Texani, canadesi, irlandesi, yemeniti. Tutti a caccia dell'oro nero nel Canale di Sicilia. Un vero e proprio assalto al mare delle coste dell'Isola da parte di piccole e mega compagnie internazionali di petrolio. Sono ben 20 le domande per trivellazioni al vaglio del ministero dello Sviluppo economico, sulle quali la Regione non ha alcun potere. Tutto ciò che riguarda le con piattaforme off-shore transita dalle stanze del ministero, mentre il governo di Raffaele Lombardo ha già approvato una delibera che dice "no" alle trivellazioni. "Siamo di fronte a un assalto che rischia di stravolgere l'economia della nostra regione, mettendo in grandi difficoltà le marinerie ma anche gli imprenditori che hanno investito nel turismo, come i Rocco Forte che adesso a Sciacca davanti al loro golf resort potrebbero vedersi installate tre mega piattaforme petrolifere", dice l'assessore al Territorio Roberto Di Mauro, che ha già dato mandato al rappresentante della Regione nel nucleo di Valutazione d'impatto ambientale del ministero, la soprintendente di Ragusa Vera Greco, di opporsi chiedendo relazioni su relazioni per il rischio d'inquinamento del mare e delle coste, "a oggi mai arrivate".
L'assessore Di Mauro ha sul suo tavolo un dossier di 40 pagine che da un lato mette nero su bianco i rischi per l'economia e l'ambiente siciliano, e dall'altro chi sono le imprese che vogliono trivellare nel Canale di Sicilia. Oltre alle 6 piattaforme al momento installate al largo di Ragusa e del golfo di Gela, e oltre alle 20 istanze già approvate, al ministero ci sono ben 20 richieste di autorizzazione a nuovi permessi di ricerca nel Canale di Sicilia. Cinque fanno capo alla Northern Petroleum, colosso londinese che con la Shell ha già avviato ricerche in tutto il Mediterraneo. La società inglese chiede di poter installare tre piattaforme nel mare delle Isole Egadi per avviare ricerche in una superficie complessiva di 1.600 chilometri quadrati. La Northern Petroleum chiede di poter avviare ricerche anche nel golfo di Gela, nella zona di Capo Rossello ad Agrigento e, insieme agli irlandesi della Petrolcelitc Elsa, nel mare tra Siculiana e Porto Empedocle. La Petrolceltic è controllata al 100 per cento dall'omonima società irlandese, e in Italia ha stretto collaborazioni con Vega Oil ed Eni, con la quale chiede di trivellare anche nel golfo di Gela.
I canadesi della Hunt oil company, invece, hanno messo nel mirino tre siti: il primo tra Sciacca e Agrigento, il secondo tra Sciacca e Siculiana Marina, e il terzo tra Mazara del Vallo e Menfi. E se la Puma petroleum, società anche questa londinese, chiede di poter avviare ricerche tra Lampedusa e Linosa, un consorzio composto dalla British gas e della italiane Eni ed Edison chiede di poter avviare ricerche tra Licata e Punta Bianca. Anche i texani, dopo il tentativo della Panther Oil nel Val di Noto, vogliono cercare petrolio nel mar siciliano. Precisamente tra Scoglitti e Pozzallo, attraverso la Sviluppo risorse naturali (Srn), società controllata dalla Mediterranean Resources con sede ad Austin in Texas. Ultima istanza presentata al ministero è quella dei canadesi della Nautical petroleum, che chiedono di avviare ricerche tra la foce del fiume Dirillo e punta D'Aliga.
Ma perché tutto questo interesse a trivellare nel mare siciliano? Semplice: secondo i dati del ministero nel Canale di Sicilia giace una riserva di petrolio apri a 2,3 milioni di tonnellate certamente estraibili, un terzo di quello che risiede nel resto del mare che bagna le coste d'Italia.
L'assessore Di Mauro ha già commissionato un primo studio sui rischi per l'economia in caso d'incidenti come quello avvenuto nel golfo del Messico causato dalla British petroleum. "La gran parte dei richieste di estrazione insiste su riserve naturali protette e siti di importanza comunitaria - dice Di Mauro - Ci sono intere marinerie, come quelle di Trapani, Mazara del Vallo o Sciacca, che non solo non potrebbero avvicinarsi in un raggio di 500 metri attorno alle piattaforme, ma che soltanto per il traffico di petroliere che ci sarà nel Canale di Sicilia vedrebbero ridotto il loro raggio d'azione". Per la sovrintendete di Ragusa, Greco, i rischi sono elevati: "Al ministero ci hanno fatto vedere delle simulazione in caso d'incidenti, spiegandoci che le correnti marine sono quasi sempre dalla terraferma verso il largo - dice la Greco - Ma quel "quasi" significa pure che le correnti potrebbero a volte spingere eventuali chiazze di petrolio verso le nostre coste".
(03 agosto 2010
Fonte : la Repubblica
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