sabato 10 luglio 2010

Un assessore nell’inchiesta Lombardo

I magistrati di Catania hanno qualche pagina in più da leggere. Le parole del presidente della Regione Raffaele Lombardo pronunciate davanti al Parlamento siciliano, il 15 aprile, “saranno valutate per capire se ci siano elementi per nuovi spunti investigativi”, dicono gli inquirenti. Il governatore aveva promesso di fare i nomi dei nemici della Sicilia, di quelli che scendono a patti con la mafia, che siedono nei comitati d’affari e che puzzano di favori, compromessi e accordi illeciti. Alla fine è sembrato puntare il dito contro i suoi nemici politici di sempre. E sostiene pure che le due posizioni siano coincidenti. L’orecchio del magistrato, però, non vuole lasciare nulla al caso. “È stato un discorso che va esaminato con attenzione”, dice il procuratore capo di Catania Vincenzo D’Agata, che alza di un pizzico l’asticella delle sue valutazioni. Senza fare entrare in crisi il suo ermetismo: “È stato un discorso direi chiaro fino ad un certo punto. È sufficiente, però, a suscitare delle curiosità che saranno oggetto di valutazione”. Valutazione da cui, almeno per il momento, sarà esclusa la relazione in cui il governatore annuncia di avere scritto nomi, cognomi e prestanome che girerebbero attorno al termovalorizzatore di Paternò (“L’affare del secolo”, lo definisce il governatore). La relazione, infatti, è stata inviata solo alla procura di Palermo e non a quella etnea.

Il procuratore D’Agata coordina il pool di magistrati che ha messo sotto inchiesta i fratelli Raffaele e Angelo Lombardo, quest’ultimo deputato nazionale dell’Mpa. L’ipotesi di reato è concorso esterno in associazione mafiosa. Praticamente nelle stanze di un’intera ala del Palazzo di giustizia, al primo piano, si studiano le carte che chiamano in causa il presidente. C’è l’indagine sui presunti rapporti fra le cosche mafiose e Lombardo affidata al procuratore aggiunto Giuseppe Gennaro e ai sostituti Agata Santonocito, Iole Boscarino e Antonio Fanara. E c’è pure quella in mano al pubblico ministero Alessandra Chiavegatti che sta facendo lo screening delle assunzioni e delle consulenze al Comune e alla Provincia di Catania, e passando al setaccio il cosiddetto libro dei favori. E cioè un elenco fitto di nomi e segnalazioni venuto fuori su Internet all’indomani delle regionali del 2008. I maligni lo definiscono l’emblema del sistematico e capillare controllo elettorale del governatore. Il pm attende l’esito delle consulenze che dovrebbe arrivare a breve. I periti sono al lavoro dallo scorso settembre. Entro giugno si dovrebbe sapere qualcosa di più. E guai a pensare che l’inchiesta finisca per passare in secondo piano, adombrata dalle più scottanti indagini di mafia.

Indagini, queste ultime, destinate ad allargarsi. Perché di nomi nel rapporto dei Ros ce ne sono tanti. C’è pure quello di un assessore regionale. Il suo nome salta fuori nelle intercettazioni. Il perché e in che contesto è ancora top secret. Al momento non gli viene contestata alcuna ipotesi di reato. Finora quello dell’assessore della giunta Lombardo è un nome che sta lì, nel mezzo delle discussioni fra i personaggi intercettati. Un nome insieme ad altri settanta, o giù di lì, fra mafiosi, galoppini, amministratori locali, consiglieri e politici. Tra questi di spessore, per bocca dello stesso procuratore D’Agata, però, ce ne se sono pochi: “Si contano sulle dita di una mano”. Una sola.

