La nuova bomba sulla testa del presidente del Consiglio la lancia oggi “il Fatto Quotidiano”. Il giornale diretto da Antonio Padellaro, infatti, pubblica un’intervista all’ex direttore generale della Banca Popolare di Palermo Giovanni Scilabra, che racconta come nel 1986 il Cavaliere abbia beneficiato di un prestito da 20 miliardi di lire concesso dall’istituto di credito siciliano grazie all’intercessione di Vito Ciancimino e Marcello Dell’Utri.
“L’ex manager è abbastanza deciso nel collocare l’incontro nel 1986 - scrive il Fatto Quotidiano -. Don Vito era stato arrestato da Giovanni Falcone per mafia nel 1985 e aveva l’obbligo di risiedere a Roma. Ma il figlio Massimo ha raccontato che, grazie alle sue coperture, circolava indisturbato a Palermo. ‘Nel 1985 era stata inaugurata la nuova sede della Banca Popolare di Palermo di fianco al Teatro Massimo’, cerca di riannodare i ricordi l’ex manager, ‘ricordo che l’incontro avvenne in quella sede’”.
Al vertice della banca era il conte Arturo Cassina, vero e proprio re mida degli appalti stradali e vicino all’ex sindaco mafioso di Palermo. In base ai racconti di Scialabra quel prestito avrebbe assunto un ruolo fondamentale nel piano di salvataggio del gruppo del presidente del Consiglio, in quel periodo in forte perdita.”Non capii esattamente se dovevano servire per la Edilnord – prosegue l’ex direttore della Banca Popolare di Palermo -, per la Fininvest o per la Standa (in realtà la Standa sarà comprata da Berlusconi solo anni dopo, ndr). Comunque il gruppo Fininvest allora era indebitato per migliaia di miliardi”.
L’operazione di salvataggio, per arginare le copiose perdite di miliardi, coinvolse diverse banche siciliane, determinando un’attività in cui Scilabra assunse il ruolo di vera e propria centrale operativa: “Contattai Francesco Garsia, direttore della Banca Popolare di Augusta – dice Scilabra -; il barone Carlo La Lumia e il direttore Giuseppe Di Fede della Banca di Canicattì; l’avvocato Gaetano Trigilia della Banca di Siracusa; il barone Gangitano della Banca dell’Agricoltura, sempre di Canicattì; Francesco Romano della Popolare di Carini. Allora erano le banche più rappresentative della Sicilia, con tanti sportelli e attivi congrui. Feci da regista all’operazione perché ero nel capoluogo, Palermo, ed ero il più giovane, tanto che gli altri sono quasi tutti morti”.
Alla fine il prestito non si concretizzò, anche a causa dei timori dell’ex direttore generale dell’istituto di credito, che a tutt’oggi non è affatto pentito di aver negato quei soldi a “sua emittenza”: “La centrale rischi bancari indicava per il gruppo Berlusconi un’esposizione per migliaia di miliardi – dice -. Era troppo rischioso e avremmo rischiato seriamente di perdere tutti i soldi”. “Per capire l’Italia di oggi – conclude – bisogna partire dalle storie come quella di Cassina, che io ho vissuto. E per costruire un paese migliore bisogna cominciare a raccontare tutta la verità”.
fonte : Livesicilia
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