte del presidente, di voler fare da “apripista”, di voler risaltare nel panorama politico nazionale. Ambizione che non sarebbe assolutamente indegna e che non costituirebbe reato, ci mancherebbe!
Queste sono le considerazioni personali. Ma credo ci sia dell’altro!
Mi stupirei se vi fosse ignoranza, intesa come semplice non conoscenza, senza alcuna connotazione offensiva, … mi stupirei, dicevo, se vi fosse ignoranza dell’esistenza di atti legislativi che, piacciano o meno, siano esaustivi o meno, … non sono … semplici chiacchiere!
E’ vero che l’articolo 15 del troppo spesso disatteso Statuto siciliano dice espressamente: “1. Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana. 2. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui comuni e sui liberi consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”. Quegli stessi consorzi di comuni di cui parla il presidente!
Ebbene, il 6 marzo 1986 fu emanata la legge regionale numero 9 che, all’articolo 3, cita: “L’amministrazione locale territoriale nella Regione Siciliana è articolata, ai sensi dell’art. 15 dello Statuto regionale, in comuni ed in liberi consorzi di comuni denominati “province regionali”".
Quindi, le odierne province regionali esistenti in Sicilia non sarebbero altro che i liberi consorzi di comuni previsti dallo Statuto! Fu semplicemente per l’esplicita volontà delle forze politiche dell’epoca, all’assemblea regionale, che tali consorzi di comuni vennero denominati “province regionali”, cosa che non ne inficia il senso e la funzione!
Non solo! In applicazione dell’articolo 5 della legge 9 del 1986, l’articolo 1 della successiva legge regionale 17 del 12 agosto 1989 istituì le province regionali, intese come liberi consorzi di comuni: “1. Sono costituite, ai sensi dell’articolo 5, quinto comma, della legge regionale 6 marzo 1986, n. 9, le province regionali di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani, risultanti dall’aggregazione in liberi consorzi dei comuni ricadenti nell’ambito territoriale delle disciolte province, già gestite dalle omonime amministrazioni straordinarie provinciali, e con i medesimi capoluoghi”.
E ancora!
L’articolo 9 della legge 9 del 1986 dispone che: “Il piano provinciale di sviluppo economico-sociale tiene conto delle risultanze dell’assemblea generale dei sindaci dei comuni della provincia regionale […]“, mentre l’articolo 10: “Il progetto del programma di sviluppo economico sociale è predisposto […] tenendo conto delle proposte avanzate dai comuni […] ed è inviato ai comuni della provincia i quali […] possono formulare […] osservazioni e proposte”.
E così è anche per la pianificazione territoriale (articolo 12), per la delega di funzioni amministrative (articolo 14), per le gestioni comuni (articolo 15), per la stipula di convenzioni (articolo 17), per la costituzione di società per azioni finalizzate alla gestione di servizi pubblici (articolo 18), eccetera!
Che sia stata pienamente esaustiva, o che se ne possa pretendere una più completa attuazione, o che possa essere migliorata ed aggiornata, la legge regionale 9 del 1986 da venticinque anni prevede che i comuni partecipino attivamente alle scelte dei liberi consorzi denominati “province regionali” e, in tal senso, essa attua quanto disposto all’articolo 15 dello Statuto Siciliano. Tra l’altro, … uno dei pochi casi in cui ciò sia avvenuto!
Ci lamentiamo tanto di come lo Statuto siciliano sia disatteso da sessantacinque anni!
Ma perché, invece di parlare di rivoluzioni, non proviamo ad attuare pienamente e meglio quel poco che, in realtà, ne rispetterebbe lo spirito!?
Magari, … dopo aver dato il buon esempio!
Arturo Frasca
http://sikeloi.net/rivoluzioni-%e2%80%a6-e-abolizione-delle-province/
A dire il vero, … non corrispondeva alla rivoluzione che mi augurerei per la Sicilia …, ma sia!
Il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, dichiarava che “la Regione è incapace di rispondere ai bisogni dei siciliani perché è come un enorme pachiderma che non si muove e che non fa muovere la Sicilia e anzi consente che la Sicilia continui a restare immobile e ad essere, nel frattempo, saccheggiata dai furbi, molto spesso non siciliani” (… ma ancora più spesso siciliani, aggiungo io …!). E, ancora, che “la Regione deve essere un ente agile con poco personale”.
Gli intenti sembrano buoni, soprattutto in un periodo in cui si invocano austerità e sacrifici! Ma stona che a proporlo sia il presidente di un ente con circa ventimila dipendenti (sei, sette volte quelli della Lombardia, che ha il doppio di abitanti!) e duemila dirigenti (nove, dieci volte quelli della stessa Lombardia!), con una spesa complessiva per il personale in servizio che supera il miliardo di euro …!