Prima dell’assessore regionale, sul quale il capo dei pm catanesi nulla dice, erano emersi quelli dei fratelli Raffaele e Angelo Lombardo (inutile chiamare la sua segreteria per avere un contatto mentre l’onorevole è a Roma), dei deputati regionali Fausto Fagone (Udc) e Giovanni Cristaudo (Pdl). Tra gli amministratori locali si è parlato di Francesco Calanducci, sindaco di Palagonia, appoggiato da liste civiche, Udc e Mpa, che non si dà pace: “La mia attività è sempre stata alla luce del sole. Sono sindaco da un anno e mezzo e prima non avevo fatto politica”. Calanducci riflette ad alta voce, senza nascondersi: “Da sindaco ho fatto solo due gare d’appalto. Una per il risanamento di un quartiere e l’altra per un costone roccioso. E c’erano sempre i carabinieri ad assistere alle procedure. Assunzioni non ne ho fatte e non potevo farne perché eravamo fuori dal patto di stabilità. Figuriamoci i capitoli di spesa. Risicati. Mai chiesto voti a nessuno. Durante la campagna elettorale, su indicazione di Raffaele Lombardo, ho pure evitato di fare assistenza economica a qualche famiglia della nostra comunità in difficoltà. Così, per un atto di trasparenza. Per evitare che qualcuno potesse pensar male. E poi ho subito danneggiamenti. Pesanti e ripetuti”.

Calanducci sembrerebbe avere ragione. Su di lui s’indaga non tanto per le questioni di mafia, ma per le intimidazioni subite. Gli hanno bruciato la casa e tagliato due volte le piante in un terreno di sua proprietà. L’ultimo episodio è avvenuto nei primi giorni di aprile. Gli inquirenti non escludono che qualcuno non abbia gradito la “rimodulazione” dell’ufficio tecnico comunale decisa dopo gli arresti di due dirigenti. Qualcuno non avrebbe gradito e gliel’ha fatto notare. In modo fin troppo eclatante. Poca roba rispetto all’ipotesi che riguarda i fratelli Lombardo, indagati con l’accusa di avere avuto rapporti con Vincenzo Aiello, capoprovincia di Cosa nostra. S’indaga da un paio d’anni, ma il tutto è venuto a galla solo ora, dopo l’inchiesta del quotidiano “La Repubblica”. La procura non ha gradito la fuga di notizie ed ha aperto un fascicolo. Il perché del massimo riserbo, D’Agata lo spiega così: “Si è trattato di prudenza investigativa e politica. Badi, prudenza e non protezione politica. Io proteggo solo il mio ufficio. Fare i nomi di certi personaggi può portare a delle forzature. Io tutelo la serenità del mio ufficio che deve essere libro da ogni ipotetica pressione”.

Non ci sono solo i fratelli Lombardo, visto che D’Agata ammette che una parte del rapporto dei Ros “chiama in causa dei politici. Niente burocrati ma solo politici di varia aria”. Alcuni nomi sarebbero pure confermati dalle dichiarazioni di un nuovo pentito, Eugenio Sturiale. Da pochi mesi collabora con i magistrati catanesi. Storia particolare, la sua. È stato con il clan Santapaola prima, con i Laudani poi e infine con i Cappello. Uno strano voltafaccia tollerato dalle famiglie mafiose. Lombardo dice di non avere ricevuto alcun avviso di garanzia. E D’Agata conferma. Lo riceverà quando “ci sarà uno stato investigativo avanzato, quando si dovranno compiere atti per i quali serve la presenza dell’indagato”.

Come dire: siamo ancora alle battute iniziali. Nulla, però, c’entrerebbe la vecchia vicenda di Carmelo Frisenna, ex assessore al comune di Paternò, in carcere per mafia da un anno e mezzo. Il governatore Lombardo lo ha tirato in ballo nel discorso in Parlamento, riportando alcune intercettazioni che, a suo dire, confermerebbero l’esistenza di un complotto contro di lui. Il 3 aprile del 2008 Frisenna in macchina diceva: “La migliore operazione si chiama Pino Firrarello (senatore del Pdl e uomo forte della politica catanese ndr), quello si è fatto l’accordo con Berlusconi. Ah, sì, Lombardo, mi sta bene Lombardo! Dicchè erano ammazzati… No, mi sta bene Lombardo… tanto muore di morte naturale… lo fanno attaccare (arrestare ndr) per una sciocchezza per le assunzioni alla Multiservizi”.

