CALTANISSETTA - I misteri sulle stragi siciliane non finiscono mai. Dopo i sicari di mafia e di Stato che volevano Giovanni Falcone morto già tre anni prima di Capaci, dopo le indagini dirottate verso il nulla, dopo l'omicidio di due poliziotti troppo leali, adesso sono sparite anche le carte che raccontavano chi - dentro gli apparati - era pronto a far fuori il giudice di Palermo. Un altro intrigo. Un'altra congiura di talpe e spie infedeli. Anno dopo anno sono scomparsi molti fascicoli dalle inchieste sui massacri dell'estate del '92, per esempio oggi non si trovano più i tabulati delle telefonate di uno dei personaggi centrali di queste trame siciliane, un mafioso condannato all'ergastolo per l'omicidio di Paolo Borsellino ma che è scivolato anche nelle indagini sul fallito attentato all'Addaura - il 21 giugno 1989 - contro Falcone. Tutto quello che era agli atti su Gaetano Scotto, boss dell'Arenella che per conto di Cosa Nostra gestiva i rapporti con gli uomini dei servizi segreti, è stato portato via: è stata sottratta la mappa di tutti i suoi contatti, ogni chiamata in entrata e in uscita. Fra le montagne di documenti processuali abbandonati in un magazzino della polizia fino a qualche mese fa, non ci sono più le tracce delle relazioni che il mafioso aveva avuto con quegli 007 con i quali "dialogava" da anni, funzionari dei servizi che sono finiti nelle inchieste sull'Addaura, sulla strage di Capaci, sulla bomba di via Mariano D'Amelio. "Gaetano Scotto è l'uomo chiave dei contatti fra le cosche e l'intelligence, ma i fascicoli dove c'erano i suoi tabulati li abbiamo inutilmente cercati", spiegano gli investigatori che hanno ricominciato a indagare sui complotti dell'estate del 1992.
Così la procura della repubblica di Caltanissetta - senza più i tabulati di Gaetano Scotto - è ripartita da dove aveva lasciato all'inizio della primavera: dalle scorribande dei nostri servizi, da quelle "manine" che strage dopo strage hanno occultato prove e nascosto indizi. È la pista che porta ai mandanti "altri" e che, al momento, ruota intorno a quel nome: Gaetano Scotto. È il boss che attraversa tutti i misteri di Palermo dal 1989 al 1992, dall'Addaura a via Mariano D'Amelio passando per Capaci. È il "centro" per decifrare i collegamenti che ci sono stati fra i Corleonesi di Totò Riina e alcune fazioni degli apparati, il mafioso che custodisce i segreti delle bombe. Scomparsi i tabulati delle sue telefonate resta lui. Resta lui dietro ogni esplosione, dietro ogni patto di Cosa Nostra con chi aveva deciso che Giovanni Falcone doveva comunque morire.
È stato lui, Scotto - lo racconta ai procuratori di Caltanissetta uno degli ultimi pentiti, Angelo Fontana - a procurare il detonatore che avrebbe dovuto far saltare in aria Falcone il 21 giugno del 1989 davanti alla sua villa dell'Addaura. Quel giorno i sicari arrivarono da terra e non dal mare come si era ipotizzato per vent'anni. Mafiosi e "presenze estranee" a Cosa Nostra, tutti insieme per uccidere il giudice. Con loro fu avvistato, "nelle vicinanze" anche quell'uomo con la "faccia da mostro" che gli investigatori cercano da un anno senza trovarlo. Forse un poliziotto, forse un agente dell'intelligence segnalato da più testimoni sempre sui luoghi di ogni strage in Sicilia.
È stato lui, Scotto - lo racconta un altro pentito, Vito Lo Forte - che un mese e mezzo dopo il fallito attentato all'Addaura avrebbe avuto un ruolo nell'omicidio del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida "perché Agostino aveva scoperto un collegamento fra mafia e Questura". Il poliziotto, il giorno dell'attentato, era là sugli scogli e probabilmente salvò la vita al giudice Falcone insieme al collaboratore del Sisde Emanuele Piazza. Ucciso Agostino e fatto sparire Piazza (prelevato nella sua casa di Sferracavallo e poi strangolato, il suo cadavere non è mai stato ritrovato) per cancellare ogni traccia di ciò che era avvenuto all'Addaura. Prima i delitti dei due poliziotti, poi le carte di Nino Agostino - appunti - scomparsi dalla sua casa, poi ancora le indagini sui loro omicidi concentrate su assurde "piste passionali". Delitti e depistaggi.
È stato sempre lui, Scotto - lo raccontano le indagini sviluppate fra il 1993 e il 1994 - a mantenersi in contatto telefonico costante nei giorni della morte di Paolo Borsellino con una base dei servizi segreti acquartierata sulla cima di Montepellegrino, a Castel Utveggio, proprio sopra via Mariano D'Amelio.
Ufficialmente a Castel Utveggio c'era una scuola di eccellenza per manager, in realtà era un covo di spie dell'Alto Commissariato che fu smobilitato un paio di settimane prima che l'inchiesta sulle stragi siciliane puntasse proprio in quella direzione. Una quindicina di anni fa erano stati acquisiti tutti i tabulati delle telefonate di Gaetano Scotto con quei personaggi della scuola per manager, i procuratori di Caltanissetta avrebbero voluto riesaminarli dopo la scoperta di un coinvolgimento dei servizi nelle stragi, ma quando hanno ordinato alla polizia giudiziaria di recuperare i tabulati non hanno trovato un solo foglio. Telefonate fra alti funzionari e Gaetano Scotto e telefonate fra alti funzionari e Giovanni Scaduto, un boss di Bagheria condannato all'ergastolo per l'omicidio dell'esattore Ignazio Salvo e già in contatto con i cellulari clonati di Gioacchino la Barbera e Antonino Gioè, due degli attentatori di Capaci. Intrecci. Tracce telefoniche che partono da una strage e portano all'altra. Chiamate insistite nelle ore precedenti e successive alle bombe negli Usa, in Slovenia, in Germania. E in una stanza di Villa Igiea, il lussuoso hotel palermitano in stile liberty che probabilmente era diventato - fra una bomba e l'altra - la base operativa di qualcuno.
I tabulati di Gaetano Scotto, già allora - durante le indagini fra il 1993 e il 1994 - fecero intuire che non era stata soltanto la mafia siciliana a ordinare prima l'uccisione di Giovanni Falcone e neanche due mesi dopo quella di Paolo Borsellino. Ecco perché i tabulati non si trovano più.
Tutta l'inchiesta di Caltanissetta ricomincia ora da un collegamento certo fra il fallito attentato all'Addaura e via Mariano D'Amelio, tutto ricomincia da Gaetano Scotto che dopo l'ergastolo per l'uccisione di Borsellino tre mesi fa è stato indagato anche per l'esplosivo davanti alla villa di Giovanni Falcone. Il suo nome è stato svelato anche da Massimo Ciancimino, che nel suo interminabile tira e molla di rivelazioni avrebbe visto Scotto in compagnia dell'autista del famigerato "signor Franco", l'uomo dei servizi segreti che per una trentina di anni ha protetto suo padre Vito. L'identità di quest'altro boss degli apparati - "il signor Franco" - è ancora ignota. E, stando alle identificazioni ufficiose e alle smentite ufficiali (e ai nomi altamente improbabili fatti circolare ad arte come puro veleno) del rampollo dell'ex sindaco mafioso di Palermo, ignota probabilmente resterà ancora.
Fonte : la Repubblica
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