NEI MISTERI delle stragi è arrivata l'ora delle inchieste sulle inchieste: quelle sui depistaggi di Stato. E nel giorno della commissione parlamentare antimafia che rilancia su quel "groviglio fra Cosa Nostra, politica, grandi affari, gruppi eversivi e apparati deviati", in Sicilia si apre il capitolo su chi coprì i veri assassini di Paolo Borsellino.
Escono i primi nomi, il più eccellente è quello dell'ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. A quasi vent'anni dalle bombe s'intuiscono altri scenari, s'inseguono nuovi sospetti. Dopo la sentenza di condanna a sette anni per Marcello Dell'Utri e dopo le parole del procuratore Pietro Grasso sull'"entità esterna che voleva agevolare una forza politica", sotto accusa finiscono uomini dello Stato.
È di due giorni fa, lunedì, l'interrogatorio dei tre poliziotti che nell'estate del 1992 avevano investigato sui massacri siciliani incastrando il falso testimone di giustizia Vincenzo Scarantino, il sicario che si autoccusò di una strage che non aveva mai fatto. Così sono entrati nell'indagine quei tre investigatori del "Gruppo Falcone-Borsellino" - Salvo la Barbera, Mario Bo e Vincenzo Ricciardi (al tempo, i primi due giovanissimi e appena usciti dalla scuola di polizia, il terzo anagraficamente e professionalmente più anziano) - che sono stati indiziati per avere in qualche modo estorto la confessione a Scarantino. Sono tre poliziotti dal profilo limpido, risucchiati nel vortice dell'indagine per avere "spostato" il tiro - consapevolmente?, inconsapevolmente? - sugli assassini del 19 luglio 1992. È questo il cuore dell'inchiesta sul depistaggio intorno alla strage.
Chi ha suggerito il nome di Vincenzo Scarantino agli investigatori? Come è scivolato il sicario della Guadagna nella rete del "Gruppo Falcone-Borsellino"? Perché qualcuno avrebbe indotto Scarantino ad accusare se stesso e altri uomini della sua borgata pur sapendo che erano del tutto estranei all'uccisione del procuratore? Partendo da questi interrogativi, i magistrati di Caltanissetta hanno messo sotto accusa i tre poliziotti; nel capo di imputazione contestato parlano "di calunnia aggravata in concorso con Arnaldo La Barbera". È la svolta nelle indagini sull'uccisione di Paolo Borsellino: l'ex capo della squadra mobile di Palermo dopo diciotto anni ha addosso tutti i sospetti.
I procuratori vogliono scoprire chi fu ad offrire quello che definiscono un "input esterno" all'inchiesta, chi aveva interesse a portare lontano dalla verità e dai veri sicari del grande amico di Giovanni Falcone. I tre poliziotti sono indagati - ripetiamo, sono tutti e tre investigatori di alto livello e due di loro nel 1992 erano soltanto dei ragazzini, potevano solo ubbidire ad ordini superiori - ma l'obiettivo dei procuratori è quello di individuare il "regista" dell'operazione che si è "inventato" Scarantino come pentito per sviluppare le investigazioni lungo una falsa pista che indicava i mandanti nella borgata della Guadagna e non nel quartiere di Brancaccio: due mondi lontani per le loro "relazioni esterne", per i rapporti dei rispettivi boss con gli apparati, Pietro Aglieri da una parte e i fratelli Graviano dall'altro, gli stessi Graviano sospettati a lungo di avere instaurato un legame con Marcello Dell'Utri.