Sul blog del presidente, in un articolo del 6 luglio dal titolo “Abolire le Province. Una rivoluzione per la Sicilia e per i cittadini”, è scritto “La politica che taglia agli altri e non ai propri privilegi non può essere accettata dalla gente. Noi abbiamo molto da tagliare. […] Ieri la tante volte declamata eliminazione delle Province non è stata votata in parlamento. Noi possiamo farlo in Sicilia. La prossima settimana l’assessore Chinnici definirà il testo per la creazione dei liberi consorzi dei Comuni che dovranno essere destinatari di molte competenze regionali e avranno il compito di mettere insieme i servizi. […] Ai consorzi dei Comuni e ai Comuni stessi dovremo delegare funzioni. […] Questa è la più grande rivoluzione che possiamo realizzare. Credo che il nostro governo e l’assemblea non potranno che accogliere questa volontà. […] Credo che questa riforma renderà l’amministrazione più efficiente e ridurrà gli sprechi per rispondere meglio ai bisogni dei cittadini. La Sicilia poi, piuttosto che essere l’ultima ruota del carro, abolendo le Province e puntando sui Comuni e sui liberi consorzi, intraprenderà una strada che il parlamento nazionale e le altre regioni non potranno non seguire”.
Un paio di considerazioni personali, innanzitutto.
Mi pare di capire che alle province vengano quasi imputati gli sprechi maggiori. Sprechi che senz’altro ci sono, come in tutta l’elefantiaca e, spesso, clientelare struttura pubblica, province, comuni e quant’altro. Ma non ritengo che, in Regione, si sia legittimati a guardare la pagliuzza …! Dare l’esempio, … prima!
Seconda considerazione. E’ solo una sensazione personale, per carità, ma mi sembra di cogliere quasi l’ambizione, da parte del presidente, di voler fare da “apripista”, di voler risaltare nel panorama politico nazionale. Ambizione che non sarebbe assolutamente indegna e che non costituirebbe reato, ci mancherebbe!
Queste sono le considerazioni personali. Ma credo ci sia dell’altro!
Mi stupirei se vi fosse ignoranza, intesa come semplice non conoscenza, senza alcuna connotazione offensiva, … mi stupirei, dicevo, se vi fosse ignoranza dell’esistenza di atti legislativi che, piacciano o meno, siano esaustivi o meno, … non sono … semplici chiacchiere!
E’ vero che l’articolo 15 del troppo spesso disatteso Statuto siciliano dice espressamente: “1. Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana. 2. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui comuni e sui liberi consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”. Quegli stessi consorzi di comuni di cui parla il presidente!
Ebbene, il 6 marzo 1986 fu emanata la legge regionale numero 9 che, all’articolo 3, cita: “L’amministrazione locale territoriale nella Regione Siciliana è articolata, ai sensi dell’art. 15 dello Statuto regionale, in comuni ed in liberi consorzi di comuni denominati “province regionali”".
Quindi, le odierne province regionali esistenti in Sicilia non sarebbero altro che i liberi consorzi di comuni previsti dallo Statuto! Fu semplicemente per l’esplicita volontà delle forze politiche dell’epoca, all’assemblea regionale, che tali consorzi di comuni vennero denominati “province regionali”, cosa che non ne inficia il senso e la funzione!
Non solo! In applicazione dell’articolo 5 della legge 9 del 1986, l’articolo 1 della successiva legge regionale 17 del 12 agosto 1989 istituì le province regionali, intese come liberi consorzi di comuni: “1. Sono costituite, ai sensi dell’articolo 5, quinto comma, della legge regionale 6 marzo 1986, n. 9, le province regionali di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani, risultanti dall’aggregazione in liberi consorzi dei comuni ricadenti nell’ambito territoriale delle disciolte province, già gestite dalle omonime amministrazioni straordinarie provinciali, e con i medesimi capoluoghi”.
E ancora!
L’articolo 9 della legge 9 del 1986 dispone che: “Il piano provinciale di sviluppo economico-sociale tiene conto delle risultanze dell’assemblea generale dei sindaci dei comuni della provincia regionale […]“, mentre l’articolo 10: “Il progetto del programma di sviluppo economico sociale è predisposto […] tenendo conto delle proposte avanzate dai comuni […] ed è inviato ai comuni della provincia i quali […] possono formulare […] osservazioni e proposte”.
E così è anche per la pianificazione territoriale (articolo 12), per la delega di funzioni amministrative (articolo 14), per le gestioni comuni (articolo 15), per la stipula di convenzioni (articolo 17), per la costituzione di società per azioni finalizzate alla gestione di servizi pubblici (articolo 18), eccetera!
Che sia stata pienamente esaustiva, o che se ne possa pretendere una più completa attuazione, o che possa essere migliorata ed aggiornata, la legge regionale 9 del 1986 da venticinque anni prevede che i comuni partecipino attivamente alle scelte dei liberi consorzi denominati “province regionali” e, in tal senso, essa attua quanto disposto all’articolo 15 dello Statuto Siciliano. Tra l’altro, … uno dei pochi casi in cui ciò sia avvenuto!
