lunedì 7 giugno 2010

Statuto Siciliano tradito e federalismo ipocrita. SE CI VOGLIONO SERVI, CI AVRANNO RIBELLI!.

Secondo l’articolo 119 della Costituzione, la Sicilia, come le altre regioni del Mezzogiorno e la Sardegna, ha diritto di ricevere i “contributi speciali” finalizzati principalmente a colmare il gap economico con il Nord del Paese. È un principio di solidarietà che sta alla base della Carta costituzionale e che viene ripreso, stando alle volontà espresse finora, anche nel percorso di riforma che condurrà l’Italia al federalismo. In considerazione del fatto di essere previsti da una norma “costituzionale”, questi contributi non dovrebbero subire alcuna riduzione.
Con le disposizioni contenute neghi articoli 37 e 38 dello Statuto (R.D.L. 15/5/1946 n.455 convertito in legge costituzionale 26/2/1948 n.2), parte integrante della Costituzione, il Legislatore, riconoscendo alla Sicilia il gap economico che la nostra isola soffre rispetto alle regioni del nord, ha previsto, in maniera stabile, una forma di fiscalità di vantaggio che si concretizza in due modi:

a) attraverso la disposizione dell’art.38, la quale stabilisce che lo Stato deve versare alla regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nella esecuzione di lavori pubblici. Tale somma serve a bilanciare il minore gettito dei redditi di lavoro nella regione in rapporto alla media nazionale ed è soggetta a revisione quinquennale;

b) attraverso la disposizione dell’art.37, la quale stabilisce che per le imprese industriali e commerciali che hanno la sede fuori del territorio della regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi, sottolineando che l’imposta relativa a questa quota compete alla Sicilia ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima.

La disposizione contenuta nell’art 37 dello Statuto non è stata mai concretamente applicata; di fatto, perciò, la legittima pretesa di ottenere i tributi relativi alle aziende la cui produzione avviene in Sicilia non è stata riconosciuta.
Nel 2005, per la verità, con il Decreto Legislativo 241 del 3/11/2005, l’articolo 37 è stato “rispolverato”, con la previsione della emanazione di un decreto dirigenziale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, d’intesa con l’Assessorato Regionale del Bilancio e delle Finanze, al fine di definire le modalità applicative finalizzate all’assegnazione alla Regione, da parte dello Stato, di competenze fino ad allora esercitate da quest’ultimo, e la contemporanea attribuzione dallo Stato alla Regione dei tributi relativi ai redditi prodotti nell’isola ma versati da imprese aventi sede in altre regioni secondo quanto previsto dall’art.37 dello Statuto. Ma anche dopo l’emanazione di questo Decreto Legislativo del 2005, nessuna iniziativa concreta è stata portata avanti, né dal Ministro dell’Economia e delle finanze, né dall’Assessore regionale al Bilancio.
La freddezza con la quale le norme dello Statuto vengono guardate anche in Sicilia, non trova alcuna spiegazione, se non la volontà di non disturbare il manovratore, che sta a Roma, qualunque sia il governo e qualunque sia il coloro politico che regge le sorti dell’esecutivo siciliano. C’è un’altra motivazione, che riguarda la scala delle priorità: le norme dello Statuto. Lo stesso Statuto, non ha appeal, perché il suo carisma è stato sperperato nel corso dei decenni a causa di un uso infame dell’autonomia speciale.
È bene non sparare nel mucchio, sempre e comunque, ma come si fa a fare la pagella dei buoni e dei cattivi in sessanta anni circa di autonomia speciale? Impossibile. Dunque l’acquiescenza va gettata in faccia tutti, sia a coloro che ci credono e ne hanno fatto motivo di battaglia politica, sia a quelli che inciuciano con Roma o non investono politicamente, economicamente e culturalmente, sullo Statuto siciliano. Che viene regolarmente messo sotto i piedi, anche da coloro che sulla carta, dovrebbero farne la Bibbia della loro agenda politica, visto che il federalismo, di cui lo Statuto è antesignano, dovrebbe godere di grande carisma non solo a Roma ma anche dalle parti di Varese e Milano, dove si è insediata stabilmente la Lega Nord.
Se si crede nel federalismo bisogna fare di tutto perché funzioni, a meno che non si voglia puntare sul federalismo padano e non italiano. Che è altra cosa: oltre che irrealizzabile abbastanza stupido, non potendo vedere la luce mai e poi mai, a meno che la Lega non riesca ad incaprettare più di quanto abbia fatto finora, il resto del centro destra, compresi i colonnelli ex AN con bandiere tricolori.
Ma prendersela con il nemico ogni volta che le cose non funzionano è utile ma non ha niente a che vedere con la realtà.

fonte : SiciliaInformazioni.com

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