La caccia al tesoro continua. Lo scrigno c’è, si sa tutto sul luogo, i custodi, le regole che lo proteggono, a chi appartiene, eppure non serve a niente. È intoccabile. Una specie di araba fenice o meglio, uno specchietto per le allodole. Qualche volta è stato consentito che fosse toccato con mano, ma nulla di più. La sua fruizione è virtuale. Costituisce una deterrenza che Roma mantiene per impedire alla periferia dell’impero di fare ciò che più gli aggrada, voltare le spalle al governo, “tradirlo”, non obbedire ai suoi richiami, alle sollecitazioni, ai bisogni che arrivano dalla Capitale. Insomma, il tesoro ha un valore “politico”, non solo economico. È l’equivalente del trattamento Boffo in campo finanziario, secondo i più severi, perché tiene “appeso” il governo siciliano a Roma.
I siciliani devono guadagnarselo giorno dopo giorno. La Sicilia alla stregua di un qualsiasi precario: appresso al potere, arrancando, rincorrendolo. Se il “tesoro” del precario è lo striminzito insicuro stipendio, per la Regione sono le risorse per governare.
Alla Sicilia tocca di fare la questua, rimanere sul sagrato ed aspettare i potenti di turno che vanno a messa, raccomandarsi, suscitare compassione e mostrarsi benevola, rispettosa, ubbidiente.
Il tesoro vale quattro miliardi e trecento milioni di euro ma virtualmente vale infinitamente di più. È stato usato da quasi tre anni per ammonire, riprovare, punire i riottosi, i ribelli, le teste calde. Assieme al trattamento Boffo, costituisce l’ultimo espediente della nuova politica: appendere il nemico ai suoi bisogni, incaprettarlo, obbligarlo al silenzio, all’inazione.
Ricatti, giochi di prestigio, rappresaglie a mezzo stampa e pubblica gogna. In periferia, nel Mezzogiorno d’Italia, sopravvivono i cialtroni, dirigenti politici e rappresentanti delle istituzioni che hanno sprecato una montagna di soldi, non sanno spendere e quando lo fanno bruciano i soldi degli italiani. Cialtroni appunti, cui non è permesso di chiedere nulla. Attendano il loro turno, dimostrino di ravvedersi, facciano penitenza, dimostrino di volere utilizzare le risorse nel modo appropriato, obbedendo ai suggerimenti, consigli, indicazioni, segnali che vengono dalla Capitale.
Ricordiamo come fosse ieri la kermesse organizzata al Teatro Massimo di Palermo. Il tempio della lirica mondiale trasformato in un suk di politicanti per inneggiare al Ministro Claudio Scajola che portava la buona novella: i soldi destinati alla Sicilia, quei quattro miliardi e trecento milioni, sarebbero finalmente arrivati a destinazione. Folla, applausi, discorsi: le liturgie del potere che digerisce se stesso.
Il ministro, allora, non aveva il suo attico con vista sul Colosseo, era l’uomo forte del Pdl, e il suo dicastero “faceva ombra” a tanti, anche all’interno del suo partito. Aveva il pregio di stare dalla parte di Gianfranco Miccichè nella sua infinita guerra contro i dirigenti del suo partito in Sicilia. La sua presenza a Palermo avrebbe aperto, dunque, i cordoni della borsa e una prateria al sottosegretario di stato, inopinatamente derubricato e messo in seconda fila dallo stato maggiore romano Pdl.
Il teatro ribollì d’ira per la lunga attesa e gustò l’ormai prossimo successo di quel tesoro ritrovato. Non sarebbe successo niente, o quasi. Il 31 luglio 2009 il tesoro fu sdoganato dal Cipe (Miccichè ha una delega al Cipe), ma rimase dov’era, nelle mani astute e tenaci del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.
Da allora sono accadute tante cose, ma la fruizione virtuale del tesoro è rimasta inalterata. I siciliani sono andati mille volta a Canossa e i soldi sono arrivati quando Roma ha deciso di spenderne una piccola fetta. Sono serviti per pagare le multe degli imprenditori del Nord, che non rispettano le regole UE (quote latte), per evitare il fallimento del comune di Catania, lasciato in bolletta dall’amministrazione Scapagnini (medico personale del premier). Un giorno sì ed uno no, se ne annuncia la destinazione.
La caccia al tesoro è diventata così ambigua e curiosa da coinvolgere politici, professionisti e comuni cittadini. Nessuno più osa fare domande, perché il ministro è abbottonato e Silvio Berlusconi sta preparando il piano per il Sud. C’è naturalmente chi scommette la testa che il piano del Sud, annunciato da quasi due anni, ospiterà anche il tesoro dei Fas, aggiungendo al danno la beffa. Rastrellate le risorse maturate e da maturare comunque, il tesoro tornerà a fare “consenso” grazie alla cura con cui è stato conservato. Niente di nuovo, Benito Mussolini mostrava la sua flotta aerea nei cieli d’Italia tutte le volte che occorreva fare sfoggio di potenza: erano gli stessi aerei a volare ma nel cuore degli italiani, l’Italia con le ali appariva invincibile.
Sul tesoro irraggiungibile e la sua deterrenza la politica non ama misurarsi. Presto il piano del Sud, con la sua munificienza, la dotazione generosa, darà fine alla caccia al tesoro. Magari ci spiegheranno che il “piano” è figlio del partito del Sud. Che non c’è, ma è come se ci fosse.
fonte : SiciliaInformazioni.com
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