Ci lamentiamo tanto di come lo Statuto siciliano sia disatteso da sessantacinque anni!
Ma perché, invece di parlare di rivoluzioni, non proviamo ad attuare pienamente e meglio quel poco che, in realtà, ne rispetterebbe lo spirito!?
Magari, … dopo aver dato il buon esempio!
Arturo Frasca
http://sikeloi.net/rivoluzioni-%e2%80%a6-e-abolizione-delle-province/
venerdì 8 luglio 2011
BRUNO LIBERU !
– Cagliari, 7 luglio – Si concluderà alla mezzanotte di oggi, dopo 26 giorni consecutivi di mobilitazione, lo sciopero della fame a staffetta per chiedere la scarcerazione immediata di Bruno Bellomonte, il dirigente di a Manca pro s’Indipendentzia e sindacalista da due anni e 28 giorni in carcere sulla base di accuse mai dimostrate. I 26 giorni di astensione dal cibo promossi dal Comitato lavoratori pro Bellomonte – oggi non mangiano Gianluca Carta, Antonello Turra e Paola Alcioni – saranno seguiti domani alle 10.30 da una conferenza stampa sit in di fronte alla sede del Consiglio regionale, a Cagliari. Il sit in è stato organizzato dal Cagliari social forum, dall’Osservatorio per i diritti e le libertà e dal Collettivo anticapitalista sardo. “Noi riteniamo ingiustificabile – si legge in un comunicato stampa – il fatto che delle persone, sulla base di semplici sospetti, possano essere detenute per più di due anni! Non uno straccio di prova è stato esibito fino adesso per un reato che non si è consumato”. La nota stampa ricorda anche la scomparsa di Luigi Fallico, morto nella sua cella il 23 maggio, quando almeno da sei giorni mostrava i chiarissimi sintomi dell’infarto. “Chiediamo – sottolinea il comunicato – che si faccia luce sulla morte di uno dei coimputati (Il Signor Fallico) e che si perseguano coloro che non gli hanno prestato soccorso”. All’iniziativa hanno sinora aderito Sinistra critica sarda, il Comitato Pro Bruno Bellomonte, Prc Sardegna, Cobas, Usb Sardegna e Collettivo marxista-leninista Nuoro.
Sempre a Cagliari, ma l’11 luglio alle 11.00 e di fronte al Tribunale, si svolgerà un presidio organizzato da a Manca pro s’Indipendentzia contro la repressione coloniale a cinque anni esatti dall’Operazione Arcadia. “A cinque anni dal rastrellamento italiano – sottolinea aMpI – i nostri militanti e dirigenti stanno ancora aspettando di capire perché hanno passato un anno della loro vita agli arresti visto che il processo non si è mai svolto e l’indagine non è mai stata archiviata”.
fonte : IL MINUTO
Sempre a Cagliari, ma l’11 luglio alle 11.00 e di fronte al Tribunale, si svolgerà un presidio organizzato da a Manca pro s’Indipendentzia contro la repressione coloniale a cinque anni esatti dall’Operazione Arcadia. “A cinque anni dal rastrellamento italiano – sottolinea aMpI – i nostri militanti e dirigenti stanno ancora aspettando di capire perché hanno passato un anno della loro vita agli arresti visto che il processo non si è mai svolto e l’indagine non è mai stata archiviata”.
fonte : IL MINUTO
giovedì 7 luglio 2011
Catania : La rabbia dei braccianti agricoli
Momenti di tensione. Divelto cartello , sbarrati gli ingressi.Ottomila lavoratori rischiano di non percepire l'indennità di disoccupazione agricola. Centinaia i manifestanti, traffico bloccato.Alcune centinaia di braccianti agricoli stanno protestando a Catania davanti la sede Inps di Viale Liberta'. Il traffico è bloccato. Polizia e carabinieri presidiano la sede dell'Istituto in assetto anti sommossa. Sul posto anche la polizia municipale.L'incrocio con via Mascagni è bloccato dai manifestanti, arrivati da tutta la provincia.
"Attendiamo un incontro con la direzione dell'Inps - spiega il segretario regionale del Movimento Braccianti e Forestali Maurizio Grosso - perché almeno 8 mila lavoratori rischiano di non percepire l'indennità di disoccupazione agricola. Senza questo sussidio, che secondo noi spetta loro per legge, migliaia di famiglie saranno sul lastrico. La tensione è altissima".
Un cartello stradale e' stato divelto nel corso dei disordini. Dopo urla e spintoni, le porte dell'Istituto di previdenza sono state sbarrate per motivi di sicurezza. Gli utenti Inps sono stati fatti uscire da un'uscita secondaria. Il rappresentante MBF Maurizio Grosso ha abbandonato temporaneamente la riunione sindacale, che si svolge al quarto piano dell'edificio, per scendere in strada tra i lavoratori e calmare gli animi.