Il governatore non ha gradito, si dice certo che queste parole siano la prova che lo volevano togliere di mezzo. Lo stesso Frisenna diventa però inattendibile, secondo Lombardo, in un’altra intercettazione, nella quale per la verità l’ex assessore commette un errore madornale. Nella conversazione si parla di come aggiudicarsi i lavori per un’opera pubblica in cui il capo dei progettisti era il genero di Lombardo. Genero che il governatore non ha. Ecco l’intercettazione di Frisenna: “Dobbiamo muovere ai cristiani per prendere lavori. Niente, non abbiamo fatto un cazzo finora… dobbiamo rintracciare una ditta, si chiama Generali costruzioni, di Trecastagni, ha vinto una gara per un presidio ospedaliero: venti milioni di euro… lì quello che comanda tutto, il capo dei progettisti è il genero di Raffaele Lombardo…”. L’interlocutore di Frisenna aggiunge: “…Altrimenti me ne devo andare da Antonello Sinatra, perché Antonello ha l’aggancio con Lombardo, lui ci può arrivare…”. E Frisenna conclude: “Subito con Mimmo, ora ci chiamiamo a Mimmo Calvagno (ex sindaco di Paternò, transitato dalla Margherita all’Mpa ndr)”. La conversazione è del 5 marzo 2008. Quattro giorni dopo Frisenna viene di nuovo intercettato mentre fa una disquisizione politica: “…Minchia i candidati di Firrarello sono: D’Asero, Limoli e Scammacca… il quarto si farà strada facendo”. Il suo interlocutore gli chiede: “…A Fleres gliel’ha dato il posto?”. Frisenna risponde: “…Certo, al Senato. Del’Utri, ora ci affiliamo noialtri con questo Fleres… di controtendenza”.

In precedenza, il 19 gennaio 2008, Frisenna aveva già citato Lombardo. Semplici apprezzamenti personali. Lo definiva “uno spacchiuso, un numero uno, amico del padre”. Frasi dette per tranquillizzare tale Francesco Leanza che lo chiamava per sapere se Frisenna “era andato da Lombardo” (allora, presidente della Provincia ndr), per discutere di qualcosa che voleva fare. Si conoscevano davvero o Frisenna millantava la vicinanza politica con Lombardo? É inattendibile, credibile sempre, mai o solo in parte? Ai magistrati il dovere della valutazione che, almeno per queste intercettazioni, arriverà a breve. È infatti giunto alle battute finali il processo che vede Frisenna imputato.

Sta di fatto che Lombardo ha citato l’ex assessore spostando i riflettori su Paternò, coinvolgendo anche Salvo Torrisi, parlamentare del Pdl e già vicesindaco del Comune in provincia di Catania, fedelissimo di Firrarello e presidente degli avvocati catanesi. Lo identifica come una pedina del piano contro di lui. Torrisi si dice indignato: “Non capisco cosa c’entri io in tutta questa storia, per quale ragione sia stato tirato in ballo. Nel 2002, quando parlo con Frisenna, è un soggetto insospettabile, membro di una delle famiglie più rappresentative di Paternò. Impegnato nel mondo della scuola. È stato un attacco gratuito contro di me. Parlavamo solo di politica e io in tuta questa storia sono una vittima”. E se gli si chiede se abbia cercato di trovare un’eventuale motivazione all’attacco di Lombardo, un’idea se l’è fatta: “In questi ultimi periodi su Paternò si è aperto un fronte di scontro politico duro. La riduzione dei posti letto nell’ospedale e lo sciopero dei netturbini per le vicende legate all’Ato rifiuti sono state al centro di una dura lotta politica”.

Insomma, a Paternò si affilano le armi. E proprio nel progetto per il termovalorizzatore del Comune, Lombardo individua l’origine di tutti i suoi mali. In aula il governatore ha citato l’Altecoen, interessata alla costruzione dell’impianto, uno dei quattro previsti dal piano dell’ex presidente Totò Cuffaro, stoppato da Lombardo. A Paternò il sindaco è Pippo Failla. Parlargli di Lombardo è come parlare del demonio, o giù di lì: “Nessuno può permettersi di gettare fango su Paternò. La relazione di Lombardo mi amareggia perché non erano parole dettate dall’impeto, ma scritte e dunque ragionate. Lombardo rimescola le carte, ma lo fa maldestramente. Sui termovalorizzatori ha detto un cumulo di menzogne”. Il primo cittadino sostiene infatti che “tutta la vicenda dei termovalorizzatori si è svolta a Palermo dove Lombardo era presente e pressante. Era amico di Cuffaro e aveva in giunta tre assessori che erano autorizzati a parlare. Nessuno dei tre è stupido. Perché smentisce Cuffaro oggi e non lo fece allora?”.

