Parla Gianmarco Piazza, suo fratello con un collega salvò Falcone. "Non ne ho parlato fino ad ora perché avevo paura, non mi fidavo di quelli
che indagavano"
L'agente Emanuele Piazza, collaboratore del Sisde ucciso dalla mafia il 16 marzo 1990 e mai ritrovato
PALERMO - Cosa le ha confidato Emanuele? "Mio fratello mi ha detto che ad organizzare il fallito attentato contro il giudice Falcone non era stata la mafia, ma era coinvolta la polizia. Ricordo ancora le sue parole: "C'entra la polizia"... ". E perché ha tenuto nascosto tutto questo per tanto tempo? "Perché avevo paura, perché quello che sapevo avrei dovuto riferirlo proprio alla polizia che indagava sul fallito attentato e sull'uccisione di mio fratello".
Nella sua bella casa di Palermo Gianmarco Piazza, avvocato civilista, quarantasei anni, uno dei quattro fratelli di Emanuele - l'agente dei servizi scomparso nel marzo del 1990 mentre cercava di scoprire cosa era accaduto all'Addaura - in quest'intervista con Repubblica svela per la prima volta un segreto su quei candelotti di dinamite piazzati nel giugno del 1989 davanti alla villa di Giovanni Falcone. Emanuele sapeva molto anche sull'uccisione di Vincenzo Agostino, il poliziotto assassinato con sua moglie Ida neanche tre mesi dopo il fallito attentato. Sia Piazza che Agostino - secondo le ultime inchieste - sarebbero stati colpiti perché avevano salvato Falcone da chi lo voleva morto. L'avvocato Gianmarco Piazza, un paio di settimane fa, ha consegnato una memoria ai procuratori di Palermo sui misteri dell'Addaura. Nei prossimi giorni sarà interrogato anche dai magistrati di Caltanissetta che indagano sulle stragi.
Avvocato, Emanuele le disse proprio quelle parole: c'entra la polizia...
"Con Emanuele avevo un rapporto molto stretto, avevamo vissuto insieme dal 1986 al 1988 in quella casa di Sferracavallo dove lui viveva quando è scomparso. Fra la fine di giugno e l'inizio di luglio del 1989, a Palermo si parlava tanto del fallito attentato contro Falcone, ne parlavamo naturalmente anche a casa, tra noi fratelli, con mio padre. Sulla vicenda Emanuele mi raccontò che lui era sicuro che non era stata Cosa Nostra a fare quell'attentato".
E lei gli chiese chi era stato?
"Prima lui lasciò intendendere che quella notizia l'aveva appresa per motivi di servizio. Poi, quando gli feci la domanda, rispose secco, senza fare altri commenti: "C'entra la polizia, c'entra qualcuno della polizia...". Io lo sapevo che Emanuele era un collaboratore del Sisde, che era a conoscenza di tante cose... ".
Non le disse altro Emanuele?
"Non mi disse altro. Io non ho mai saputo un nome o un cognome, sono vent'anni che penso a quella frase di Emanuele sulla polizia, mi arrovello, mi tormento".
Quella confidenza non l'ha mai comunicata a nessuno, perché? Solo per paura?
"Dopo la scomparsa di Emanuele, tutti i rapporti fra noi e la polizia li ha tenuti mio padre. Dal 1990 nessuno mi ha mai chiesto niente, né sulla scomparsa di mio fratello né sull'attentato all'Addaura. Io, fin dal primo momento, non ho voluto raccontare queste cose agli inquirenti semplicemente perché non avevo fiducia in loro. Come potevo avere fiducia di un commissario - Salvatore D'Aleo - che per scoprire gli assassini di mio fratello seguiva una pista passionale? Come potevo avere fiducia quando un altro poliziotto, grande amico di mio fratello - Vincenzo Di Blasi - dopo la scomparsa di Emanuele non venne mai a trovarci. Mio fratello era legatissimo a lui, non venne a salutarci neanche una volta. A volte, per capire, bastano pochi dettagli. E quello fu un dettaglio che a me diceva tutto. L'unico di cui si fidava mio padre - e ci fidavamo tutti - era Falcone".
Furono in molti che cominciarono a depistare, a sviare le indagini sulla morte di suo fratello?
"Cominciarono con me, qualche ora dopo la scomparsa di Emanuele. Mi accorsi che qui, vicino a casa mia, un'agente donna mi seguiva e mi stava fotografando con un teleobiettivo. Ero sconcertato. Perché seguivano me? Perché cominciavano le indagini proprio da me? Perché non cercavano invece di salvare Emanuele, che in quei giorni di marzo forse era ancora vivo? Poi, per anni, a casa nostra siamo stati tempestati di telefonate, qualcuno faceva squillare il telefono e poi non rispondeva mai. É come se ci volessero avvertire perennemente. E non erano certo mafiosi".
Lei ha idea di cosa avesse scoperto Emanuele sul fallito attentato all'Addaura?
"Io so soltanto che dal giorno dell'Addaura mio fratello era diventato sempre più taciturno. E poi, dall'autunno del 1989, sempre più cupo. Era preoccupatissimo. Passava quasi tutti i giorni da casa di mio padre, arrivava di umore nero e di umore nero se ne andava. Poi fece due stranissimi viaggi, lui che non amava viaggiare, gli piaceva stare a Palermo. Nell'estate del 1989 partì per la Tunisia. Ritornò in Tunisia anche nel dicembre di quell'anno. Io credo che abbia fatto quei viaggi per allontanarsi da qui".
Torniamo agli amici di Emanuele: perché quel poliziotto, così legato a suo fratello, secondo lei non venne mai a trovare voi familiari dopo la scomparsa?
"Fin dall'inizio della sua collaborazione con i servizi segreti, Emanuele naturalmente non parlava molto del suo lavoro. Si limitava a dirci con chi era in contatto. Ci parlava di un capitano dei carabinieri e di due angeli custodi, così li chiamava lui... uno era quel poliziotto, Enzo Di Blasi, con il quale erano stati compagni in palestra, facevano lotta libera a 18 anni. E poi si ritrovarono tutti e due a Roma in polizia. Mio fratello gli voleva bene, ma lui - dopo la scomparsa di Emanuele - non lo abbiamo più visto".
Lei sostiene di non avere mai avuto fiducia negli inquirenti. Ci sono stati altri episodi che l'hanno spinta a non dire niente in tutti questi anni?
"Molti. E soprattutto uno. Dopo la scomparsa di Emanuele è sparito anche un vigile del fuoco molto amico suo, Gaetano Genova. Si vedevano sempre con Emanuele. Una sera venne a casa mia un giovanissimo poliziotto per cercare di capire cosa sapevo io del loro rapporto. Anche in quella occasione sentii di non fidarmi. Non gli dissi nulla".
Perché oggi ha deciso di raccontare quello che sa?
"Perché stano affiorando frammenti di verità sulla morte di Emanuele e sull'Addaura. Perché, vent'anni fa, a parte la sfiducia nei confronti degli inquirenti, non potevo sapere che la morte di mio fratello potesse essere in qualche modo collegata al fallito attentato contro il giudice Falcone".
fonte la Repubblica
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