Una delegazione del movimento Braccianti e Forestali della provincia di Catania è stata ricevuta dalla direzione etnea dell'Inps: attorno al tavolo ci sono il segretario regionale del Movimento Maurizio Grosso e il direttore dell'Inps Carmelo Sciuto, insieme ai dirigenti Segreto e Pinto.
fonte:la Repubblica
"Attendiamo un incontro con la direzione dell'Inps - spiega il segretario regionale del Movimento Braccianti e Forestali Maurizio Grosso - perché almeno 8 mila lavoratori rischiano di non percepire l'indennità di disoccupazione agricola. Senza questo sussidio, che secondo noi spetta loro per legge, migliaia di famiglie saranno sul lastrico. La tensione è altissima".
Un cartello stradale e' stato divelto nel corso dei disordini. Dopo urla e spintoni, le porte dell'Istituto di previdenza sono state sbarrate per motivi di sicurezza. Gli utenti Inps sono stati fatti uscire da un'uscita secondaria. Il rappresentante MBF Maurizio Grosso ha abbandonato temporaneamente la riunione sindacale, che si svolge al quarto piano dell'edificio, per scendere in strada tra i lavoratori e calmare gli animi.
Una delegazione del movimento Braccianti e Forestali della provincia di Catania è stata ricevuta dalla direzione etnea dell'Inps: attorno al tavolo ci sono il segretario regionale del Movimento Maurizio Grosso e il direttore dell'Inps Carmelo Sciuto, insieme ai dirigenti Segreto e Pinto.
fonte:la Repubblica
domenica 3 luglio 2011
L 'ISOLA DELLE PENSIONI D 'ORO
Nella manovra appena varata, il ministro Giulio Tremonti taglia le pensioni degli statali, bloccando la rivalutazione per il biennio 2010-2012. Ma nell'Isola paradiso dei dipendenti pubblici non solo non ci sono strette in vista, ma gli assegni sono aumentati negli ultimi dieci anni del 40 per cento, garantendo adesso ai regionali una pensione media quasi doppia rispetto agli statali (39 mila euro all'anno contro i 23 mila) e tripla rispetto al comparto dei lavoratori dipendenti privati (15 mila euro).
Così nel 2010, in controtendenza con il dato nazionale, non solo la spesa complessiva della Regione per i suoi pensionati è cresciuta del 5,5 per cento rispetto all'anno precedente, ma in Sicilia continua il ricorso alle baby-pensioni per assistere un coniuge disabile. E le buonuscite, in dieci anni aumentate del 64 per cento, rimangono da favola, senza alcuna riduzione né rateizzazione come accade agli statali: un record spetta ai direttori regionali, che vanno in pensione incassando un assegno medio di 420.133 euro, come certificato della Corte dei conti, anche se hanno ricoperto l'incarico solo negli ultimi mesi della loro carriera. Nel 2001 la buonuscita per i direttori era di 129 mila euro: in dieci anni è cresciuta del 225 per cento.
Insomma, al di là dei casi limite come quello dell'ex direttore dell'Agenzia rifiuti, Felice Crosta, che da pensionato riceve dalla Regione un assegno da quasi 500 mila euro all'anno, più dell'indennità del capo dello Stato (che è di 220 mila euro), per i regionali gli assegni continuano a essere più pesanti degli statali.
Il divario tra l'"Isola del tesoro" e il resto d'Italia lo ha messo nero su bianco la Corte dei conti, che nell'ultimo giudizio di parifica sul bilancio di Palazzo d'Orleans è tornata a denunciare le diseguaglianze di trattamento pensionistico Fra i regionali e gli statali, chiedendo "l'avvio di norme per una vera equiparazione". Sì, perché nonostante una legge regionale del 2004 prevedesse l'omologazione dei conteggi a fini pensionistici tra dipendenti dello Stato e della Regione, un cavillo consente ancora oggi ai regionali di andare in pensione continuando a calcolare l'ultima busta paga come riferimento per la quota retributiva.
La Corte denuncia così la crescita esponenziale di pensioni e buonuscite dal 2001 a oggi. I numeri fanno paura. Nel 2001 la pensione media di un direttore generale era di 3.871 euro al mese. Oggi, dopo la riforma della burocrazia, la pensione media di un direttore è di 6.334 euro al mese, con un incremento del 63 per cento. Un dirigente, invece, in caso di pensionamento riceverà un assegno medio di 3.966 euro, contro i 3.283 di dieci anni fa. Un funzionario, invece, 2.451 euro al mese contro i 1.850 del 2001.