Failla è un fiume in piena. Il fumo delle mille sigarette si mescola alle parole: “Il Comune di Paternò non ha dato alcuna autorizzazione. Anzi le dico di più. Io sono d’accordo sul fatto che il termovalorizzatore sia lo strumento migliore per affrontare l’emergenza rifiuti. Il consiglio comunale ha espresso, però, per due volte parere contrario sulla sua costruzione impegnando il sindaco, e cioè me, ad attivare iniziative legali. Nonostante il parere del Consiglio non fosse per me vincolante, mi sono lo stesso intestato i ricorsi. Ce ne sono diversi pendenti davanti al Tar e alla Corte costituzionale. Di cosa sta parlando Lombardo? Se c’è stata qualche responsabilità non è certo nostra”. Ed ancora, inarrestabile: “Il governatore – prosegue – sostiene che ci sia una richiesta del prefetto di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. È falso. Il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica ha stabilito che bisogna ancora valutare la situazione. Il ministro Maroni non ha sul tavolo alcuna richiesta. E poi o Frisenna è attendibile sempre o non lo è mai. Lombardo si metta d’accordo con se stesso”.

Il caso Lombardo fa discutere. A Catania non si parla d’altro. “Scusi potrebbe indicarmi…”, se chiedi anche la più banale delle informazioni in un ufficio pubblico intuiscono chi stai cercando e perché. Lo sanno pure in Procura dove stanno passando al setaccio le assunzioni e le consulenze affidate alla Provincia per vedere se siano state o meno applicate le leggi. Sulla trasparenza ci sarebbero già molti dubbi. Alla guida della Provincia oggi c’è Giuseppe Castiglione, uno dei coordinatori del Pdl in Sicilia, genero del senatore Firrarello, che al governatore non risparmia critiche. Di recente ha parlato di “vuoto politico causato da Lombardo”. Ma che situazione ha ereditato a Palazzo Minoriti? “Abbiamo dato regole alla macchina burocratica – spiega -. C’era bisogno di ragionare con criteri di efficienza. Meno assessori, meno consulenti esterni, meno dirigenti (da trentasette sono scesi a ventisei). Forse il mio predecessore – aggiunge – era più impegnato a curare l’aspetto politico della sua amministrazione. Oggi ci siamo dotati di strumenti fondamentali. Penso al piano territoriale, a quello per lo sviluppo economico e della mobilità. Abbiamo rispettato il compito di fare una programmazione seria che poi è il vero scopo di un ente come la Provincia”.

Questa volta Castiglione ha scelto, a torto o a ragione, una linea più morbida, ma la critica a Lombardo resta feroce più nel merito che nelle parole. D’altra parte è Castiglione che ha dovuto affrontare alcune vicende spigolose legate alla vecchia amministrazione. Prima fra tutte quella di Pubbliservizi. Società creata sotto la presidenza Lombardo, che dà lavoro a 450 precari, e che costa diciotto milioni di euro all’anno alle casse provinciali. Una società di servizi che, però, è priva del contratto di servizio. Una contraddizione in termini che dovrebbe essere sanata al più presto. Nell’attesa potrebbe scattare una richiesta per accedere ai casellari giudiziari dei lavoratori. La Provincia vuole vederci chiaro. Capire dove si sia pescato per assoldare i precari.

Altra grana per Castiglione riguarda l’Ato Idrico Catania acque di cui è presidente. Al termine di una guerra di ricorsi era risultato vincitore della gara per la gestione del servizio idrico integrato il raggruppamento Acoset. Nell’ottobre del 2007 viene siglato un accordo transattivo con parte del raggruppamento che aveva perso e che faceva capo all’Iride Acqua gas (gia Amga). Gli era stata riconosciuta una transazione di tre milioni e mezzo euro e conestualmente concordato l’ingresso nell’Hydro Catania spa (gia Acoset) di tre imprese del raggruppamento sconfitto: Idrica, Putignano e Siemens. Vincenti e perdenti: tutti insieme appassionatamente. Questa storia è andata avanti nonostante il Cga avesse bocciato l’assegnazione. Lo denuncia un comitato di saggi chiamato dall’Ato a pronunciarsi sulla questione.

