giovedì 3 giugno 2010

Sicilia, la barca dei matti al voto.

Abbiamo dovuto studiare le analisi sul dopovoto delle amministrative in Sicilia. Un lavoro faticoso e frustrante, utile per certificare il caos. Sarebbero da incorniciare le analisi realizzate a botta calda. Tutti si arrampicano sugli specchi per dare risposte a domande inesistenti, come: chi ha vinto e chi ha perso, domande aggrappate come edera ai consueti canoni dell’intreccio partitico ormai devastato dagli eventi.

Si continua a ragionare come se ci fossero ancora la destra, il centro e la sinistra, i partiti mantenessero i cavalli di Frisia fra sé e il resto del mondo, l’appartenenza ideologica fosse ancora salda, il grumo di interessi amalgamato e riconoscibile, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Un contesto che respingerebbe la trasversalità, mentre gli schieramenti politici sono andati alle elezioni mescolando il citrato di magnesio con il brandy d’annata, l’uvetta con il carrubo, le arancine di Montalbano con le lenti di Sherlock Holmes.

Non si capiva niente prima di andare alle urne e non si capisce niente dopo a cose fatte. Il tentativo di comporre il puzzle non è solo una impresa disperata ma una follia, che può essere messa in atto solo dall’inderogabile bisogno di proclamare una impossibile vittoria. Bisogno che pretende indulgenza, tuttavia. Non c’è da scandalizzarsi che questo bisogno sia vivamente sentito dai capintesta, che hanno da rendere conto ai mandanti, amici, parenti, uomini di fiducia, maggiordomi e stormi di cittadini che credono negli angeli custodi e nella democrazia e vogliono, legittimamente, essere rassicurati sull’utilità della scelta compiuta.

Il vecchio schema non esiste più, ogni comunità ha una propria visione del mondo. Si cambia partito come si cambia d’abito, si instaurano alleanze con la stessa disinvoltura con cui si sceglie un film. Eppure Giuseppe Castiglione, coordinatore del Pdl lealista, sbandiera vittorie del suo schieramento, Gianfranco Micciché si compiace dell’espansionismo del suo giovane Pdl Sicilia, il Pd è contento nonostante le guerre fratricide nelle principali città in cui s’è votato (Gela ed Enna), il segretario dell’Udc Cesa conta i sindaci eletti nel suo partito come fossero diamanti da ventiquattro carati trovati per caso durante una passeggiata notturna con la fidanzata.

Il brand delle liste scolorite - civiche in gran quantità, d’appoggio o di contrapposizione - presentate un po’ ovunque, sia nel proporzionale quanto nel maggioritario, e dopo avere cercato di configurare delle omogeneità riconducibili ad uno schieramento abbiamo rinunciato. Praticamente impossibile ricondurre ad uno schieramento il melting polt che conduce al successo finale.
Le amministrative siciliane, beninteso, non vanno ridicolizzate, non avendo alcuna responsabilità di essersi rappresentate come una mezza carnevalata. Non è che potesse arrivare dal cielo una semplificazione, il deus ex machina che facesse capire da che parte ognuno stava e per che cosa si stava battendo e con quali obiettivi. Interrogativi questi ultimi ricchi di aspettative eppure assai trascurati senza che alcuno si indignasse per avere voltato le spalle ad essi.

Se a Palazzo dei Normanni, sede del Parlamento regionale, non si capisce più niente, a parte la voglia di tenere in piedi una baracca sgangherata confidando nell’Onnipotente, presumibilmente distratto da altre più ponderose cure. Deve esserci una volontà alfierana a tenere in piedi tutto, da ascrivere in prima istanza e per forza di cose al presidente della Regione, Raffaele Lombardo, sul quale si dovrebbe – questo sì – indagare a fondo per un tratto caratteriale – la volontà inossidabile - ormai in disuso. Come faccia a tirare avanti è davvero un miracolo che si ripete ogni giorno. Intravvede la luce in fondo al tunnel, trova i numeri per mettere insieme una maggioranza sopravvissuta allo sfascio di partiti vittime di una raccolta differenziata e perciò finite nella discarica di Bellolampo, sulla soglia del percolato, perché così è piaciuto a quelli che ne hanno posseduto i codici d’ingresso. Un miracolo, dunque. E allora: o Lombardo è un santo. E di ciò è lecito nutrire qualche dubbio, o crede di potere aspirare alla santità e perciò trasforma la sua camminata nel percolato in una missione e riesce a sopravvivere agli assalti del destino.

Non stupitevi, per favore dell’iperbole. Vogliamo solo rendere giustizia al clima che respiriamo, e non ha niente a che fare con la realtà, che mantiene i tappeti rossi e le stanze dei bottoni nei luoghi di sempre. Ma se è questa la sua ordalia - l’ordalia di Lombardo - essendo sopravvissuto all’indicibile, vuol dire che qualcosa di inspiegabile gli regala la guida della barca dei matti con il timone dritto verso la meta.

Lombardo trae auspici favorevoli dalla tornata elettorale come gli altri e più degli altri. Dice che gli elettori hanno mandato al diavolo i partiti e che sarebbe arrivato il momento di prenderne atto e costruire un grande partito autonomista che elegga 40 deputati e faccia ballare il samba a qualunque governo si insedi a Roma.

Evoca lo schema catalano, Lombardo. Ma l’insediamento catalano nel cuore della penisola iberica ha tradizioni vecchie di secoli, mantiene un appeal inalterato per chiunque voglia liberarsi del centralismo soffocante, con l’eccezione dei pseudocelti leghisti di casa nostra – si fa per dire - che avendo inventato la Padania si sono guardati bene di guardare alla Catalogna – legittimata dalla storia - come riferimento per le loro battaglie autonomistiche.

Visto che non ci abbiamo capito niente su vincitori e vinti sul voto amministrativo, e che i risultati hanno dato a tutti la opportunità di sentirsi vincenti, ci possiamo esimere dall’individuare la ragionevolezza o irragionevolezza dei compiacimenti comuni.

E tuttavia, qualcosa possiamo osservare, che il Pdl Sicilia è presente nel territorio quanto il Pdl lealista, che Bronte è il feudo di Pino Firrarello a prescindere dai voti scippati o meno al Mpa, che a Enna e Gela il Pd ha perso la faccia ma non i consensi, che esistono anche gli amici di Dore Misuraca in qualche posto, che i finiani hanno potuto identificarsi grazie alla tornata elettorale. Non è molto, d’accordo, ma è meglio che niente.
fonte : SiciliaInformazioni.com

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