Un discorso a parte riguarda le buonuscite d'oro che la Regione continua a versare ai suoi dipendenti, senza prevedere rateizzazioni o riduzioni, come fatto da Tremonti per gli statali. Oggi l'assegno medio staccato come buonuscita per un direttore che va in pensione è di ben 420.113 euro. La liquidazione media per un dirigente oggi è di 184.468 mila euro: anche per questo comparto l'assegno è cresciuto a dismisura rispetto al 2001, con un incremento del 123 per cento. Dieci anni fa un dirigente riceveva una buonuscita di 83 mila euro. Per funzionari e impiegati, invece, gli aumenti sono più contenuti: oggi la liquidazione media è di 63 mila euro, nel 2001 era di 40 mila euro.
Conti alla mano, non sorprende, viste queste cifre e gli incrementi negli ultimi dieci anni, che la spesa per pensioni e buonuscite della Regione è in costante aumento, nonostante la norma che nel 2004 ha equiparato regionali e statali. Nel 2010 la Regione ha speso per le pensioni 641 milioni di euro, con un incremento del 5,5 per cento rispetto all'anno precedente e del 56 per cento rispetto al 2001. Allo stesso tempo diminuiscono le entrate da contribuzione da parte dei dipendenti in servizio, scese del 17 per cento.
I conti rischiano di andare in tilt. E la spesa potrebbe crescere ancora nel 2011, anche a causa dell'incremento costante dei baby-pensionati in base alla legge 104: lo scorso anno sono andati in pensione anticipata, per assistere un congiunto disabile, 286 regionali, contro i 230 del 2009. Negli ultimi sette anni sono andati in pensione anticipata 1.261 regionali. Un privilegio che non esiste per gli statali.
Sarà comunque difficile avviare una stretta alle pensioni dei regionali, che rimangono incomparabili con quelle di tutti gli altri dipendenti pubblici. Se la pensione media di un regionale è di 40 mila euro all'anno, quella di un docente scolastico è di 20 mila euro, di un poliziotto è di 24 mila euro, di un ministeriale di 20 mila euro, di un dipendente universitario di non più di 34 mila euro. Alla Regione, insomma, si sta sempre meglio.
(03 luglio 2011)
fonte:la Repubblica
Così nel 2010, in controtendenza con il dato nazionale, non solo la spesa complessiva della Regione per i suoi pensionati è cresciuta del 5,5 per cento rispetto all'anno precedente, ma in Sicilia continua il ricorso alle baby-pensioni per assistere un coniuge disabile. E le buonuscite, in dieci anni aumentate del 64 per cento, rimangono da favola, senza alcuna riduzione né rateizzazione come accade agli statali: un record spetta ai direttori regionali, che vanno in pensione incassando un assegno medio di 420.133 euro, come certificato della Corte dei conti, anche se hanno ricoperto l'incarico solo negli ultimi mesi della loro carriera. Nel 2001 la buonuscita per i direttori era di 129 mila euro: in dieci anni è cresciuta del 225 per cento.
Insomma, al di là dei casi limite come quello dell'ex direttore dell'Agenzia rifiuti, Felice Crosta, che da pensionato riceve dalla Regione un assegno da quasi 500 mila euro all'anno, più dell'indennità del capo dello Stato (che è di 220 mila euro), per i regionali gli assegni continuano a essere più pesanti degli statali.
Il divario tra l'"Isola del tesoro" e il resto d'Italia lo ha messo nero su bianco la Corte dei conti, che nell'ultimo giudizio di parifica sul bilancio di Palazzo d'Orleans è tornata a denunciare le diseguaglianze di trattamento pensionistico Fra i regionali e gli statali, chiedendo "l'avvio di norme per una vera equiparazione". Sì, perché nonostante una legge regionale del 2004 prevedesse l'omologazione dei conteggi a fini pensionistici tra dipendenti dello Stato e della Regione, un cavillo consente ancora oggi ai regionali di andare in pensione continuando a calcolare l'ultima busta paga come riferimento per la quota retributiva.
La Corte denuncia così la crescita esponenziale di pensioni e buonuscite dal 2001 a oggi. I numeri fanno paura. Nel 2001 la pensione media di un direttore generale era di 3.871 euro al mese. Oggi, dopo la riforma della burocrazia, la pensione media di un direttore è di 6.334 euro al mese, con un incremento del 63 per cento. Un dirigente, invece, in caso di pensionamento riceverà un assegno medio di 3.966 euro, contro i 3.283 di dieci anni fa. Un funzionario, invece, 2.451 euro al mese contro i 1.850 del 2001.
Un discorso a parte riguarda le buonuscite d'oro che la Regione continua a versare ai suoi dipendenti, senza prevedere rateizzazioni o riduzioni, come fatto da Tremonti per gli statali. Oggi l'assegno medio staccato come buonuscita per un direttore che va in pensione è di ben 420.113 euro. La liquidazione media per un dirigente oggi è di 184.468 mila euro: anche per questo comparto l'assegno è cresciuto a dismisura rispetto al 2001, con un incremento del 123 per cento. Dieci anni fa un dirigente riceveva una buonuscita di 83 mila euro. Per funzionari e impiegati, invece, gli aumenti sono più contenuti: oggi la liquidazione media è di 63 mila euro, nel 2001 era di 40 mila euro.