Su questo e su altro si continua ad indagare. Ad esempio sul libro dei favori che sarebbe la prova del sistema organizzato da Lombardo per controllare il consenso elettorale. Un file zippato scovato su E-mule da un giornalista di Centonove. Uno scrigno di nomi e segnalazioni per i favori di disparati. I magistrati sono al lavoro. Non è facile verificare se e chi abbia goduto di un favore, scavalcando altri. Molti riscontri sarebbero già stati trovati. Le persone che cercavano lavoro o chiedevano trasferimenti effettivamente lavorano nel pieno rispetto dei “desiderata” inseriti nei file.

In alcuni casi, a campione, anche a noi è bastato telefonare negli uffici per avere alcune conferme. C’è di tutto in questi elenchi. A.C. chiedeva l’assunzione al Consorzio di Bonifica di Catania su segnalazione di Enzo Di Mauro; R.B. chiedeva il trasferimento alla condotta agraria di Adrano (segnalatore Pippo Calaciura); G.S.C. aspirava al ruolo di coordinatore della Multiservizi; F.D.M. chiedeva di tornare a casa, a lavorare al carcere di Caltagirone (segnalazione di Elio Tagliaferro); R. A.R. voleva lavorare al reparto Malattie infettive dell’ospedale Gravina di Caltagirone; L.G. voleva passare da un reparto dell’ospedale di Augusta a quello analogo di Lentini; P. G. voleva essere trasferito in banca a Catania su segnalazione di Gaetano D’Antonio; Pippo Vincenti segnalava, invece, il carabiniere G.V. che sperava di lasciare Siena per tornare a casa; Francesco Alparone sponsorizzava il trasferimento dell’agente di polizia penitenziaria F. P.; un trasferimento chiedeva pure A.P. che lavora al Consorzio autostrade; R.N.V., impiegata dei Beni culturali, chiedeva di andare Taormina a Catania (segnalatore Angelo Falsaperla); R. M. voleva trasferirsi alla Provincia di Catania per lasciare Roma (segnalatore Marco Belluardo); V. S. dall’Anas di Torino a Catania; e poi una sfilza di studenti universitari che cercavano appoggi per superare gli esami: L.M.A. per Procedura penale; B.T.S. per l’esame di iscrizione all’albo dei Pedagositi (segnalatore Franco Tambone); A. C. per l’esame di Storia della Musica (segnalatore Cristoforo Rocco). Altre volte erano i temi familiari a tenere banco. Come nel caso di S. M. che voleva iscrivere il figlio all’asilo nido di Gravina di Catania. E poi i militari: A,C., R.M, R.P., G.V., F.A.G., sigle di persone che chiedevano un interessamento per i concorsi in polizia, oppure per fare il militare in ferma breve o ancora per ottenere una nuova destinazione di lavoro (segnalatori Marco Consoli, Musumeci, Aldo Interlandi); sempre Aldo Interlandi avrebbe segnalato C.S., giardiniere, per un avanzamento di livello alla Multiservizi e magari un cambio di mansione; il geometra V. S. voleva ottenere il trasferimento dall’Anas di Torino all’Ufficio grande viabilità speciale con sede a Catania (segnalatore Carmelo Faraci). Infine anche un farmacista di Acireale, D. P.: avrebbe chiesto il trasferimento della sua farmacia da una strada all’altra.

E poi ci sono gli elenchi con una raffica di curriculum vitae. Con tanto di indirizzi e numeri di telefono dei candidati, come ci sono gli elenchi di decine e decine di numeri telefonici a cui inviare messaggi durante la campagna elettorale o di ringraziamento. Oppure per invitarli ad una manifestazione di partito. Niente di illecito. Almeno su questo fronte. Sugli altri le verifiche sono in corso. Per appurare cosa ci sia di vero.
fonte : Livesicilia

Nessun commento:

Posta un commento