È un terreno investigativo assai scivoloso, un'indagine molto complicata che ha portato i procuratori a concentrarsi su Arnaldo La Barbera, un gran poliziotto che prima di approdare al comando del "Gruppo Falcone-Borsellino" era stato il capo della Squadra Mobile di Venezia e poi della capitale siciliana. Arnaldo la Barbera è morto nel 2002 per un tumore, il suo nome è stato trovato qualche mese fa sui libri paga del Sisde - il servizio segreto civile - per gli anni 1986 e 1987, proprio nei mesi precedenti al suo arrivo a Palermo. Quello che sembrava il "motore" di tutte le più delicate investigazioni a cavallo fra gli Anni Ottanta e Novanta, dalle nuove inchieste affiora come l'uomo che avrebbe taroccato l'indagine sulle stragi. Vero? Falso? Al momento molti indizi si dirigono su di lui, da quel che se ne sa i tre poliziotti interrogati lunedì a Caltanissetta si sono difesi con molti "non so" e molti "non ricordo". Quale piega prenderà quest'inchiesta sull'inchiesta è difficile prevederlo, certo è che il "pentito" Vincenzo Scarantino - manovrato o meno - era un bugiardo.
Nome in codice "Catullo", Arnaldo La Barbera è stato il protagonista unico della cattura di Scarantino (e nell'indurlo al pentimento), o è stato al contrario manovrato a sua volta da qualcun altro? E ancora: Arnaldo La Barbera ha arrestato Scarantino senza verificare a dovere le sue rivelazioni per una sorta di ansia da prestazione - la strage Falcone, poi la strage Borsellino, nessun movente chiaro, nessun elemento concreto per iniziare l'indagine - o ha "costruito" il pentito a tavolino su un "input esterno? E di chi? L'ombra di apparati si allunga dal fallito attentato all'Addaura contro il giudice Falcone fino a via Mariano D'Amelio, passando per la strage di Capaci dove sono un'infinità le tracce lasciate dai servizi segreti. L'inchiesta dei procuratori di Caltanissetta si sta districando fra questi dubbi e questi sospetti partendo da Gaspare Spatuzza, partendo dalle parole pronunciate dal pentito all'inizio della sua collaborazione: "Per via D'Amelio ci sono persone colpevoli fuori e persone innocenti in galera".
In più Gaspare Spatuzza ha fatto il nome di un agente dei servizi, L. N., uno che nel 1992 aveva incarichi operativi in Sicilia. Secondo il pentito, l'agente (che era il vice capo del Sisde a Palermo) era insieme ad alcuni mafiosi nel garage dove - il 18 luglio 1992, esattamente un giorno prima dell'attentato - stavano "caricando di esplosivo" l'utilitaria che avrebbe fatto saltare in aria Borsellino. O Gaspare Spatuzza mente su ogni piccola e grande storia che ha raccontato o la verità sulle stragi siciliane è molto più spaventosa di come l'abbiamo sempre immaginata.
É da quel momento - da quando Spatuzza comincia a parlare - che le nuove indagini sulla strage di via D'Amelio, e dopo le ritrattazioni dello stesso Scarantino e di altri due imputati, hanno preso un'altra direzione "scagionando" una mezza dozzina di mafiosi e puntando verso altri mafiosi. La richiesta di revisione di una parte del processo Borsellino molto probabilmente verrà presentata entro il mese di luglio e girata alla procura generale di Caltanissettta, che a sua volta la invierà a Catania (dove però attualmente è procuratore generale Giovanni Tinebra, lo stesso procuratore che aveva creduto a Scarantino incriminandolo) o più probabilmente alla procura generale di Messina. In attesa dei vari passaggi e delle barriere che il "fascicolo" troverà fra Catania e Messina, i procuratori di Caltanissetta continuano a indagare sui depistaggi e sulle trattative che vi furono in quell'estate di 18 anni fa fra pezzi dello Stato e boss di Cosa Nostra. Il loro uomo chiave resta Gaspare Spatuzza. Il pentito che per il Viminale non è un pentito ha già fatto crollare un pezzo del processo agli assassini di Paolo Borsellino. E se la commissione ministeriale e i giudici di Palermo non gli hanno creduto, i procuratori di Caltanissetta lo ritengono così "affidabile" che con lui stanno riscrivendo tutta l'indagine sui mandanti delle morti di Falcone e Borsellino.
fonte : La Repubblica
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