Conti alla mano, non sorprende, viste queste cifre e gli incrementi negli ultimi dieci anni, che la spesa per pensioni e buonuscite della Regione è in costante aumento, nonostante la norma che nel 2004 ha equiparato regionali e statali. Nel 2010 la Regione ha speso per le pensioni 641 milioni di euro, con un incremento del 5,5 per cento rispetto all'anno precedente e del 56 per cento rispetto al 2001. Allo stesso tempo diminuiscono le entrate da contribuzione da parte dei dipendenti in servizio, scese del 17 per cento.
I conti rischiano di andare in tilt. E la spesa potrebbe crescere ancora nel 2011, anche a causa dell'incremento costante dei baby-pensionati in base alla legge 104: lo scorso anno sono andati in pensione anticipata, per assistere un congiunto disabile, 286 regionali, contro i 230 del 2009. Negli ultimi sette anni sono andati in pensione anticipata 1.261 regionali. Un privilegio che non esiste per gli statali.
Sarà comunque difficile avviare una stretta alle pensioni dei regionali, che rimangono incomparabili con quelle di tutti gli altri dipendenti pubblici. Se la pensione media di un regionale è di 40 mila euro all'anno, quella di un docente scolastico è di 20 mila euro, di un poliziotto è di 24 mila euro, di un ministeriale di 20 mila euro, di un dipendente universitario di non più di 34 mila euro. Alla Regione, insomma, si sta sempre meglio.
(03 luglio 2011)
fonte:la Repubblica
venerdì 1 luglio 2011
ANGIOLINO
Il siciliano Angiolino Alfano ci mette dinanzi ad una " verita'" dei fatti. Dice Angiolino Joli oggi nel discorso di nomina a segretario del Pdl:
- "Credo che il Nord e il Sud debbano stare insieme, sapendo che il Nord produttivo porta avanti il nostro destino in Europa".
Quindi il Sud e' trainato in Europa dal Nord e deve rassegnarsi alla superiorita' del nord come un dato immutabile, dice lui. Un siciliano leghista insomma...
Dice sempre Angiolino Joli, che il sud non puo' sempre piangere o andare a Roma con il cappello in mano, deve riscattarsi da solo, e questo lo avevamo capito benissimo. Oggi poi e' quasi lapalissiano con i fondi FAS che diventano fondo di coesione nazionale da utilizzare chiaramente in tutto il territorio nazionale da parte di questo governo leghista fatto con esponenti del Sud di professione : ASCARI !
Angiolino, non sei capace di leggere la realtà odierna, non hai capito che il Sud non è più come lo vedi ( o come speri che sia ) tu : IL SUD E LA SICILIA NON ACCETTANO PIU' LA CAPACITA' " PRODUTTIVA " DEL NORD NEL FARSI DEPREDARE!
Neva Allegra
- "Credo che il Nord e il Sud debbano stare insieme, sapendo che il Nord produttivo porta avanti il nostro destino in Europa".
Quindi il Sud e' trainato in Europa dal Nord e deve rassegnarsi alla superiorita' del nord come un dato immutabile, dice lui. Un siciliano leghista insomma...
Dice sempre Angiolino Joli, che il sud non puo' sempre piangere o andare a Roma con il cappello in mano, deve riscattarsi da solo, e questo lo avevamo capito benissimo. Oggi poi e' quasi lapalissiano con i fondi FAS che diventano fondo di coesione nazionale da utilizzare chiaramente in tutto il territorio nazionale da parte di questo governo leghista fatto con esponenti del Sud di professione : ASCARI !
Angiolino, non sei capace di leggere la realtà odierna, non hai capito che il Sud non è più come lo vedi ( o come speri che sia ) tu : IL SUD E LA SICILIA NON ACCETTANO PIU' LA CAPACITA' " PRODUTTIVA " DEL NORD NEL FARSI DEPREDARE!
Neva Allegra
Rifiuti … a senso unico!
Nella giornata di ieri, il consiglio dei ministri del governo italiano ha approvato un decreto legge che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo!) porre rimedio all’emergenza rifiuti in Campania.
Punto principale, la possibilità di stipulare accordi diretti con altre regioni, eventualmente disposte ad accogliere parte dei rifiuti campani.
Devo dire che mi sorprende molto la persistenza del problema, considerato che più di una volta ne era già stata sbandierata la definitiva soluzione! Non ricordo, però, chi fosse … lo sbandieratore …!
Ad ogni modo, ben venga questa ennesima risoluzione del problema! Per quanto, in molti, abbiano ritenuto deludente la portata del provvedimento.
