martedì 1 giugno 2010

Stragi, Politica e Affari

I giudici siciliani che conducono oggi le indagini sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio sono arrivati finalmente a un risultato che sembrava a portata di mano già nel biennio 1992-93: quelle stragi non erano frutto soltanto di una strategia terroristica di Riina e Provenzano ma ne erano stati protagonisti agenti dei servizi segreti italiani che cercavano o avevano già trovato nuovi referenti politici.
Questa conclusione l'aveva già tratta sinteticamente Giovanni Falcone quando, di fronte all'attentato contro di lui all'Addaura nel 1989, aveva parlato esplicitamente di "menti raffinatissime" che erano state all'origine dell'azione. Oggi sappiamo che alcuni agenti segreti erano presenti e erano stati identificati nella fase preparatoria dell'attentato e addirittura durante l'azione. Di fronte a questi risultati, Carlo Azeglio Ciampi, all'epoca presidente del Consiglio in carica, Oscar Luigi Scalfaro allora capo dello Stato e Walter Veltroni che guidava i Democratici di Sinistra prima di diventare sindaco di Roma, hanno dichiarato che erano consapevoli del pericolo di un colpo di Stato in atto.

Di fronte a rivelazioni così gravi e circostanziate, se pure molto tardive, esponenti piduisti e berlusconiani della maggioranza di governo, come l'on. Fabrizio Cicchitto e il senatore Gaetano Quagliariello, hanno ritenuto proprio dovere attaccare i politici che si sono schierati accanto ai magistrati e hanno messo in luce il nuovo, terribile mistero che grava sulla repubblica.

Ma si tratta davvero di un nuovo mistero?

O è piuttosto il caso di prender atto che quei referenti politici che si erano alleati con Cosa Nostra e collaboravano alle grandi stragi contro i due magistrati, Falcone e Borsellino, non potevano essere, in quel momento, che gli esponenti di una nuova forza politica? Una forza politica che si profilava all'orizzonte per sostituire i due partiti politici di governo, proprio allora costretti allo scioglimento, come la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista?

Il nervosismo e le offese di Cicchitto e di Quagliariello, entrambi luogotenenti di Berlusconi, a diciotto anni dagli avvenimenti, non fanno che confermare una simile deduzione e allarmano, ancora una volta, chi si batte per la difesa dello Stato di diritto e contro l'offensiva mafiosa. A questo punto sta ai magistrati concludere le indagini e agli italiani prender atto che, se non si arrivò a un colpo di Stato, fu perché non ce ne era bisogno: la politica aveva risolto la contraddizione tra mafia e Stato consentendo l'ascesa al potere proprio di Silvio Berlusconi e delle forze che lo sostenevano. Non è un caso che, dopo il '94, di mafia si parla assai poco nei mezzi di comunicazione in Italia e negli anni successivi le associazioni mafiose diventano padrone visibili di tre o quattro regioni meridionali. Questi sono i fatti ai quali gli esponenti della maggioranza dimenticano di dover rispondere anche in questi giorni.

www.nicolatranfaglia.com

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