Ovviamente, voto contrario al provvedimento è stato espresso dai ministri della lega, in questo momento credo più impegnata a riconquistare (anche con una buona dose di demagogia) la fiducia della propria base elettorale, dopo le recenti sberle. E, per ottenere ciò, non mostra alcun pudore nel voler apparire distaccata, quasi contraria, avversa ad una maggioranza di governo di cui fa pienamente parte (e con che voce!) … da qualche annetto! Forse sarebbe il caso di ricordare ai simpatici leghisti che, degli ultimi diciassette anni, ben più della metà li hanno passati direttamente al governo! Diciamo pure che, negli ultimi diciassette anni, la lega è stata al governo più di chiunque altro!
Ad ogni modo, La Padania in edicola oggi titolava “niente rifiuti nelle regioni della lega”, ognuno pensi per sé! Come ha giustamente affermato l’assessore ai servizi sociali del comune di Albenga, Eraldo Ciangherotti, “se ogni comune si gestisce la sua spazzatura, lo faccia anche Napoli”!
Ma siccome sono anche generosi, altruisti e solidali, il simpatico assessore si è anche preoccupato di far recapitare al sindaco di Napoli dieci chili di spazzatura ligure! Simpatico e giocherellone, il Ciangherotti …!
Il presidente Luca Zaia, pur ribadendo l’indisponibilità del Veneto ad accogliere l’immondizia campana, ha detto di essere “al fianco dei napoletani che stanno soffrendo” e ha confermato la sua piena disponibilità a fornire … “know how”!
L’onorevole Bossi, dal canto suo, non ha perso l’occasione per mostrare ancora una volta, se mai ve ne fosse bisogno, il suo grande amore verso Napoli ed il Sud in genere, “i napoletani non impareranno mai” avrebbe affermato, con un tono che ritengo volesse essere da sprone, un po’ come quello del maestro che richiama l’alunno, sperando con tutto il cuore che egli possa migliorare …!
Quello che mi fa maggiormente specie, tuttavia, è il constatare come i rifiuti speciali, anche quelli tossici e nocivi, possano continuare, invece, a viaggiare tranquillamente … da nord verso Sud …! Ci saranno forse i sensi unici …!?
In Gomorra, Roberto Saviano scriveva: “Dalla fine degli anni ’90 diciottomila tonnellate di rifiuti tossici partiti da Brescia sono stati smaltiti tra Napoli e Caserta e un milione di tonnellate, in quattro anni, sono tutte finite a Santa Maria Capua Vetere. […] La Procura di Napoli e quella di Santa Maria Capua Vetere hanno scoperto nel gennaio 2003 […] che in quaranta giorni oltre seimilacinquecento tonnellate di rifiuti dalla Lombardia sono giunte a Trentola Ducenta, vicino a Caserta”. Ancora: “Vicino a Grazzanise era stata accumulata tutta la terra di spazzamento della città di Milano. Per decenni tutta la spazzatura raccolta nelle pattumiere dai netturbini milanesi, quella scopata al mattino, era stata raccolta e spedita da queste parti. Dalla provincia di Milano ogni giorno ottocento tonnellate di rifiuti finiscono in Germania. La produzione complessiva è però di milletrecento tonnellate. Ne mancano quindi all’appello cinquecento. Non si sa dove vanno a finire. Con grande probabilità questi rifiuti fantasma vengono sparpagliati in giro per il Mezzogiorno. Ci sono anche i toner delle stampanti ad ammorbare la terra, come scoperto dall’operazione del 2006 “Madre Terra” coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Tra Villa Literno, Castelvolturno e San Tammaro, i toner delle stampanti d’ufficio della Toscana e della Lombardia venivano sversati di notte da camion che ufficialmente trasportavano compost, un tipo di concime. L’odore era acido e forte, ed esplodeva ogni volta che pioveva. Le terre erano cariche di cromo esavalente. Se inalato, si fissa nei globuli rossi e nei capelli e provoca ulcere, difficoltà respiratorie, problemi renali e cancro ai polmoni”. E ancora: “L’operazione “Cassiopea” del 2003 dimostrò che ogni settimana partivano dal nord al sud quaranta Tir ricolmi di rifiuti e […] venivano sversati, seppelliti, gettati, interrati cadmio, zinco, scarto di vernici, fanghi da depuratori, plastiche varie, arsenico, prodotti delle acciaierie, piombo.[…] Molte imprese venete e lombarde […] avevano adottato un territorio nel napoletano o nel casertano trasformandolo in un’enorme discarica”!
Io riterrei di aggiungere anche Pasquasia e le altre miniere dell’entroterra siciliano, dove non si sa bene cosa sia stato celato!
E, allora, simpaticamente ma rigorosamente in napoletano, … nun ci scassat’a uallera …!
di ARTURO FRASCA
Punto principale, la possibilità di stipulare accordi diretti con altre regioni, eventualmente disposte ad accogliere parte dei rifiuti campani.
Devo dire che mi sorprende molto la persistenza del problema, considerato che più di una volta ne era già stata sbandierata la definitiva soluzione! Non ricordo, però, chi fosse … lo sbandieratore …!
Ad ogni modo, ben venga questa ennesima risoluzione del problema! Per quanto, in molti, abbiano ritenuto deludente la portata del provvedimento.
Ovviamente, voto contrario al provvedimento è stato espresso dai ministri della lega, in questo momento credo più impegnata a riconquistare (anche con una buona dose di demagogia) la fiducia della propria base elettorale, dopo le recenti sberle. E, per ottenere ciò, non mostra alcun pudore nel voler apparire distaccata, quasi contraria, avversa ad una maggioranza di governo di cui fa pienamente parte (e con che voce!) … da qualche annetto! Forse sarebbe il caso di ricordare ai simpatici leghisti che, degli ultimi diciassette anni, ben più della metà li hanno passati direttamente al governo! Diciamo pure che, negli ultimi diciassette anni, la lega è stata al governo più di chiunque altro!
Ad ogni modo, La Padania in edicola oggi titolava “niente rifiuti nelle regioni della lega”, ognuno pensi per sé! Come ha giustamente affermato l’assessore ai servizi sociali del comune di Albenga, Eraldo Ciangherotti, “se ogni comune si gestisce la sua spazzatura, lo faccia anche Napoli”!
Ma siccome sono anche generosi, altruisti e solidali, il simpatico assessore si è anche preoccupato di far recapitare al sindaco di Napoli dieci chili di spazzatura ligure! Simpatico e giocherellone, il Ciangherotti …!
Il presidente Luca Zaia, pur ribadendo l’indisponibilità del Veneto ad accogliere l’immondizia campana, ha detto di essere “al fianco dei napoletani che stanno soffrendo” e ha confermato la sua piena disponibilità a fornire … “know how”!
L’onorevole Bossi, dal canto suo, non ha perso l’occasione per mostrare ancora una volta, se mai ve ne fosse bisogno, il suo grande amore verso Napoli ed il Sud in genere, “i napoletani non impareranno mai” avrebbe affermato, con un tono che ritengo volesse essere da sprone, un po’ come quello del maestro che richiama l’alunno, sperando con tutto il cuore che egli possa migliorare …!
Quello che mi fa maggiormente specie, tuttavia, è il constatare come i rifiuti speciali, anche quelli tossici e nocivi, possano continuare, invece, a viaggiare tranquillamente … da nord verso Sud …! Ci saranno forse i sensi unici …!?
In Gomorra, Roberto Saviano scriveva: “Dalla fine degli anni ’90 diciottomila tonnellate di rifiuti tossici partiti da Brescia sono stati smaltiti tra Napoli e Caserta e un milione di tonnellate, in quattro anni, sono tutte finite a Santa Maria Capua Vetere. […] La Procura di Napoli e quella di Santa Maria Capua Vetere hanno scoperto nel gennaio 2003 […] che in quaranta giorni oltre seimilacinquecento tonnellate di rifiuti dalla Lombardia sono giunte a Trentola Ducenta, vicino a Caserta”. Ancora: “Vicino a Grazzanise era stata accumulata tutta la terra di spazzamento della città di Milano. Per decenni tutta la spazzatura raccolta nelle pattumiere dai netturbini milanesi, quella scopata al mattino, era stata raccolta e spedita da queste parti. Dalla provincia di Milano ogni giorno ottocento tonnellate di rifiuti finiscono in Germania. La produzione complessiva è però di milletrecento tonnellate. Ne mancano quindi all’appello cinquecento. Non si sa dove vanno a finire. Con grande probabilità questi rifiuti fantasma vengono sparpagliati in giro per il Mezzogiorno. Ci sono anche i toner delle stampanti ad ammorbare la terra, come scoperto dall’operazione del 2006 “Madre Terra” coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Tra Villa Literno, Castelvolturno e San Tammaro, i toner delle stampanti d’ufficio della Toscana e della Lombardia venivano sversati di notte da camion che ufficialmente trasportavano compost, un tipo di concime. L’odore era acido e forte, ed esplodeva ogni volta che pioveva. Le terre erano cariche di cromo esavalente. Se inalato, si fissa nei globuli rossi e nei capelli e provoca ulcere, difficoltà respiratorie, problemi renali e cancro ai polmoni”. E ancora: “L’operazione “Cassiopea” del 2003 dimostrò che ogni settimana partivano dal nord al sud quaranta Tir ricolmi di rifiuti e […] venivano sversati, seppelliti, gettati, interrati cadmio, zinco, scarto di vernici, fanghi da depuratori, plastiche varie, arsenico, prodotti delle acciaierie, piombo.[…] Molte imprese venete e lombarde […] avevano adottato un territorio nel napoletano o nel casertano trasformandolo in un’enorme discarica”!
Io riterrei di aggiungere anche Pasquasia e le altre miniere dell’entroterra siciliano, dove non si sa bene cosa sia stato celato!
E, allora, simpaticamente ma rigorosamente in napoletano, … nun ci scassat’a uallera …!
di ARTURO FRASCA
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